«Pop-up» (informatica)

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.Silvia.
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Re: «Pop-under»

Intervento di .Silvia. »

Infarinato ha scritto: ven, 24 apr 2020 11:08 D’accordo, ma io abito in Inghilterra da anni e mi muovo in àmbito informatico, e pop-under non l’ho mai sentita! Quindi immagino che —al di fuori di una strettissima cerchia di «adepti»— l’«uso» effettivo sia davvero scarsissimo. Io direi semplicemente finestra a comparsa nascosta.
Un'ottima soluzione.
Quella che segue è una mia riflessione e considerazione. Nel 2016 è stato pubblicato uno studio commissionato dall'Unione Europea inerente alla
"Pubblicità digitale su siti web sospetti di violazioni", probabilmente nell'ambito delle nuove regole che disciplinano la riservatezza in campo digitale.
La ricerca verteva sui crimini che riguardano la proprietà intellettuale, passando al setaccio tantissimi siti e portali presenti in rete.
Analizzando il panorama pubblicitario digitale dei siti e portali, lo studio ha rivelato che i portali BitTorrent (nome proprio di un protocollo informatico) ricorrevano a diverse tecniche per generare introiti aggiuntivi, quali pop-up (annunci con finestra a comparsa) e pop-under, anche se è emerso che il rischio maggiore proveniva da siti che facevano ricorso ai collegamenti (ad altre pagine o siti internet). In quest'ultima categoria rientrano probabilmente tutti i siti con contenuti pornografici. Ad ogni modo questi annunci a comparsa (in primo o secondo piano che fossero) hanno preso piede perché i normali annunci nei riquadri all'interno di siti (banner ads) portavano da 2 a 5 clic ogni 1.000 apparizioni dell'annuncio (normalmente tradotte come "impressioni" per calco dall'inglese "impression"), mentre quelli a comparsa ne rendevano in media 30. Quindi il comportamento degli utenti ha di fatto plasmato il mercato puntando su questi ultimi in modo aggressivo.
Ora, nello studio viene spiegato cosa si intende per annunci "pop-under": annunci che compaiono in una nuova finestra di navigazione che si apre dietro quella principale o di origine (anziché sovrapposta) e spesso non notata dall'utente finché la finestra di navigazione principale non viene chiusa. In realtà, verificando tale definizione su altri siti in rete, la finestra è visibile anche riducendo a icona quella principale. E, a mio avviso (ma non sono un tecnico informatico), tale finestra di navigazione potrebbe comparire anche a fianco a quella principale, a seconda delle nostre impostazioni del navigatore del caso (Mozilla Firefox, Internet Explorer, Opera, Google Chrome, Safari, ecc.). In effetti, l'utente può solitamente decidere se aprire nuove sessioni come nuove finestre oppure come nuove schede. Alla luce di questa mia considerazione, una traduzione possibile potrebbe anche essere: "finestra (di navigazione) forzata". Sì, anche la finestra a comparsa in primo piano è forzata, ma non è mai (a memoria) una finestra di navigazione.
G. M. ha scritto: gio, 23 apr 2020 18:01 Secondo me potrebbe essere carina una soluzione creativa, che esprima questo movimento con un tono informale come il termine inglese. :)
Da sempre, il linguaggio informatico italiano non si è mai davvero accodato a quello inglese, nel senso che non ne ha propriamente seguito la scia. Avete presente tutti i "please" delle richieste e dei comandi inglesi? In italiano? Rimossi. Questo ha senz'altro eliminato i fronzoli, accorciato le stringhe di comando e reso la nostra lingua in un certo senso più diretta ed essenziale. La formalità del linguaggio in generale ce lo fa apparire più autorevole di quanto non sia in realtà. Solo l'introduzione più recente dei siti internet (rispetto alla nascita dei programmi informatici e dei suoi comandi) ha spinto l'uso del "tu" nel rivolgersi all'utente. E ancora oggi, per molti marchi e aziende, quest'uso stenta a decollare, preferendo un più neutro "voi" per rivolgersi alla platea di lettori come un unicum, oppure un più formale "Lei" di cortesia, tenendo conto che l'uso del "tu" pone per noi italiani (ma non solo) il problema di genere (escludendo in gran parte dei casi l'utenza femminile). Poiché le aziende straniere sono molto sensibili al problema di genere e non intendono escludere il sesso femminile dai propri siti, ecco come si tenta di aggirare il problema.
G. M. ha scritto: ven, 24 apr 2020 10:20 ricadiamo un po' sempre nel solito problema, per cui l'inglese non si fa problemi a coniare parole originali, mentre l'italiano è più "rigido" e finisce per essere lungo e ponderoso...
L'italiano non è più rigido, né meno creativo dell'inglese, al contrario! Basti pensare alla miriade di suffissi utilizzabili nella nostra lingua: tipetto, tipino, tipone, tipotto, tipuccio, tipettino, tipoccio, tipozzo, grandicello, grandino, stangona, stanghettina. L'inglese purtroppo non offre questa flessibilità nel dare, potenzialmente a ogni parola, una connotazione diversa, difficilissima da rendere in una lingua straniera. Inevitabilmente qualcosa andrà perso.
Ferdinand Bardamu ha scritto: ven, 24 apr 2020 12:31 Beh, se è una questione di lunghezza e di flessibilità nel coniare parole nuove, l’inglese ci batte e ci batterà sempre.
Anche questa è una falsa credenza. Se parliamo del campo informatico, sì. Ma per altri versi, no. Qui stiamo analizzando un campo in cui la lingua di partenza è per lo più l'inglese. Capovolgendo la situazione, nel momento in cui la lingua di partenza è l'italiano, e mi trovo a dover spiegare termini propri della nostra cultura italiana, dovrò utilizzare delle locuzioni più lunghe in inglese, perché la lingua di destinazione non avrà traducenti. Quindi o si trasferiscono le parole straniere direttamente nella lingua di destinazione oppure spiegazioni, esattamente come succede dall'inglese all'italiano.
Provate a tradurre "pizzata" e scoprirete che non esiste nell'altra cultura :) Si può tentare con un "social pizza night", ma chi legge metterebbe la propria fantasia nel capire cosa sia, e comunque suonerebbe strano.

Scusate le divagazioni :)
A te ricorro; e prego ché mi porghi mano
A trarmi fuor del pelago, onde uscire,
S'io tentassi da me, sarebbe vano.
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