«Literate programming»

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Carnby
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«Literate programming»

Intervento di Carnby »

Literate programming è un altro anglismo informatico, di basso uso ma fastidioso dato che le altre lingue hanno provveduto a una traduzione. Come lo tradurreste?
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Ferdinand Bardamu
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Re: «Literate programming»

Intervento di Ferdinand Bardamu »

Vedo che le altre lingue romanze l’hanno reso con programmazione letteraria o letterata.
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Carnby
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Re: «Literate programming»

Intervento di Carnby »

Sì, ma è una buona traduzione?
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Ferdinand Bardamu
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Re: «Literate programming»

Intervento di Ferdinand Bardamu »

Se dovessi basarmi sulla definizione della guichipedia (e sulle mie limitatissime conoscenze), direi di no. Letterario concerne la letteratura, cosí come letterato, la cui accezione ‹letterario›, peraltro, è disusata ed è propria della lingua dei secoli passati. Forse sarebbe meglio programmazione in linguaggio naturale. :?
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Re: «Literate programming»

Intervento di Infarinato »

Carnby ha scritto: sab, 09 ott 2021 10:28 Literate programming è un altro anglismo informatico… Come lo tradurreste?
Programmazione alfabetizzata. ;)
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G. M.
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Re: «Literate programming»

Intervento di G. M. »

Da persona esterna all'àmbito, senza conoscenze pregresse, a me verrebbe da chiamarla programmazione descrittiva o a parole.

Programmazione in linguaggio naturale è perfetto dal punto di vista della chiarezza, solo un po' lungo...

Alfabetizzata invece di primo acchito non mi sembra chiarissimo per il lettore italiano, in quel contesto mi farebbe pensare più all'alfabeto come 'insieme di simboli linguistici' che all'alfabetismo come 'capacità di leggere e scrivere' (presumo sia quest'ultimo il significato, come traduzione letterale dell'inglese).
Ligure
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Re: «Literate programming»

Intervento di Ligure »

Premesso che risulta praticamente impossibile proporre agli appartenenti a professioni ben specifiche quale, ad es., quella dei programmatori opzioni linguistiche diverse da quelle comunemente accolte se non si dimostra di conoscere il loro ambito applicativo, l'aggettivo descrittivo non potrebbe essere certamente accettato. Si programma per "realizzare" qualcosa, non per "descrivere"! Tradizionalmente, il codice della programmazione poteva - e può - essere affiancato da commenti, ma essi, appunto, commentano in linguaggio naturale le operazioni effettuate dal codice. Non si tratta affatto di una programmazione descrittiva, che è un assurdo, in quanto il suo obiettivo è realizzativo, non certamente descrittivo. Tradizionalmente erano descrittivi i commenti alle righe di codice, non le righe di codice la cui totalità costituisce un determinato programma, scritto con intenti realizzativi.

La parola parola si scontra contro ostacoli e paradossi filosofici che risalgono alla fondazione e agli scopi stessi della programmazione. S'iniziò a scrivere programmi in linguaggi di programmazione - più adatti agli umani - o in linguaggio macchina - più adeguato per i calcolatori, ad es. - proprio per poter agire, ottenendo determinati risultati, su entità completamente sorde alla parola umana.

La programmazione degli automi mediante comandi vocali - come sa qualsiasi programmatore - rappresenta un diverso settore applicativo.

Temo che per i programmatori non sia affatto accettabile il concetto di poter programmare a parole. Proprio in quanto non può essere corretto. Se si potesse davvero programmare a parole, tutti potrebbero farlo. Ma la parola rimane dedicata al dialogo, alle indicazioni e ... agli ordini ... tra umani ...

La parola che sovverte la realtà dei fatti non può risultare utile ...

P.S.: si ritorna, così, all'inizio dell'intervento. Il problema consiste nel fatto che chi svolge una professione applicativa non può avere alcun interesse a prendere in considerazione alternative linguistiche se esse non provengono da chi abbia conoscenza concreta della programmazione e delle diverse modalità che caratterizzano questo tipo di attività intellettuale. Infatti - nella realtà - si mantengono i termini inglesi o si adottano termini che, per altro, si diffondono nell'ambito dei professionisti stessi che li ritengono adeguati per i loro scopi comunicativi. Il rischio insito nel proporre sempre e comunque a tutti consiste, appunto, nella "tuttologia".
Ultima modifica di Ligure in data lun, 11 ott 2021 11:51, modificato 1 volta in totale.
Avatara utente
G. M.
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Re: «Literate programming»

Intervento di G. M. »

Caro Ligure, non mi sono ben chiare le sue critiche. Forse sono stato poco chiaro io in primo luogo, provo a spiegarmi meglio.
Ligure ha scritto: lun, 11 ott 2021 11:09[...] l'aggettivo descrittivo non potrebbe essere certamente accettato. Si programma per "realizzare" qualcosa, non per "descrivere"! [...] Non si tratta affatto di una programmazione descrittiva, che è un assurdo, in quanto il suo obiettivo è realizzativo, non certamente descrittivo.
Con programmazione descrittiva non intendevo dire che lo «scopo della programmazione in generale» è «descrivere», ma solo che questo literate programming (se ho capito bene) è di fatto una descrizione in linguaggio naturale dell’algoritmo e dei codici che saranno poi concretamente “dati in pasto” alla macchina.
Ligure ha scritto: lun, 11 ott 2021 11:09La parola parola si scontra contro ostacoli filosofici che risalgono alla fondazione e agli scopi della programmazione. S'iniziò a scrivere programmi in linguaggi di programmazione - più adatti agli umani - o in linguaggio macchina - più adeguati per i calcolatori, ad es. - proprio per poter agire, ottenendo determinati risultati, su entità completamente sorde alla parola umana.
Anche qui, non capisco bene perché scriva queste considerazioni come una bocciatura, quando il punto mi sembra essere proprio quello: il literate programming (di nuovo: se ho capito bene) è una descrizione pensata per essere letta e intesa da persone umane, non pensata e intesa per essere sottoposta direttamente alle macchine, appunto «sorde alla parola umana» in questo senso.

Oppure sono io che ho frainteso i concetti?
Ligure
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Re: «Literate programming»

Intervento di Ligure »

Mi scuso se quanto ho scritto non ha contribuito a chiarire i concetti e, per altro, si può benissimo non tenerne conto. Rispondo subito alla sua domanda diretta, anche se è stata posta in fondo al messaggio. Non credo che nessuno abbia frainteso i concetti. Credo, tuttavia, anche a quanto ho già scritto, cioè al fatto che i professionisti preferiscano elaborare dall'interno della propria categoria eventuali alternative linguistiche e non siano interessati alle proposte e ai dibattiti di altri, me in primis.

Credo, inoltre, come lei stesso non avrà mancato di notare, che risulta non sempre immediato rendere in modo limpido in italiano le creazioni di un autore che ama anche giocare colle parole. Il significato che l'autore intendeva attribuire all'espressione da lui impiegata in inglese - come da sue affermazioni più volte ripetute in molti suoi interventi - è semplicemente quello di una modalità di programmazione o arte del programmare che, "eventually" = finalmente, ha appreso a scrivere ( e si suppone anche a "leggere" e a "far di conto") in quanto è cresciuta, s'è evoluta. E questa definizione, se pure creativa e criticata, non costituisce necessariamente un ossimoro. Il tono sotteso è bonario, ma opposto ad accademismi freddi e precisi. Certamente literate, in senso proprio, è un'attribuzione riservata agli umani. Questa è la definizione in inglese.

Tuttavia, in italiano, mentre descrizione del programma, non della programmazione, che assumerebbe un carattere generale in italiano corretto -e, pertanto, potrebbe essere considerato errato -, potrebbe anche avere un senso, la programmazione descrittiva rimane indubitabilmente un ossimoro e non corrisponde al senso di una programmazione che, crescendo, si sia evoluta. Pur non potendo far altro che mantenere un intento realizzativo. Anche se ora, grazie a Knuth - cerco di non diventare ironico - la programmazione, avendo appreso anche a scrivere, sa anche descrivere se stessa. Quindi, se proprio si desidera, al limite autodescrittiva, ma pur sempre realizzativa, mai unicamente descrittiva e, se descrittiva, descrittiva di se stessa e realizzativa degli obiettivi descritti. Allo stesso modo per un programmatore cartesiano la programmazione a parole sarebbe ben più d'un ossimoro. Si rasenterebbe la magia ... Nel "literate" inglese ci sono le "litteræ" del latino, la "parola scritta" di chi, crescendo, tra i suoi "compiti evolutivi" ha imparato a scrivere. Ma parola senz'altre specificazioni - in italiano - corrisponde a "verbum" - in quanto opposto a "scriptum" -, non, quindi, alla parola scritta e, per altro, deve rimanere ben chiaro, indipendentemente da quale sia l'esposizione del proprio pensiero che un autore quale Knuth preferisce adottare, che non si può programmare a parole, essendo che quell'a riveste in italiano un valore ben preciso. Che non è assolutamente ciò che Knuth intendeva dire - scherzando un po' - su quel "literate".

Dal momento che l'autore sostiene, inoltre, che l'effetto di "literacy" sia reciproco. Cioè anche il programmatore, se aderisce al paradigma accennato, diviene - a sua volta - "literate" (e la grammatica inglese consente anche quest'ulteriore accezione) ...

P.S.: di seguito alcune informazioni in merito

https://it.m.wikipedia.org/wiki/Literate_programming
Ultima modifica di Ligure in data lun, 11 ott 2021 12:49, modificato 4 volte in totale.
Avatara utente
Ferdinand Bardamu
Moderatore
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Iscritto in data: mer, 21 ott 2009 14:25
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Re: «Literate programming»

Intervento di Ferdinand Bardamu »

Ligure ha scritto: lun, 11 ott 2021 12:34 Nel "literate" inglese ci sono le "litteræ" del latino, la "parola scritta" di chi, crescendo, tra i suoi "compiti evolutivi" ha imparato a scrivere.
Dunque, mi par di capire che programmazione alfabetizzata, riportato piú su dall’Infarinato, è il traducente migliore.
Ligure
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Re: «Literate programming»

Intervento di Ligure »

Ferdinand Bardamu ha scritto: lun, 11 ott 2021 12:42
Ligure ha scritto: lun, 11 ott 2021 12:34 Nel "literate" inglese ci sono le "litteræ" del latino, la "parola scritta" di chi, crescendo, tra i suoi "compiti evolutivi" ha imparato a scrivere.
Dunque, mi par di capire che programmazione alfabetizzata, riportato piú su dall’Infarinato, è il traducente migliore.
Certamente la traduzione dell'espressione inglese proposta dall'Infarinato risulta impeccabile:

https://en.wiktionary.org/wiki/literate#Etymology

Risulta, per altro, altrettanto evidente che i messaggi intercorsi non sono affatto superflui, in quanto mostrano la difficoltà, che sarebbe la stessa anche per un anglofono non programmatore, di poter acquisire concetti specifici di un autore complesso quale Knuth soltanto a partire da due parole di traduzione, per quanto perfetta.

Ma qui si ritornerebbe sugli aspetti più generali della traduzione, della traducibilità e sui limiti della sua validità ... tenendo conto, ad es., che, se dovessi parlare amichevolmente con qualcuno ignaro della grammatica inglese, gli direi che il senso inteso da Knuth - grammaticalmente corretto - è anche "programmare da persona in grado di saper scrivere (nel significato usuale di questo verbo) ..." ... cioè "programmare da alfabetizzati", "da persone grandi, cresciute", espressione che dà un'idea dell'informalità del livello linguistico di Knuth, ma anche della critica da lui non risparmiata ad altre modalità d'illustrazione - e di documentazione - dell'attività di programmazione. Com'è correttamente - e inevitabilmente - emerso, la resa da parte di una lingua quale l'italiano, che non possiede un diretto corrispondente per quest'accezione specifica di "literate" nell'uso comune, non può che implicare un certo livello d'elaborazione del compito.

P.S.: e, poi, va pur detto che l'espressione inglese implica la cattiveria di poter lasciar pensare che chi non segue questo paradigma sia - in realtà - dedito a un "illiterate programming", cioè a una modalità di programmazione da analfabeta, cioè da ignorante ... Non pochi non hanno gradito ...:

https://en.wiktionary.org/wiki/illiterate#English
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