«Schwa»

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G. M.
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«Schwa»

Intervento di G. M. »

Il filone non è per discutere dell'uso "terzogenerista" del fonema/grafema (di cui abbiamo parlato qui, qui, qui, qui) né del suo significato generale in linguistica, ma della parola che usiamo per designarlo. Dal Treccani:
Schwašvàa› s. neutro ted., usato in ital. al masch. – Trascrizione tedesca del termine grammaticale ebraico shĕvā’: v. scevà.
scevà s. m. [dall’ebr. shĕwā, der. di shaw «niente»]. – 1. Simbolo grafico ebraico che viene sottoscritto a un grafema consonantico e che denota assenza di vocale dopo la consonante soprascritta. 2. In glottologia, termine (desunto dalla grammatica ebraica) col quale si indica una vocale di timbro indistinto (vocale neutra), di quantità ridotta, di scarsa sonorità e scarsa tensione articolatoria, graficamente rappresentata dai glottologi con il segno ə. V. anche Schwa.
Il forestierismo, come sappiamo bene in queste stanze, gode oggi di un'amplissima popolarità dovuta alla proposta, da parte di Vera Gheno, di usare tale fonema e grafema come desinenza per un eventuale terzo genere grammaticale oltre i due tradizionali italiani.

È indicativo della nostra attuale estero-anglomania il fatto che in Rete la forma italianizzata del termine sia rara: nelle reti sociali chi ne parla scrive praticamente sempre e solo schwa (colla minuscola), che è anche la grafia principalmente usata in inglese. A poco serve che la pagina vichipediana, sempre più frequentata (spuntate «scala logaritmica» per vedere meglio), usi al momento esclusivamente la forma italiana.

Penso che l'uso generale della forma straniera al posto di quella italiana si possa tranquillamente imputare alla Gheno, che è responsabile della sua popolarizzazione. Se avesse usato l'italiano oggi la gente direbbe quasi sicuramente scevà; ma viste le sue posizioni sul tema dei forestierismi e dell'itanglese, questa scelta non sorprende. :roll: Se non altro, perlomeno con ciò dimostra che azioni individuali come la sua possono effettivamente influenzare l'uso linguistico, e quindi ancora una volta dire che «La lingua la fanno i parlanti [intendendo: la massa della gente, e non chi cerca d'influenzarla]» risulta una frase fatta un po' ingannevole.

Fra l'altro, prevedibilmente la grafia straniera non rende chiara la pronuncia: qui, a circa 0:10, potete sentite la giornalista Flavia Fratello che dice la schwa come la sciùa /la ʃʃu̍a/. Presumo invece che la maggior parte della gente lo legga /(*)ʃwa̍(*)/ con /w/ all'inglese (il DiPI conferma; si veda anche qui); e infatti molti anglicizzano (probabilmente in modo inconsapevole) la grafia in shwa (qui un articolo con varie oscillazioni: di genere, di assenza o presenza della c, di maiuscola o minuscola).

Si osserva, infine, un uso al femminile come nel caso appena citato, immagino per attrazione delle lettere dell'alfabeto, oggi chiamate prevalentemente al femminile. In questo la Gheno non ha colpa: usa il termine al maschile e, se non ricordo male, ne ha anche specificato il genere (ma adesso non ritrovo dove l'ha scritto).

In Rete s'incontrano qua e là derivati ibridi (sia occasionalismi informali sia parole più "serie"), come schwaria (incrocio con sharia ~ sciaria), schwaista, schwaismo, eventualmente rifacibili in italiano come scevaista, scevaismo, eccetera.
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andrea scoppa
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Re: «Schwa»

Intervento di andrea scoppa »

Il prestito Schwa, per un italiano medio, è difficile a leggersi e a pronunciarsi, in quanto non rispettoso né dell'ortografia né della fonosintassi normale della lingua. In una prospettiva di buona divulgazione, chiara, intuitiva e rivolta a tutti, una tale resa grafica è inutile, quasi controproducente. Certo, si potrebbe scrivere il semiadattamento «sc(e)và», dove la scritta «(e)» indicherebbe l'incertezza fra quei suoni, come l'e desonorizzata, lo scevà e l'e vera e propria, che tutti gl'italiani, persino colti, infilano spontaneamente in molti nessi esotici. Ma si tratta di un falso problema. La voce «scevà», che linguisti e grammatici conoscono da secoli, non è invenzione né recente né di basso uso, ma nobilissima, poiché prese l'abbrivo nella nostra tradizione letteraria piú autorevole. Perciò, se si scrive in italiano, e si vuole ancora poter raccontare il mondo colle parole sue, la scelta non può che essere una e una soltanto.

Dallo Zibaldone,

[G]li ebrei (e credo che cosí sia in tutte le lingue orientali) ponendo sempre un riposo dopo ogni consonante o espresso o sottinteso, quando manca la vocale, ci mettono o ci suppongono lo sceva tanto in mezzo che in fine delle parole, il quale talora si pronunzia talora no, e in genere si può molto propriamente rassomigliare all’e muta dei francesi, i quali non hanno altra vocale muta che l’e, nuova prova di quel ch’io dico.

Gli Ebrei pongono o suppongono uno sceva semplice (cioè una e muta che non fa sillaba) espresso o sottinteso sotto, cioè dopo, tutte le consonanti che non hanno altra vocale, sia nel principio, nel mezzo o nel fine delle voci.
È cosí piana e naturale e lontana da ogni ombra di affettazione, che i Toscani mi pare, pel pochissimo che ho potuto osservare parlando con alcuni, che favellino molto piú affettato, e i Romani senza paragone.
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Re: «Schwa»

Intervento di G.B. »

andrea scoppa ha scritto: lun, 06 dic 2021 3:32 Dallo Zibaldone,

[G]li ebrei (e credo che cosí sia in tutte le lingue orientali) ponendo sempre un riposo dopo ogni consonante o espresso o sottinteso, quando manca la vocale, ci mettono o ci suppongono lo sceva tanto in mezzo che in fine delle parole, il quale talora si pronunzia talora no, e in genere si può molto propriamente rassomigliare all’e muta dei francesi, i quali non hanno altra vocale muta che l’e, nuova prova di quel ch’io dico.

Gli Ebrei pongono o suppongono uno sceva semplice (cioè una e muta che non fa sillaba) espresso o sottinteso sotto, cioè dopo, tutte le consonanti che non hanno altra vocale, sia nel principio, nel mezzo o nel fine delle voci.
Dunque Leopardi pronunziava /ˈʃɛva/, come il nome proprio?
G.B.
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andrea scoppa
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Re: «Schwa»

Intervento di andrea scoppa »

Il GDLI riporta gli stessi esempi, ma col segnaccento indica la vocale tonica sull'ultima sillaba.
È cosí piana e naturale e lontana da ogni ombra di affettazione, che i Toscani mi pare, pel pochissimo che ho potuto osservare parlando con alcuni, che favellino molto piú affettato, e i Romani senza paragone.
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Re: «Schwa»

Intervento di Utente cancellato 676 »

Nella lista traducenti va inserito in maiuscolo, per le norme ortografiche tedesche, come si è fatto per «Krapfen»?
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Re: «Schwa»

Intervento di Infarinato »

Ni, considerato che con tutta probabilità ci (ri)arriva dall’inglese…
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