Non andrebbe usato, semplicemente si può usare per significare che si fa una pausa; il che è diverso, secondo me, dal «torno subito» o dal «m’assento un attimo», che non implicano di per sé il senso ristoratore della pausa e non indicano il motivo della temporanea assenza.Federico ha scritto:Non so se staccare abbia questo significato specifico di cui parla, ma appausarsi mi pare piuttosto innaturale, o forse continuo a non capire in che occasione andrebbe usato: al momento di scollegarsi come dice lei, non si direbbe semplicemente «ti/vi saluto» contrapposto al «torno subito» o «m'assento un attimo» della breve interruzione della comunicazione?
«Appausarsi»
Moderatore: Cruscanti
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Solo una piccola precisazione.Marco1971 ha scritto: Certo, se ognuno s’inventasse i propri termini non ci si capirebbe piú, ma la nostra lista, copiata in vari siti, vorrebbe appunto scongiurare una tale evenienza, offrendo sostituti validi (e già molti ne hanno adottati alcuni).
In questo caso la mia obiezione non riguardava l'iniziativa della lista, la quale propone molti sostituti validi, bensì l'invenzione di termini nuovi non proprio trasparenti e i problemi di comunicazione che possono nascere dall'uso di questi termini.
L'introduzione di queste creazioni nella lista dei traducenti, la quale si può ipotizzare produca già di per sé, in molte persone, una certa resistenza all'accoglimento, è un ulteriore fattore di debolezza della proposta.
A livello psicologico questi termini possono favorire un rifiuto che coinvolge anche proposte sociolinguisticamente più accettabili.
Ma questo è un altro discorso.

La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
V. M. Illič-Svitič
Non creda di essere depositario della psicologia collettiva: non tutti hanno una reazione di rifiuto di fronte a un neologismo, e c’è anche chi ha il gusto della parola foggiata bene, evocativa, sensuale. Ma non è questo il punto. Rifiutare i neologismi significa negare alla lingua la possibilità di crescere per generazione interna, e in tal modo sí che la lingua si mummifica, non producendo piú nulla di suo e ricorrendo al prestito integrale.
Il discorso dell’incomprensione non regge, come abbiamo già detto. Seguendo un tale ragionamento dovrebbero creare incomprensione anche i forestierismi messi in circolazione, e all’inizio anch’essi la creano; ma quando i termini vengono adoperati ripetutamente tutti finiscono col capirli, e li usano senza porsi domande. Osteggiare lo sviluppo dell’italiano sbarrando la strada alle parole nuove è quindi un atteggiamento irrazionale e infecondo.
Il discorso dell’incomprensione non regge, come abbiamo già detto. Seguendo un tale ragionamento dovrebbero creare incomprensione anche i forestierismi messi in circolazione, e all’inizio anch’essi la creano; ma quando i termini vengono adoperati ripetutamente tutti finiscono col capirli, e li usano senza porsi domande. Osteggiare lo sviluppo dell’italiano sbarrando la strada alle parole nuove è quindi un atteggiamento irrazionale e infecondo.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Non lo credo affatto. La mia è solo un'opinione.Marco1971 ha scritto: Non creda di essere depositario della psicologia collettiva...
Non ho detto che rifiuto i neologismi. Critico solo il fatto che tutti si possano ergere ad onomaturghi e mettersi allegramente a sfornare neologismi. Ho cercato di prospettare i pericoli di questo comportamento. Che lo facesse Migliorini, con mille cautele, passi; che creasse neologismi un artista come D'Annunzio, mi sta bene; mi permetta di sollevare qualche dubbio se su questa strada ci si mette uno di noi.Marco1971 ha scritto:Rifiutare i neologismi significa negare alla lingua la possibilità di crescere per generazione interna, e in tal modo sí che la lingua si mummifica, non producendo piú nulla di suo e ricorrendo al prestito integrale.
A me sembra che sia il suo paragone a non essere pertinente. L'accoglimento del forestierismo rientra in un processo completamente diverso. Anche se inizialmente può creare disorientamento, il termine generalmente ha una solida tradizione nella lingua di partenza ed è inoltre unico e condiviso da coloro che lo introducono in italiano attraverso i mezzi di comunicazione. Diversa è la creazione caotica di neologismi in una lingua (infatti, a meno che lei non si ritenga il novello vate dell'onomaturgia italiana, deve immaginare che tutti potrebbero inventare i loro designanti). Come dicevo quest'operazione porterebbe in breve tempo al completo disordine linguistico.Marco1971 ha scritto:Il discorso dell’incomprensione non regge, come abbiamo già detto. Seguendo un tale ragionamento dovrebbero creare incomprensione anche i forestierismi messi in circolazione, e all’inizio anch’essi la creano...
Concordo pienamente.Marco1971 ha scritto:Osteggiare lo sviluppo dell’italiano sbarrando la strada alle parole nuove è quindi un atteggiamento irrazionale e infecondo.
A questo punto però avrà capito che la mia contrarietà non era nei confronti dei neologismi in generale ma di un certo modo di produrre neologismi come fossero pop-corn, sulla cui irrazionalità e infecondità mi sono già pronunciato.

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V. M. Illič-Svitič
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Naturalmente non mi paragono a D’Annunzio, ma modestamente una sensibilità poetica superiore alla media credo di averla (vinsi il primo premio d’un concorso di poesia nel 1992). E i miei coni si rifanno spesso a modelli autorevoli come quelli delle commissioni terminologiche francese e spagnola.bubu7 ha scritto:Non ho detto che rifiuto i neologismi. Critico solo il fatto che tutti si possano ergere ad onomaturghi e mettersi allegramente a sfornare neologismi. Ho cercato di prospettare i pericoli di questo comportamento. Che lo facesse Migliorini, con mille cautele, passi; che creasse neologismi un artista come D'Annunzio, mi sta bene; mi permetta di sollevare qualche dubbio se su questa strada ci si mette uno di noi.
E cosa fa dell’arbitrarietà del segno? Che la parola importata esista, da molto o da poco tempo, nella lingua di partenza è linguisticamente irrilevante: a una sequenza fonica s’attribuisce un significato preciso; e la sequenza fonica non ha obiettivamente bisogno d’una lunga tradizione alle spalle dal momento che viene accolta e usata da coloro che la introducono in italiano. Qui si tratta, per me, d’un senso d’insicurezza: prendiamo il termine straniero perché 1) si fa prima, 2) non sappiamo come esprimerlo in italiano e 3) poco ci cale d’esprimerci in una lingua ibrida. In definitiva, nel momento del lancio, il forestierismo e la neoformazione hanno pari oscurità.bubu7 ha scritto:A me sembra che sia il suo paragone a non essere pertinente. L'accoglimento del forestierismo rientra in un processo completamente diverso. Anche se inizialmente può creare disorientamento, il termine generalmente ha una solida tradizione nella lingua di partenza ed è inoltre unico e condiviso da coloro che lo introducono in italiano attraverso i mezzi di comunicazione.
Il fatto è che nessuno lo fa, nessuno ne ha l’ardire, quasi che il forestierismo fosse sacro e intoccabile. Sicché il pericolo da lei paventato non sussiste.bubu7 ha scritto:Diversa è la creazione caotica di neologismi in una lingua (infatti, a meno che lei non si ritenga il novello vate dell'onomaturgia italiana, deve immaginare che tutti potrebbero inventare i loro designanti). Come dicevo quest'operazione porterebbe in breve tempo al completo disordine linguistico.
Mi sarò perso una puntata, ma non mi sovviene d’aver letto alcuna dimostrazione dell’irrazionalità e infecondità di «un certo modo di produrre neologismi». E quale sarebbe questo modo? E in che cosa sarebbe irrazionale e infecondo? Lo dimostri, e ci faccia sapere cos’hanno d’oscuro, d’irrazionale e d’infecondo questi miei coni: rivelametalli, ludomanetta, sempracconcio, regolabattito, ampliaseno, ecc.bubu7 ha scritto:A questo punto però avrà capito che la mia contrarietà non era nei confronti dei neologismi in generale ma di un certo modo di produrre neologismi come fossero pop-corn, sulla cui irrazionalità e infecondità mi sono già pronunciato.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Cos'altro potrei aggiungere? La sua esemplificazione è perfetta! Mostra con chiarezza le ragioni delle mie obiezioni.Marco1971 ha scritto: ... ci faccia sapere cos’hanno d’oscuro, d’irrazionale e d’infecondo questi miei coni: rivelametalli, ludomanetta, sempracconcio, regolabattito, ampliaseno, ecc.

Inoltre, la maggior parte dei termini da lei elencati passano sopra come carrarmati, nonostante la sua sensibilità poetica, alle più elementari norme di accettabilità sociolinguistica.
In altre parole, oltre a sembrarmi potenzialmente pericolosa per la lingua la sua pulsione onomaturgica, sono la maggior parte delle proposte stesse a sembrarmi fuori dalla realtà sia sociale sia linguistica (di una lingua come l'italiano contemporaneo).
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
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Credo che sia lei a essere fuori della realtà, portando avanti un discorso privo d’argomentazione, e eludendo le domande con nebulosi riferimenti a altrettanto nebulosi e personalissimi concetti che rimangono indimostrati. Che fine ha fatto la sua «scientificità»? Lei va avanti per giustapposizione assiomatica e non spiega al pubblico di Cruscate né quali siano le norme dell’accettabilità sociolinguistica né in che cosa le mie proposte le violino. Ma, si sa, lei scrive per sé.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Vedo che sta perdendo ancora una volta la calma.
Io penso che il nostro pubblico abbia ormai tutti gli elementi per farsi un giudizio.
Mi ritengo soddisfatto di aver fornito ai nostri lettori alcuni elementi di riflessione.
Mi scuso se posso averla in qualche modo irritata ma mi creda non era nelle mie intenzioni. Le mie critiche erano rivolte al metodo e ai risultati e non alla persona.
Mi ritiro da questa discussione.
Un cordiale saluto.
Io penso che il nostro pubblico abbia ormai tutti gli elementi per farsi un giudizio.
Mi ritengo soddisfatto di aver fornito ai nostri lettori alcuni elementi di riflessione.
Mi scuso se posso averla in qualche modo irritata ma mi creda non era nelle mie intenzioni. Le mie critiche erano rivolte al metodo e ai risultati e non alla persona.
Mi ritiro da questa discussione.
Un cordiale saluto.
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
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Il metodo e i risultati sono in perfetta armonia con le regole di formazione delle parole in italiano, per le quali rimando al capitolo X (volume III) della Grande Grammatica Italiana di Consultazione (Bologna, il Mulino, 1995, pp. 473-516).bubu7 ha scritto:Le mie critiche erano rivolte al metodo e ai risultati e non alla persona.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Vede Marco, quelle sono regole a posteriori, dedotte dallo studio della lingua italiana, non regole matematiche; se così fosse, chiunque le abbia studiato e assimilato potrebbe sfornare neologismi [accettati dai parlanti] a catena. Invece nell'accettazione entrano in gioco moltissimi fattori, puramente linguistici ed extralinguistici. I neologismi coniati e diffusi (e ancora in uso) da una persona di eccezionale sensibilità linguistica come Bruno Migliorini si contano sulle punta delle dita; lo stesso dicasi per Gabriele D'Annunzio. Chi ha coniato più parole di tutti è Dante.Marco1971 ha scritto:Il metodo e i risultati sono in perfetta armonia con le regole di formazione delle parole in italiano, per le quali rimando al capitolo X (volume III) della Grande Grammatica Italiana di Consultazione (Bologna, il Mulino, 1995, pp. 473-516).bubu7 ha scritto:Le mie critiche erano rivolte al metodo e ai risultati e non alla persona.
Le suggerisco vivamente di procurarsi e leggere Predicting New Words, di Allan Metcalf. (È un peccato che un libro analogo non sia stato ancora scritto per l'italiano.)
Questo linguista mostra come sia difficile che una persona coni più di una parola, anche quando, coniatane una (che ha avuto successo) tenta di riapplicarne il meccanismo di formazione ad altre parole, che invece non si diffondono.
Metcalf cerca anche di dare alcune indicazioni sui fattori che concorrono alla diffusione di un neologismo; fattori che a un attento studio risultano sorprendentemente analoghi a quelli indicati qui e lì da Migliorini nei suoi scritti.
La conclusione è che non è una meccanica applicazione di regole di formazione, avulsa da tutti gli altri fattori che entrano in gioco, a determinare l'accettazione, diffusione e persistenza dei neologismi.
Ultima modifica di Freelancer in data lun, 26 feb 2007 18:51, modificato 1 volta in totale.
Certamente. Dico solo che le mie proposte sono strutturalmente ineccepibili e sociolinguisticamente accettabili (almeno quelle che ho citato piú sopra). Che poi non attecchiscano è un altro discorso, e qui mi trova concorde.Freelancer ha scritto:La conclusione è che non è una meccanica applicazione di regole di formazione, avulsa da tutti gli altri fattori che entrano in gioco, a determinare l'accettazione, diffusione e persistenza dei neologismi.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Ma ancora non abbiamo esplicitato, appunto, cosa avrebbero di sociolinguisticamente inaccettabile le parole citate sopra. Non mi si citi la bizzarria, perché chi trova bizzarro rivelametalli o regolabattito deve trovare bizzarro anche portalettere, scolapasta e cantastorie. E quando le ho citate l’estate scorsa giuro che non suscitarono ilarità alcuna, ma anzi sonarono acconce e naturali all’orecchio dei miei interlocutori.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Ma i suoi esempi o tentativi di conio non sono neologismi veri e propri bensì tentativi di sostituzione di forestierismi, quindi tra portalettere e *regolabattito c'è un oceano. Questo per rispondere anche al filone che ha appena aperto sul sociolinguisticamente accettabile: deve specificare se si vuole valutare l'accettabilità di un neologismo puro, che quindi si inserisce in una casella vuota, o di possibile sostituito, per il quale nella lacuna, diciamo così, si è già inserito il forestierismo. I criteri di accettabilità sono ben diversi nei due casi.Marco1971 ha scritto:Ma ancora non abbiamo esplicitato, appunto, cosa avrebbero di sociolinguisticamente inaccettabile le parole citate sopra. Non mi si citi la bizzarria, perché chi trova bizzarro rivelametalli o regolabattito deve trovare bizzarro anche portalettere, scolapasta e cantastorie. E quando le ho citate l’estate scorsa giuro che non suscitarono ilarità alcuna, ma anzi sonarono acconce e naturali all’orecchio dei miei interlocutori.
Quale distinzione fa tra un neologismo sostitutivo d’un forestierismo e un neologismo «vero e proprio»? Non mi pare che ci sia un oceano tra le due parole che porta a esempio. E li chiami come vuole, dopotutto: che importanza ha?Freelancer ha scritto:Ma i suoi esempi o tentativi di conio non sono neologismi veri e propri bensì tentativi di sostituzione di forestierismi, quindi tra portalettere e *regolabattito c'è un oceano.
E perché non risponde lí in maniera specifica? Perché non è in grado di oltrepassare le generalità (come «I criteri di accettabilità sono ben diversi nei due casi»)? O perché la sua distinzione appare in fondo anche a lei pericolante?Freelancer ha scritto:Questo per rispondere anche al filone che ha appena aperto sul sociolinguisticamente accettabile: deve specificare se si vuole valutare l'accettabilità di un neologismo puro, che quindi si inserisce in una casella vuota, o di possibile sostituito, per il quale nella lacuna, diciamo così, si è già inserito il forestierismo. I criteri di accettabilità sono ben diversi nei due casi.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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