Avrei preso il treno quando sarebbe/fosse arrivato.
Il senso che si vuol dare è che io avrei preso il treno, ma una qualche cosa me lo ha impedito. Ora, il treno è passato, quindi si tratta di un evento reale che giustifica l'uso del condizionale a marcare la posteriorità (reale) nel passato. Io personalmente non mi sento di escludere nessuna delle due ipotesi, prendendo "[allor]quando" come introducente la protasi.
Secondo me è preferibile il condizionale composto per esprimere il futuro del passato: avrei preso il treno quando sarebbe arrivato (il treno alla fine arrivò). Mi sembra che il congiuntivo dia un senso ipotetico alla frase: se/qualora il treno fosse arrivato (non si sa se il treno alla fine sia arrivato).
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Io risolverei l'impiccio osservando che il treno lo si può prendere solo se arriva, ossia la frase è artificiosa e la seconda parte non esiste nella realtà, dove invece a avrei preso il treno si farebbe seguire qualcosa come ma me lo impedì o simile espressione. Naturalmente uno è libero di interrogarsi su come si costruirebbe una frase irreale, ma non ne vedo il motivo.
Concordo con Marco, e aggiungo alcune considerazioni.
«Avrei preso il treno quando fosse arrivato». Mi sembra un po' traballante, e, tutto sommato, sintatticamente incongrua — accettabile senz'altro qualora quel «quando» avesse valore condizionale; ma in questo caso scriverei meglio «se fosse arrivato» (il treno, comunque, non è arrivato).
«Avrei preso il treno quando sarebbe arrivato». Rispecchia in parte il contenuto di pensiero da lei illustrato – in realtà, quel treno, lei lo ha preso: il condizionale composto della reggente ha funzione di futuro nel passato rispetto al presente enunciativo (il valore di futuro nel passato è sempre in relazione al momento in cui si parla: la reggente ci informa sulla cronologia assoluta di un fatto, che, nel Suo caso, si colloca in un futuro osservato attraverso il passato, rispetto al momento in cui scrive o parla; il tempo della subordinata, invece, definisce la cronologia relativa di un fatto rispetto a un altro – nel suo esempio, i due fatti sarebbero contemporanei). Per assegnare un esito frustrato all'evento indicato nella reggente, dovrebbe necessariamente arricchirlo con un verbo servile esprimente volontà: «Avrei voluto prendere il treno quando sarebbe arrivato»: lei avrebbe voluto prendere il treno, ma non lo ha preso, anche se è arrivato.
Grazie a tutti per gli interventi.
Si trattava d'una scaramuccia familiare che mi vedeva schierato proprio dalla parte del condizionale composto.
Come avete già precisato voi, il massimo che potevo concedere alla soluzione col congiuntivo era proprio il valore ipotetico: "quand'anche". Proposta, comunque, secondo me poco cordiale.
Perciò ritenete piú corretto dire «le chiesi di chiamarmi quando sarebbe arrivato l'idraulico» che «le chiesi di chiamarmi quando [=non appena?] fosse arrivato l'idraulico»?
O, tanto per eliminare qualunque incertezza, «[decisi che] sarei partito quando [=nel momento in cui] il sole sarebbe arrivato allo zenith».
E infine: se la dipendente esprime una volontà, una previsione o altro in dipendenza da un passato, ha senso applicarle il senno di poi per decidere se usare un modo delle certezza o uno dell'incertezza?
Non si tratta di piú o meno corretto, perché in molti casi sono ammessi ambo i tempi (ma spesso con sfumature diverse). Ecco due esempi tratti dalla GGIC:
(56 a) Pensavo che sarebbe arrivato / arrivasse domani.
(56 b) Ho temuto che mi avrebbe restituito / restituisse i soldi fra un anno.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Marco1971 ha scritto:Non si tratta di piú o meno corretto, perché in molti casi sono ammessi ambo i tempi
Dunque le paiono indifferenti anche nei due miei esempi, per i quali il condizionale continua a sembrarmi strano (e non solo meno adatto)?
Nelle due frasi da lei riportate – in cui però il futuro (della dipendente) è posteriore sia al passato (della reggente) sia al presente (dell'enunciazione) – in effetti non c'è gran differenza.
Spero che le sue domande trovino risposta in questo passo della GGIC (vol. II, VIII.3.2.3., p. 458):
La frase al congiuntivo piucchep[p]erfetto introdotta da quando non deve tuttavia essere per forza condizionale, ma può assumere anche la funzione di un futuro nel passato (nel discorso indiretto) e in tal caso può comparire anche il condizionale composto:
(199 a) Quando ne fosse stata informata Anna avrebbe tenuto conto anche di questo.
(199 b) Quando Cecilia fosse tornata, tutto sarebbe ricominciato peggio di prima. (cioè: quando Cecilia sarebbe tornata)
Poiché non è possibile sapere, fuori da un contesto, se la forma condizionale sia di natura temporale o modale, non è nemmeno possibile dedurre da essa se la forma del congiuntivo rappresenti un futuro nel passato o un condizionale modale.
Continuo tuttavia a avvertire una sfumatura di dubbio nella formulazione col congiuntivo rispetto alla neutralità espressa dal condizionale.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Marco1971 ha scritto:Spero che le sue domande trovino risposta in questo passo della GGIC
Grazie mille.
Marco1971 ha scritto:]Continuo tuttavia a avvertire una sfumatura di dubbio nella formulazione col congiuntivo rispetto alla neutralità espressa dal condizionale.
Probabilmente ha ragione, anche se forse tale dubbio, confinato nel passato, può non contrastare colla nostra conoscenza a posteriori dei fatti, oppure essere impensabile (come nel caso del sole), ed è forse per questo che (almeno per me) passa in secondo piano; o semplicemente, potrebbe essere una mia fisima (credo di ricordare di aver avuto qualche problema colla consecutio in casi come questi ai tempi delle elementari, e di essere stato molto soddisfatto nell'apprendere la possibilità di usare il congiuntivo a quel modo; può darsi che da allora mi sia rimasto irrazionalmente stampato in mente come soluzione ottima).
Di nulla. Aggiungo queste poche righe riguardanti (non) appena (stessa pagina, grassetto mio):
Come quando anche appenapuò reggere un congiuntivo imperfetto o piucchep[p]erfetto, che rappresenta o un futuro nel passato (202) o un condizionale modale (203):
(202) Contava di parlargli non appena si svegliasse / fosse svegliato.
(203) Il direttore gli aveva promesso un posto non appena fosse / fosse stato possibile.
Nella frase (202) naturalmente si può avere anche il condizionale composto:
Contava di parlargli non appena si sarebbe svegliato.
Con «non appena si fosse svegliato» vedrei lo svegliarsi come un evento del cui avverarsi non c’è certezza; con «non appena si sarebbe svegliato» lo svegliarsi sarebbe visto in una prospettiva che dà per iscontato il suo compiersi.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Eppure quell'uso temporale del congiuntivo non mi pare così trasparente – e direi anzi che si tratterebbe di un'interpretazione ipercorrettistica.
Quando ne fosse stata informata Anna avrebbe tenuto conto di questo.
Il congiuntivo è il modo del processo verbale pensato, della soggettività etc.: il futuro nel passato non ha implicazioni riguardanti la possibilità di un evento: se quell'evento si è realizzato, allora va marcato col condizionale, che da sempre contiene – etimologicamente – la nozione 'indicativa' del perfetto. Diversamente, nel nostro caso, il valore modale del congiuntivo implica la possibilità di un evento dipendente da un altro evento che non si è realizzato (ci troviamo in un ambito totalmente diverso, aggiungerei inconfondibilmente diverso). Sicché, l'esempio della grammatica renziana traballerebbe un po' nel suo preponderante significato temporale. In più, il contesto discriminante resterebbe ancora quello del momento enunciativo, hic et nunc. In «Anna avrebbe guardato il quadro», com'è evidente, non vi è condizionalità, ma temporalità – il contesto è quello relativo all'enunciazione, sintatticamente assoluto (idem per «Anna avrebbe guardato il quadro quando lo avrebbe visto»). In «Anna avrebbe guardato il quadro se lo avesse visto» vi è soprattutto condizionalità, e il contesto è quello espresso nella protasi. In «Anna avrebbe dovuto guardare il quadro» vi è il futuro nel passato di un evento frustrato, e il contesto, in un certo qual modo, è rintracciabile nell'orbita semantica del verbo servile.
Marco1971 ha scritto:Di nulla. Aggiungo queste poche righe riguardanti (non) appena [...]
Per il quale si ripropone la stessa identica questione.
Ladim ha scritto:Eppure quell'uso temporale del congiuntivo non mi pare così trasparente – e direi anzi che si tratterebbe di un'interpretazione ipercorrettistica.
Ipercorrettistica? Cioè si estenderebbe alle frasi puramente temporali l'uso del congiuntivo proprio di quelle dubitative ecc. in quanto «lectio difficilior» in un contesto simile?
Esattamente; ma con una precisazione: non in quanto «lectio difficilior» (la difficilior, per usare la sua stessa immagine, è comunque una lezione corretta, a uso dei più colti [lezione la cui legittimità è poco conosciuta], e che spesso può essere trivializzata da chi non è 'sufficientemente' colto: la mia ipotesi, diversamente, dice che il congiuntivo, nel nostro caso, non avrebbe valore temporale, ma soltanto modale – e in questo caso, il congiuntivo non mi pare difficilior; o forse lei pensava al condizionale? Perché allora, sì, si potrebbe parlare di difficilior: e i contesti non sarebbero «simili»). «Ipercorrettistica» perché l'uso ravvicinato di due condizionali crea confusione e dubbi (sospetti) anche (per non dire soprattutto) nei parlanti più sorvegliati: l'uso del congiuntivo si estenderebbe quindi a un contenuto che non gli apparterrebbe (la struttura sintattica dell'ipotetica, ad ogni modo corretta e pacifica, passerebbe a indicare un 'traballante' significato temporale, opacizzandosi).
Ho usato (non molto propriamente) l'immagine della lectio difficilior riferendomi agli usi sicuramente corretti del trapassato congiuntivo in dipendenza da un condizionale, nelle frasi di natura o sfumatura ipotetica: che non sono nettamente distinte da quelle meramente temporali, con cui – come abbiamo visto – si confondono, motivo per cui si prenderebbe un trapassato congiuntivo per un verbo alternativo al condizionale composto e di uguale valore ma preferibile in quanto piú prezioso (perché molto meno comune); in questo modo avevo interpretato quell'«ipercorrettistica», prima della sua precisazione.
Ora la sua posizione mi è chiara, ma non è forse troppo netta nel giudicare scorretto e improprio questo uso del congiuntivo, che dopotutto ha assunto spesso funzioni piuttosto eccentriche (ad esempio, per la cosiddetta attrazione modale in latino)?
P.s.: a questo punto non sono però affatto sicuro di aver compreso che cosa s'intende per condizionale modale.