«Wok»

Spazio di discussione su prestiti e forestierismi

Moderatore: Cruscanti

Bue
Interventi: 866
Iscritto in data: lun, 08 nov 2004 11:20

Intervento di Bue »

Caro umanista,
forse lei si è perso il fatto che la discussione su questo argomento, per una buona parte dei partecipanti, sta andando avanti da anni, prima sul forum dell'Accademia della Crusca e poi qui. Le posizioni che lei ha così elegantemente e dottamente espresso sono già state espresse e riespresse così come le obiezioni alle suddette posizioni.

Che si sta discutendo
se le parole guò e wok siano, e perché, adatte al sistema linguistico italiano, e piú in generale se è ancora giusto oppure no italianizzare i vocaboli stranieri anziché introdurli in italiano nella loro veste originale.
lo so benissimo, e le ripeto che di questo si sta discutendo (tra le stesse persone) da anni, senza che alcuno dei discutenti si sposti di un millimetro nelle sue posizioni.

Io, che non parlo latino quotidianamente e non ho alcuna autorità in materia linguistica, sono dell'opinione che gli adattamenti fonomorfologici (o come diavolo si chiamano, ogni volta cambio l'aggettivo) siano anacronistici e improponibili oggi, per vari motivi che ho espresso più volte, tra i quali - come ci ha giustamente ricordato bubu - il fatto fondamentale che oggi le parole si apprendono "con gli occhi anziché con gli orecchi" (Migliorini).

Quanto al seguire le mode: tutte le lingue parlate si sono evolute principalmente perché i parlanti hanno "seguito mode" di qualche genere.
Usare forestierismi è una moda o un vezzo, come lo era un tempo usare francesismi, come lo è per molti usare latinismi o locuzioni latine (la differenza sta forse nella scala del fenomeno, un tempo riservato alle élite - pardon, ho usato un forestierismo - perdindirindina, un altro! - oggi invece caratteristica delle masse, principalmente a causa delle mutate condizioni sociali tecnologiche e culturali).

Come ho già argomentato nel corso di questa annosa discussione, a mio avviso il motivo per cui la ragazzina dice bye è in ultima analisi lo stesso per cui lei o altri usa ipso facto e altri latinismi crudi, e cioè quello di "darsi un tono", di cercare di rendere la propria loquela più "sexy" (in senso lato, e secondo i propri personali criteri e quelli del proprio milieu - [aridaje!]).
Avatara utente
Federico
Interventi: 3008
Iscritto in data: mer, 19 ott 2005 16:04
Località: Milano

Intervento di Federico »

In effetti è tanto bello issofatto (ma anche perciostesso).
Non so però se anche questo sarebbe giudicato da Bue una parola usata per darsi un tono.

Comunque, umanista, non si offenda per certe risposte un po' brusche: come dice Bue, se ne discute da anni, perciò è inevitabile che ogni sua parola sia inserita in un certo filone e interpretata in un certo modo, e vi si controbatta con certi argomenti.
Avatara utente
Marco1971
Moderatore
Interventi: 10445
Iscritto in data: gio, 04 nov 2004 12:37

Intervento di Marco1971 »

Federico ha scritto:Non so se wok (che per inciso a me viene spontaneo leggere come vòc) «risponda [...] alle caratteristiche morfologiche e fonetiche delle altre parole» italiane...
Glielo dico io: non vi risponde punto.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Avatara utente
Marco1971
Moderatore
Interventi: 10445
Iscritto in data: gio, 04 nov 2004 12:37

Intervento di Marco1971 »

Bue ha scritto:Io, che non parlo latino quotidianamente e non ho alcuna autorità in materia linguistica, sono dell'opinione che gli adattamenti fonomorfologici (o come diavolo si chiamano, ogni volta cambio l'aggettivo) siano anacronistici e improponibili oggi, per vari motivi che ho espresso più volte, tra i quali - come ci ha giustamente ricordato bubu - il fatto fondamentale che oggi le parole si apprendono "con gli occhi anziché con gli orecchi" (Migliorini).
Francesco Sabatini ha scritto:L’omogeneità della lingua è necessaria per la funzionalità della comunicazione, non è una questione di bandiere, ma avere un sistema linguistico di cui conosciamo (perché lo possediamo internamente, non per studio) le regole di utilizzazione, sviluppo e ampliamento è una sicurezza, quindi l’omogeneità morfologica, fonologica (entro certi limiti, perché non bisogna essere rigidi) è una garanzia per quella macchina che è la lingua, uno strumento che deve funzionare bene. In termini concreti, significa che ho maggiore padronanza dei significati, della pronuncia e della grafia delle parole, e conosco il sistema perché lo pratico, non solo perché lo studio. Inoltre, si evita di isolare una parte della società che ha un linguaggio particolare, di qualsiasi tipo, anche non necessariamente proveniente dall’estero: cercare di comunicare con tutta la società è un obiettivo. Tutto ciò che disturba questo buon funzionamento, orizzontale, verticale, personale e sociale, è un fattore di dinamismo, si intende, però occorre attenzione, perché se incontrollato crea incomunicabilità. Questo spiega perché bisogna tener molto all’omogeneità (non dico purezza, perché è un termine improprio) accettabile e sufficiente. [...] Naturalmente c’è da evitare la puntigliosa sostituzione di ogni parola estera, perché, come dicevo, c’è da evitare l’isolamento della propria cultura rispetto ad altre culture. Esiste una certa quantità di vocaboli e di nozioni che sono la rete mondiale di intesa su fatti, concetti strumenti; e poter avere uno stesso termine per indicare le cose a cavallo delle culture è l’altra necessità. Abbiamo una possibilità di mediare tra le due esigenze, attraverso l’adattamento dei forestierismi, non sempre la sostituzione, traduzione eccetera. (sott. mie)
È anacronistico l’adattamento? Sono anacronistiche le considerazioni del presidente dell’Accademia della Crusca, rilasciate al mio amico Massimo Binelli circa un anno fa (e si ricordino anche le parole del professor Nencioni)?
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Avatara utente
Freelancer
Interventi: 1896
Iscritto in data: lun, 11 apr 2005 4:37

Intervento di Freelancer »

Infarinato ha scritto:P.P.S. È veramente buffo/bizzarro (:mrgreen:) che gl’italiani si ostinino a pronunciare una consonante finale [incompatibile con la fonotassi piú genuina della loro lingua] che in cantonese si percepisce appena (k, p, t finali sono infatti «a rilascio non udibile»). :twisted:
Ma chi l'ha detto che si ostinano? Lo fanno invece in modo naturale. Come Giacomo Devoto aveva previsto cinquant'anni fa parlando del terzo sistema fonologico, oggi gli italiani non hanno alcun problema a leggere e scrivere parole con terminazione consonantica, né a pronunziarle (anche se naturalmente le pronunziano "all'italiana").
Se ne convinca e tutto le apparirà più chiaro e per niente bizzarro. :wink:
Avatara utente
Freelancer
Interventi: 1896
Iscritto in data: lun, 11 apr 2005 4:37

Intervento di Freelancer »

Marco1971 ha scritto:
Incarcato ha scritto:E, in ogni caso, sarà l'wok, non il wok. Vero Marco? :mrgreen:
L’assimilazione, oltre a garantire l’omogeneità «plastica» della lingua e a prevenire storpiature grafiche e di pronunzia, elimina anche l’insorgere di dubbi come questi.
Questi dubbi nascono in chi conosce altre lingue e vorrebbe seguire l'astratta logica grammaticale. Invece il comune parlante italiano non ha dubbi, e dice e scrive senz'altro il wok perché, come già chiarito a proposito di il whisky (non l'whisky) e di lo swatch (non il swatch) è intimamente convinto che la w sia sempre una consonante.
Avatara utente
Marco1971
Moderatore
Interventi: 10445
Iscritto in data: gio, 04 nov 2004 12:37

Intervento di Marco1971 »

Freelancer ha scritto:Questi dubbi nascono in chi conosce altre lingue e vorrebbe seguire l'astratta logica grammaticale. Invece il comune parlante italiano non ha dubbi, e dice e scrive senz'altro il wok perché, come già chiarito a proposito di il whisky (non l'whisky) e di lo swatch (non il swatch) è intimamente convinto che la w sia sempre una consonante.
Siamo sicuri che se io facessi fare un dettato e nel testo comparisse wok il comune parlante scriverebbe wok e non uoc? Vogliamo provare?
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Avatara utente
Marco1971
Moderatore
Interventi: 10445
Iscritto in data: gio, 04 nov 2004 12:37

Intervento di Marco1971 »

Ricordo ancora questo:
Giovanni Nencioni ha scritto:Se veniamo al fenomeno odierno, dobbiamo riconoscere che gli anglismi non di radice latina (quali invece sono sponsorizzare, computazionale, implementare, interfaccia, facilmente, come si vede, assimilati alla struttura italiana), ma di radice anglosassone o più latamente germanica, quali trust, trend, spot, spray, stick, team, flash, break, bit, sprint, staff, presentano, oltre ad una diversità radicale, una diversità di struttura fonetica, non fosse che per terminare in consonante; donde la difficoltà dell’assimilazione all’italiano, scavalcata dal gusto della parola breve, spesso monosillabica, contro la lamentata lunghezza delle nostre parole. Tuttavia la nostra lingua, memore della felice operazione bistecca, non esita ad aggredire i prestiti inglesi, che nella divulgazione commerciale devono essere presentati in veste più o meno italofona: ed ecco, anche nella terminologia angloamericana di una disciplina nata negli Stati Uniti come l’informatica, spuntare italianizzazioni suffissali come softuerista, softuerizzare, scannerizzare “analizzare” o (ironicamente) scannare. (sott. mie)
E anche questo:
Giovanni Nencioni ha scritto:Una misura precauzionale – anche pel timore che i tecnicismi stranieri, penetrando nel lessico comune nazionale in forza del loro prestigio, ne emarginino o snaturino gli elementi indigeni e tradizionali – può essere la costituzione di osservatori neologici, rivolti a dettare norme per una formazione di neologismi tecnici che non violi i modi compositivi e il carattere delle lingue nazionali. [...]

Ma tale educazione non dovrà essere introversa, restando carcerata nella turris eburnea patria; dovrà aprirsi alle altre lingue neolatine – soprattutto alla francese e alle iberiche – per farsi parte attiva di una vasta solidarietà culturale. E concedendo la necessaria ospitalità all’anglismo nelle attività tecnologiche e industriali, sarà – come già consigliava Leopardi – largamente ospitale alle lingue sorelle, che le procureranno un arricchimento connaturale e perciò non alienante. Dal quale consiglio leopardiano viene a noi linguisti classificatori l’invito a sfumare l’usuraio concetto di prestito.
(sott. mie)
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Avatara utente
Infarinato
Amministratore
Interventi: 5212
Iscritto in data: gio, 04 nov 2004 10:40
Info contatto:

Intervento di Infarinato »

Freelancer ha scritto:
Infarinato ha scritto:P.P.S. È veramente buffo/bizzarro (:mrgreen:) che gl’italiani si ostinino a pronunciare una consonante finale […] che in cantonese si percepisce appena…
Ma chi l'ha detto che si ostinano?
«Si ostinano», perché… nell’originale [quasi] non c’è. ;)
Freelancer ha scritto:Come Giacomo Devoto aveva previsto cinquant'anni fa parlando del terzo sistema fonologico, oggi gli italiani non hanno alcun problema a leggere e scrivere parole con terminazione consonantica, né a pronunziarle […].
Se ne convinca e tutto le apparirà più chiaro e per niente bizzarro.
Non me ne devo convincere, caro Roberto, perché so benissimo entro quali limiti si deve intendere il «terzo sistema devotiano»: è Lei invece che a questi limiti non pare rassegnarsi…

Ma qui, come direbbe Ladim, faccio davvero punto.
Bue
Interventi: 866
Iscritto in data: lun, 08 nov 2004 11:20

Intervento di Bue »

Giovanni Nencioni ha scritto: la nostra lingua, memore della felice operazione bistecca, non esita ad aggredire i prestiti inglesi, che nella divulgazione commerciale devono essere presentati in veste più o meno italofona: ed ecco, anche nella terminologia angloamericana di una disciplina nata negli Stati Uniti come l’informatica, spuntare italianizzazioni suffissali come softuerista, softuerizzare, scannerizzare “analizzare” o (ironicamente) scannare.
(sott. mie)

La mia (personale, dunque non certo autorevole né infallibile) interpretazione delle parole di Nencioni è che la capacità di aggressione (della lingua, non dei linguisti) sia quella che ha come conseguenza la creazione spontanea di parole italianizzate come "scannerizzare" e "softuerista". L'operazione bistecca è stata spontanea, a quanto mi risulta, non imposta.
Marco1971 ha scritto:Sono anacronistiche le considerazioni del presidente dell’Accademia della Crusca?
Io solo ho espresso un mio parere sulla procedura di adattamento morfologico imposto dall'alto, premettendo la mia totale incompetenza.
Queste considerazioni del prof. Sabatini - almeno come sono presentate qui - sembrano invece prendere in considerazione questa possibilità. Accuso il colpo, anche se mi piacerebbe conoscere l'opinione del professore più specificamente nel merito di questa lista che sforna almeno un nuovo adattamento alla settimana. Ogni volta che ho letto o sentito alla radio o in TV suoi interventi, il prof. Sabatini, mi ha dato l'impressione di una persona estremamente moderata, equilibrata e non molto propensa a crociate e campagne puristico-apocalittiche, soprattutto nei confronti degli "allarmi" che gli venivano prospettati (ad esempio quello relativo al linguaggio giovanile fatto di faccine e abbreviazioni, uso delle k eccetera).

Comunque, non voglio fare la figura di quello che si arrampica sugli specchi.

Mi rinchiuderò nella turris eburnea del mio scetticismo pragmatico-sperimentale e attenderò i risultati della crociata.

P.S. In effetti, a onor del vero, il prof. Sabatini su questa iniziativa specifica si era espresso, nella succitata intervista rilasciata all'amico di Marco (sottolineature e note caustiche mie):
I “Cruscanti” combattono il fenomeno della terminazione in consonante [...] Anche qui c’è da non esagerare [...] La terminazione in consonante, tra l’altro, è entrata nell’italiano attraverso i latinismi. Allora non possiamo piú dire rebus e dobbiamo dire rebusse, oppure dobbiamo evitare anche i latinismi? Ma siccome nella civiltà moderna l’immagine scritta delle parole conta almeno quanto quella fonica, e rebus non possiamo trasformarlo in rebusse, si presuppone almeno un po’ di conoscenza del latino, per avere familiarità con parole come rebus, corpus, referendum. Dovremmo forse dire referendumme? Terminazioni in consonante, a mio modo di vedere, non costituiscono un problema, perché sigle, cognomi e latinismi ci impongono di imparare questa regola.
[...]I simpaticissimi “Cruscanti”, prima di tutto, meritano tutta la stima [...]Mi sembra, tuttavia, che siano sulla linea di una rigidità eccessiva nei confronti della presenza, circolazione entrata e adattamento dei termini stranieri.[...] Sono da considerare un modello, almeno come impegno. Possono avere anche idee non collimanti con quelle di altri (1) però il loro impegno, lo rimarco, è lodevole.
P.P.S. Che notizie ci sono della collaborazione tra i "Cruscanti" e l'Accademia, auspicata dal Professore e sicuramente (su questo spero saremo tutti concordi) potenzialmente molto più efficace di un filone su questo forum?

(1) trad.: "non collimanti con le mie" [NCdB (2)]
(2) Nota Caustica del Bue.
Avatara utente
Marco1971
Moderatore
Interventi: 10445
Iscritto in data: gio, 04 nov 2004 12:37

Intervento di Marco1971 »

Hai fatto bene a riportare quel passo. In realtà sappiamo bene di essere s’una linea rigida, è fatto apposta per combattere un eccesso, per tentare di riequilibrare le cose.

Certamente il professor Sabatini scherza con referendumme e non ignora che si può dire referendo (cfr il suo maestro Castellani, che fu – come il mio maestro – allievo di Migliorini).
Ultima modifica di Marco1971 in data sab, 01 set 2007 19:15, modificato 1 volta in totale.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Ladim
Interventi: 216
Iscritto in data: lun, 08 nov 2004 14:36

Intervento di Ladim »

Bue ha scritto:Come ho già argomentato nel corso di questa annosa discussione, a mio avviso il motivo per cui la ragazzina dice bye è in ultima analisi lo stesso per cui lei o altri usa ipso facto e altri latinismi crudi, e cioè quello di "darsi un tono", di cercare di rendere la propria loquela più "sexy" (in senso lato, e secondo i propri personali criteri e quelli del proprio milieu - [aridaje!]).
È qui descritto molto bene un aspetto importante: il «darsi un tono» vorrebbe una riflessione da parte del parlante, la scelta di un'identità.

Ma aggiungo una considerazione personale... Seppure, in generale, voglio accogliere quei forestierismi largamente diffusi (per i quali non varrebbe imbastire una strategia linguistica di tutela – la tutela, ovviamente, è per il buonsenso), e alludo a parole ormai di 'uso italiano' ('ci metto dentro' anche i film gli stop e i tunnel), a me vien da pensar male quando scopro che, oggi, tennis (un anglismo importato dal gioco, che da noi ha prodotto le 'scarpe da tennis') non va più bene, e bisogna dire snicher (e qualcuno mi ha già detto: «ma le scarpe da tennis e le snicher sono due cose diverse!» – già, a quanto pare le prime le indossano 'tutti', le seconde no!): a me impensierisce, più che la parola, l'atteggiamento che scopro dietro a questo 'volersi dare un tono' (e direi anche che, spesso, di là dall'uso di codici e di sottocodici, pure un ipsofacto detto in un certo modo mi dà da pensare: così, all'opposto, mi fa piacere quando mi rendo conto che una parola 'barbara' esprime uno stato d'animo, un sentimento vissuto, finalmente genuino, quando insomma incontro un ricordo personale: l'ipsofacto del mio vecchio professore, che stimavo, non per l'ipsofacto! il mai-gòd della mia zietta, che stimavo non per il suo mai-gòd!... mi sembrano, queste, debolezze ad ogni modo gradevoli... invece, la stupidità, anche quando è vestita dottamente, mi procura una sensazione ben sgradevole... Ma è un discorso non esattamente scientifico, il mio, forse fin troppo rilassato, e vedo bene che ha anche poca attinenza: chiederei scusa).
Avatara utente
Marco1971
Moderatore
Interventi: 10445
Iscritto in data: gio, 04 nov 2004 12:37

Intervento di Marco1971 »

Bue ha scritto:L'operazione bistecca è stata spontanea, a quanto mi risulta, non imposta.
A me risulta che sia stata introdotta nel 1844 nelle traduzioni di Walter Scott...
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Bue
Interventi: 866
Iscritto in data: lun, 08 nov 2004 11:20

Intervento di Bue »

Ah già è vero, non ricordavo... Gualtiero Scotti (devo essermi confuso con l'operazione ponce...).
Rimane il fatto che si tratta di un'operazione che è stata possibile nelle condizioni socioculturali del 1844, che sono un attimino (:mrgreen:) diverse da quelle attuali. Ma avevo promesso di non ricominciare (e poi uno si chiede come avvengono le faide della 'ndrangheta...)
Avatara utente
Marco1971
Moderatore
Interventi: 10445
Iscritto in data: gio, 04 nov 2004 12:37

Intervento di Marco1971 »

Ma allora proprio non lo vuoi capire, neanche se te lo dice il presidente della Crusca in persona. Pazienza.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Intervieni

Chi c’è in linea

Utenti presenti in questa sezione: Nessuno e 9 ospiti