Lo Stato e la Crusca

Spazio di discussione su questioni che non rientrano nelle altre categorie, o che ne coinvolgono piú d’una

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Marco1971
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Lo Stato e la Crusca

Intervento di Marco1971 »

What a surprise! :cry: Leggete qui
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Dario Brancato
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Intervento di Dario Brancato »

Cari Cruscanti,

Il grido d'allarme che da ultimo Valdo Spini ha lanciato sullo stato di salute dell'Accademia della Crusca, fotografa una situazione attuale che, a costo di ripetere verità lapalissiane, ha per cause anche svariati fattori che mi permetto di riassumere qui sotto, lasciando ovviamente il campo aperto a discussioni, aggiunte ed approfondimenti.

1) La Crusca non ha l'autorità normativa che hanno altre istituzioni (in Francia e in Germania, per esempio). Dagli interventi che leggo nel forum, mi sembra che anche altri partecipanti alla discussione abbiano denunciato questo vuoto. Sono in declino infatti dizionari e grammatiche normativi. La pur ottima grammatica di Serianni e i vari dizionari spesso citati, infatti, non hanno il crisma dell'ufficialità della Crusca. Agli studenti stranieri d'italiano che mi chiedono un consiglio sull'acquisto di un vocabolario monolingue mi trovo costretto a indicarne piú di uno.

2) Le discussioni di politica linguistica in Italia sono spesso strumentalizzate a vantaggio di certa politica deteriore (leggi: per la campagna elettorale di alcuni partiti), mentre chi propone una piú corretta osservanza della lingua italiana o dei neologismi che rimpiazzino altrettanti forestierismi (ma dovrei dire anglismi) è immediatamente bollato col marchio d'infamia di pedante o sciovinista, come se fosse un peccato mortale amare la propria lingua. Dove abito io, in Quebec, la provincia canadese a maggioranza francofona, la lingua francese è tutelata da una legge: la legge 101 che due mesi fa ha compiuto trent'anni. L'ente che vigila sullo stato della lingua francese è l'"Office de la langue française" (OLF, http://www.olf.gouv.qc.ca/), il quale ha anche il compito di fornire delle traduzioni francesi valide di termini inglesi. Non tutti neologismi, però, sono nati dall'inventiva dei linguisti dell'OLF, ma spesso dall'iniziativa di singoli giornalisti o gruppi di parlanti che hanno proposto non semplici traduzioni, ma termini alternativi, convalidati dall'OLF e prontamente utilizzati nei mezzi di comunicazione. E dunque, laddove in Francia si ha "mail" e "chat", in Quebec si è felicemente adottato "courriel" (courrier électronique) e "clavardage" (clavier + bavardage). Il successo di questi vocaboli nasce anche da un certo orgoglio diffuso che i quebecchesi (molto più dei loro cugini europei) hanno nei confronti del loro idioma. Da ciò deriva che

3) Molti italiani non sono orgogliosi della propria lingua: vuoi perché psicologicamente si è convinti della superiorità di altre lingue, inglese soprattutto (ritenuto più agile ed espressivo, ma quando mai!), ma anche latino e via di seguito altre lingue moderne; vuoi perché verso l'italiano si nutre un terrore reverenziale, ingigantito dall'artificiosità del burocratese e della lingua formale, oltre che dall'interferenza coi dialetti, vissuti, questi ultimi, in maniera contraddittoria (amore viscerale o vergogna) e non come altro sistema linguistico che può solo essere positivo.

4) All'orrore/vergogna per l'italiano corrisponde specularmente anche un interesse costante, se non crescente, verso la correttezza linguistica. Prova ne siano i numerosi interventi in rete nel presente forum e in altri, piú letti, di Severgnini e di De Rienzo. Come ho osservato nel punto 1, il vuoto d'autorità lasciato dalla Crusca lascia il campo libero a individui, i quali, per bravi che siano nel loro mestiere, quello di giornalista appunto, non possono avere la competenza o il prestigio di un linguista. Eppure, Italiano: lezioni semiserie e Scioglilingua sono in testa alle classifiche di vendita dei libri. Il segreto del successo dei forum e delle loro emanazioni cartacee si basa, a mio modesto parere, sulla semplicità e informalità dello stile di tali iniziative e sulla possibilità e immediatezza che hanno i frequentatori del forum di partecipare alla discussone. Ben vengano libri del genere, che sicuramente, proprio per il loro tono informale, sensibilizzano a problemi di linguistica anche i non addetti ai lavori, ma non capisco perché gli autori non si avvalgano della collaborazione di specialisti. A tali sconfinamenti da parte dei giornalisti nel mondo della linguistica nessuno controbatte: nessuno, infatti, si sognerebbe mai di dare a Severgnini lezioni di giornalismo (già mi immagino i velenosi inviti da parte del giornalista di Crema a non immischiarmi nella deontologia professionale se scrivessi "Giornalismo: lezioni semiserie").

5) Insomma, la lingua non è una cosa seria, anzi è "semiseria", pertanto non mi sorprende se la Crusca non abbia neppure i soldi per mantenere il forum. A dire il vero, le soluzioni potrebbero arrivare da un felice connubio fra divulgazione e rigore scientifico. Si potrebbe, per esempio, chiedere a un quotidiano nazionale di ospitare una rubrica/forum (sul modello di quella di Severgnini) moderata da un linguista di fama nazionale. Esistono, è vero, spazi, come "Parole in corso" (sul sito de "La Stampa"), a cura di Gian Luigi Beccaria, ma a mio avviso il formato di dieci lettere, che possono essere quesiti o semplici segnalazioni, sfoghi, ecc., mette in primo piano il lettore e dunque contribuisce a un dialogo più proficuo fra esperti e meno esperti, dai quali, anzi, possono sempre venire idee e soluzioni interessanti.

Vi ringrazio anticipatamente per le risposte.

Dario Brancato.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Sono felice di accoglierla tra noi, Dario. :)

Per quanto mi riguarda, condivido le sue considerazioni, molte delle quali da me già fatte a molte riprese qui e nel foro della Crusca (tanto che mi è stato rimproverato, giustamente, di ripetermi).

Che dire? Senza un’istituzione italiana (che dovrebbe essere la Crusca) e una reale collaborazione terminologica tra le Accademie delle varie nazioni è vana ogni speranza. E piú si attende, piú ci si abitua a chiamare le cose con nomi alieni e alienanti. Ma, si sa, in Italia soprattutto, la lingua è un conte senza contea (la quinta ruota del carro)...
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
M
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lingua nella costituzione

Intervento di M »

si sa qualcosa dell'inserimento della lingua italiana nella costituzione?
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Se n’era parlato qui.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Intervento di Freelancer »

Dario Brancato ha scritto:A tali sconfinamenti da parte dei giornalisti nel mondo della linguistica nessuno controbatte: nessuno, infatti, si sognerebbe mai di dare a Severgnini lezioni di giornalismo (già mi immagino i velenosi inviti da parte del giornalista di Crema a non immischiarmi nella deontologia professionale se scrivessi "Giornalismo: lezioni semiserie").
Penso di poter prevedere la risposta di Severgnini: che per parlare di giornalismo bisogna aver studiato e praticato il giornalismo, mentre un giornalista si occupa per mestiere della scrittura e quindi è autorizzato a parlare di lingua. Infatti, come aveva detto Otto Jespersen (ce lo racconta Bruno Migliorini in Purismo e neopurismo, "[...] non c'è campo delle conoscenze umane in cui il primo venuto creda d'aver maggior titolo ad esprimere senza studio scientifico una propria opinione che nelle questioni concernenti la lingua materna: [...]".

Chi invece potrebbe parlare in modo autoritativo, ossia gli specialisti, ossia i linguisti, come ancora dice Migliorini nel saggio Primi lineamenti di una nuova disciplina: la linguistica applicata o glottotecnica, schiva questo compito perché "[...] il loro storicismo...li induce a rifiutare ogni intervento in quello che essi ritengono il fatale andare delle lingue."

Ricordiamo anche che il fiorire di tentativi "pubblici" di traduzioni e adattamenti, che Migliorini cercò di guidare con oculatezza, ebbe luogo nel periodo di autarchia linguistica. Chi mai (intendo: tra i linguisti) scriverebbe oggi articoli come Come tradurre guardrail? che Migliorini scriveva spesso?
Ad esempio, che un linguista come Luca Serianno abbia proposto l'ottimo allegato come traducente di handout io lo so per caso, per averlo letto in una nota di un articolo di Arrigo Castellani, mica perché esiste (per quel che ne so) un articolo titolato Come tradurre handout?

Il fatto è (e mi scuso per le frequenti citazioni di Migliorini) che come lui ci ha detto nell'articolo Varianza, non bastano i linguisti, occorrerebbe un connubio tra di loro e gli specialisti dei vari settori. Ma un "osservatorio neologico" (auspicato da Maria Luisa Altieri Biagi) avrebbe bisogno, non tanto di un'investitura dello stato, che potrebbe anzi causare reazioni di rigetto dei traducenti proposti, ma semplicemente di una collaborazione fattiva tra, per l'appunto, linguisti e specialisti del settore. E chiunque si rende conto che questo sarebbe un lavoro a tempo pieno per più persone semplicemente per produrre un manipolo di termini (dieci? quindici?) ogni settimana.

Insomma, mancano le risorse finanziarie (senza parlare del fatto che non tutte le persone - anzi forse poche - con le competenze adatte, vorrebbero dedicare le proprie forze esclusivamente alle ricerche terminologiche).
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Freelancer ha scritto:E chiunque si rende conto che questo sarebbe un lavoro a tempo pieno per più persone semplicemente per produrre un manipolo di termini (dieci? quindici?) ogni settimana.

Insomma, mancano le risorse finanziarie (senza parlare del fatto che non tutte le persone - anzi forse poche - con le competenze adatte, vorrebbero dedicare le proprie forze esclusivamente alle ricerche terminologiche).
In realtà, secondo me, le risorse finanziarie ci sarebbero, se fossero distribuite con maggior senno; e sicuramente ci sarebbero linguisti che, degnamente retribuiti, si dedicherebbero alla terminologia.

Ma sappiamo come vanno le cose, in Italia; e non sarà mai fatto nulla di concreto per la lingua, con o senza soldi.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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bubu7
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Intervento di bubu7 »

Freelancer ha scritto: Chi invece potrebbe parlare in modo autoritativo, ossia gli specialisti, ossia i linguisti, come ancora dice Migliorini nel saggio Primi lineamenti di una nuova disciplina: la linguistica applicata o glottotecnica, schiva questo compito perché "[...] il loro storicismo...li induce a rifiutare ogni intervento in quello che essi ritengono il fatale andare delle lingue."

Ricordiamo anche che il fiorire di tentativi "pubblici" di traduzioni e adattamenti, che Migliorini cercò di guidare con oculatezza, ebbe luogo nel periodo di autarchia linguistica. Chi mai (intendo: tra i linguisti) scriverebbe oggi articoli come Come tradurre guardrail? che Migliorini scriveva spesso?
Questo è vero, caro Roberto, ma dobbiamo ricordare che anche dopo il ventennio Migliorini auspicava una maggiore attenzione da parte dei linguisti nei confronti di quei processi che avrebbero potuto indebolire la compattezza della lingua (pur riconoscendo improponibile un intervento del tipo di quelli proposti durante il periodo fascista). È lo stesso atteggiamento che, seppure in maniera più sfumata, ha Serianni.

Sull'esistenza delle risorse finanziarie sono d'accordo con Marco, mentre sono d'accordo con te che pochi linguisti (ma, probabilmente, ci sarebbe qualcuno) vorrebbero occuparsi di questo (per l'atteggiamento storicistico a cui s'accennava in precedenza).
Ultima modifica di bubu7 in data lun, 15 ott 2007 9:05, modificato 1 volta in totale.
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
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Intervento di Freelancer »

Solo una precisazione perché non vorrei essere considerato ingenuo:

So bene, come tutti, che a meno di non essere povero in canna, uno Stato le risorse finanziarie le ha sempre (e particolarmente l'Italia dove gli sprechi non si contano). Quando si dice che mancano le risorse finanziarie per un certo scopo, s'intende naturalmente che manca la volontà di usarle in quella direzione.
:wink:
Dario Brancato
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Iscritto in data: mar, 25 set 2007 1:45

Intervento di Dario Brancato »

Sempre per restare sul tema della politica linguistica, vorrei sottoporvi una lettera pubblicata oggi su "Italians" di Severgnini. Per leggerla, andate qui. Per quanto l'argomento della lettera si discosti lievemente da quello del nostro filone, concordo con il principio di fondo dell'autrice, cioè sul fatto che sarebbe ora di superare l'equazione che pone sullo stesso livello fascisti e difensori della lingua.
Solo cosí, infatti, sarebbe possibile ridestare l'interesse dei linguisti. Per tale ragione, sono d'accordo con Marco e Roberto: secondo me (ma forse sono ingenuo) la creazione di un osservatorio sulla lingua patrocinato dallo stato, non sarebbe né impossibile, né costosa. Si potrebbe, infatti, alleviare l'onere dei costi richiedendo la collaborazione delle università straniere e degli istituti italiani di cultura. E chissà che non salti fuori un vecchio mecenate pronto a donare un milione di dollari alla Crusca...
Avatara utente
Marco1971
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Iscritto in data: gio, 04 nov 2004 12:37

Intervento di Marco1971 »

Dario Brancato ha scritto:...concordo con il principio di fondo dell'autrice, cioè sul fatto che sarebbe ora di superare l'equazione che pone sullo stesso livello fascisti e difensori della lingua.
Anch’io! Secondo me il fatto è che non si capisce bene che mantenere integra la lingua non significa affatto adottare una politica linguistica di rigetto in blocco dei forestierismi; significherebbe, invece, adottare solo quelli indispensabili (che non si possono tradurre o rendere con neoconi), adattandone almeno la grafia – se troppo costa andare fino in fondo e fare l’adattamento completo (come bovindo da bow-window).
Dario Brancato ha scritto:Solo cosí, infatti, sarebbe possibile ridestare l'interesse dei linguisti. Per tale ragione, sono d'accordo con Marco e Roberto: secondo me (ma forse sono ingenuo) la creazione di un osservatorio sulla lingua patrocinato dallo stato, non sarebbe né impossibile, né costosa. Si potrebbe, infatti, alleviare l'onere dei costi richiedendo la collaborazione delle università straniere e degli istituti italiani di cultura. E chissà che non salti fuori un vecchio mecenate pronto a donare un milione di dollari alla Crusca...
Ciò che trovo allarmante è proprio il fatto che molti linguisti ritengano del tutto normale lasciare che si saccheggi la lingua, e che se ne lavino le mani col nobile concetto di «evoluzione spontanea», atteggiandosi a elaboratori elettronici che non oltrepassano la dimensione analitica per giungere a una visione critica.

Quello dei fondi è forse un falso problema. Io mi auguro che qualcosa realmente si faccia; ma devo ammettere che sono molto perplesso, per non dire scoraggiato, e un episodio come il disegno di legge per un Consiglio Superiore della Lingua Italiana la dice lunga sul nostro Paese...
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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