femminile di aggettivi in -ore

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herato
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femminile di aggettivi in -ore

Intervento di herato »

Salve.
Mi piacerebbe sapere come si costruisce (se esiste) il femminile degli aggettivi "possessore" e "ascensore".

Grazie mille
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Possessore fa posseditrice al femminile; e ascensore, ascenditrice (benché non registrato). Accanto a queste forme esistono le varianti popolari in -ora (possessora, ecc.).
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Incarcato
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Intervento di Incarcato »

Gentile Herato, se vorrà approfondire, c'è anche questa risposta dell'Accademia della Crusca sui femminili in -tore e -sore.
I' ho tanti vocabuli nella mia lingua materna, ch'io m'ho piú tosto da doler del bene intendere le cose, che del mancamento delle parole colle quali io possa bene esprimere il concetto della mente mia.
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Re: femminile di aggettivi in -ore

Intervento di Freelancer »

herato ha scritto:Salve.
Mi piacerebbe sapere come si costruisce (se esiste) il femminile degli aggettivi "possessore" e "ascensore".

Grazie mille
Secondo me per ascensore vale per analogia quanto la Crusca dice a proposito di confessore, ossia, essendo nel caso di ascensore il nome riferito a un oggetto specifico, non si può pensare a farne il femminile.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Ma qui si parlava non dell’ascensore oggetto, ma dell’aggettivo e sostantivo ascensore ‘che, chi ascende’: una donna può ascendere, per cui se ne può fare tranquillamente ascenditrice.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Intervento di Freelancer »

Marco1971 ha scritto:Ma qui si parlava non dell’ascensore oggetto, ma dell’aggettivo e sostantivo ascensore ‘che, chi ascende’: una donna può ascendere, per cui se ne può fare tranquillamente ascenditrice.
L'avevo capito, ma penso si possa argomentare in merito: il nome di agente va bene quando l'azione è ripetuta, non nel caso singolo. Diremo quindi calunniatore quando si parla di una persona che insiste e persiste in questo suo comportamento, ma diremo lo ha calunniato quando il fatto è successo una sola volta. Dato che ovviamente una persona, il sesso non importa, può ascendere una sola volta (al cielo o al trono), io eviterei in questi casi di usare sia ascensore sia il corrispondente femminile, a meno di non avere scopi umoristici con la propria scrittura. E non mi si venga a dire che ascenditrice va bene per una donna che si è sposata più volte o più volte ha ricevuto il premio Nobel, a meno per l'appunto di non voler scherzare.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Freelancer ha scritto:L'avevo capito, ma penso si possa argomentare in merito: il nome di agente va bene quando l'azione è ripetuta, non nel caso singolo.
E se uno mente/ruba una volta sola non si chiama comunque bugiardo/ladro? E per essere omicida quante persone bisogna aver ucciso?
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Intervento di Freelancer »

Marco1971 ha scritto:
Freelancer ha scritto:L'avevo capito, ma penso si possa argomentare in merito: il nome di agente va bene quando l'azione è ripetuta, non nel caso singolo.
E se uno mente/ruba una volta sola non si chiama comunque bugiardo/ladro? E per essere omicida quante persone bisogna aver ucciso?
Non cambiamo le carte in tavola per favore; stiamo parlando del nome di agente in -atore formato a partire da un verbo della prima o della seconda coniugazione. Consideriamo il famoso esempio di Bruno Migliorini su un possibile ma inesistente *arabescatore. Se una persona fa abitualmente arabeschi bellissimi potrò senz'altro dire "è un formidabile arabescatore"; ma se ne ha fatto uno solo nella sua vita, dirò invece "ha fatto un arabesco bellissimo".
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

In realtà stiamo parlando del femminile di ascensore, che, nei rarissimi casi in cui ciò fosse necessario, potrebbe essere soltanto ascenditrice. E nulla c’entra il discorso di una che ascende una o piú volte: fa lo stesso.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Intervento di Freelancer »

Marco1971 ha scritto:In realtà stiamo parlando del femminile di ascensore, che, nei rarissimi casi in cui ciò fosse necessario, potrebbe essere soltanto ascenditrice. E nulla c’entra il discorso di una che ascende una o piú volte: fa lo stesso.
Mi scusi, mi ero dimenticato che qui si possono fare anche discussioni del tutto teoriche teoriche che nulla hanno che fare con l'uso reale della lingua.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

L’uso reale della lingua? La prossima cosa che mi aspetto da lei è che mi dica che il mio uso è irreale e magari che son fatto di plastica... :?
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Intervento di Freelancer »

Marco1971 ha scritto:L’uso reale della lingua? La prossima cosa che mi aspetto da lei è che mi dica che il mio uso è irreale e magari che son fatto di plastica... :?
Volevo dire: in situazioni reali. Suvvia, mi faccia un esempio in cui occorra veramente adoperare la parola ascenditrice. In potenza la parola esiste, non c'è dubbio.
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Intervento di Marco1971 »

Beh, riprendendo l’esempio di Buonarroti il Giovane:

Calan loro una corda dal balcone
d’argento e d’or contesta; l’ascensore
a i fianchi la si annoda, e vi s’attiene,
colle mani, e la strigne.


Se chi ascende fosse stato una donna, Buonarroti avrebbe scritto ascenditrice. L’ho detto prima, sarebbe un uso eccezionale – ma lecito.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Intervento di Freelancer »

Marco1971 ha scritto:Beh, riprendendo l’esempio di Buonarroti il Giovane:

Calan loro una corda dal balcone
d’argento e d’or contesta; l’ascensore
a i fianchi la si annoda, e vi s’attiene,
colle mani, e la strigne.


Se chi ascende fosse stato una donna, Buonarroti avrebbe scritto ascenditrice. L’ho detto prima, sarebbe un uso eccezionale – ma lecito.
Il fatto è che vediamo le cose da due punti di vista diversi: lei è attento solo, o soprattutto, alla liceità grammaticale e magari etimologica; io invece guardo anche, o soprattutto, al senso linguistico. E quest'ultimo mi fa sentire strano, e al limite non del tutto confacente, l'uso di un nome d'agente quando l'azione non è ripetuta o anche se lo si presuppone, perché in quest'ultimo caso il senso linguistico invita a usare un'altra forma.

Ammetto di dover temperare la mia affermazione iniziale, pensando ad esempio a casi come creditore o addirittura feritore (letto or ora su un giornale in rete: arrestato il feritore del cacciatore..., anche se la rima inviterebbe a dire arrestata la persona che ha ferito il cacciatore...), ma li si contrasti ad esempio con cacciatore o con colpitore, che non si userebbe mai per chi, per una sola volta, dà un pugno o a *gemitore, che, come dice Migliorini, parrebbe nuovo e strano. E non solo perché il modulo -ire:-itore non è aperto come invece lo è il modulo -are:-atore, ma anche perché, aggiungo io, normalmente non si associa l'azione del gemere a un comportamento abituale o non si userebbe il nome di agente. Chi mai direbbe o scriverebbe un popolo gemitore sotto il giogo straniero anziché un popolo che geme sotto il giogo straniero?
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Intervento di Marco1971 »

Beh, devo dire che non capisco il suo punto di vista, che rispetto peraltro, ma proprio non lo capisco. Come sia possibile definire un nome sulla base del numero di occorrenze dell’atto commesso mi sfugge completamente.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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