«Sinistra radicale»
Moderatore: Cruscanti
«Sinistra radicale»
È ormai stabilmente entrata nel lessico della politica e del giornalismo politico l'espressione sinistra radicale.
In buon italiano sarebbe, a me pare, la sinistra estrema; di Estrema senz'altro si scriveva e parlava a fine Ottocento, alludendo ai deputati repubblicani, radicali e socialisti che la componevano.
Radical nel significato di estremista credo sia un'importazione dal lessico politico statunitense, perché da noi radicale e radicalismo evocavano sino a non troppi anni fa soltanto il Partito Radicale, nato negli anni '50 come scissione a sinistra del Partito Liberale.
Non capisco bene le ragioni della fortuna (attualmente più linguistica che elettorale) della sinistra radicale, ed ero tentato di aprire questo filone nella sezione Forestierismi. È troppo tardi per ribattezzarla sinistra estrema o estrema sinistra?
In buon italiano sarebbe, a me pare, la sinistra estrema; di Estrema senz'altro si scriveva e parlava a fine Ottocento, alludendo ai deputati repubblicani, radicali e socialisti che la componevano.
Radical nel significato di estremista credo sia un'importazione dal lessico politico statunitense, perché da noi radicale e radicalismo evocavano sino a non troppi anni fa soltanto il Partito Radicale, nato negli anni '50 come scissione a sinistra del Partito Liberale.
Non capisco bene le ragioni della fortuna (attualmente più linguistica che elettorale) della sinistra radicale, ed ero tentato di aprire questo filone nella sezione Forestierismi. È troppo tardi per ribattezzarla sinistra estrema o estrema sinistra?
In senso politico, radicale (dall’inglese radical) è attestato sin dal 1819. Mi sembra dunque difficile sradicarlo... 

Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Probabilmente le espressioni sinistra estrema o estrema sinistra richiamano alla memoria collettiva un recente passato politico controverso - il cui odore di benzina incendiata e cordite ancora accende inquietudini - e, proprio per l'ineludibile legame semantico con tali esperienze di insorgenza violenta, non esprimono in pieno i contenuti ideologici di queste nuove espressioni politiche e sociali. Insomma, il mondo è cambiato dagli anni Sessanta-Settanta, e sono cambiate anche le parole per raccontarlo. L'approssimazione è l'inevitabile scotto (babelico) da pagare. Purtroppo per i Radicali di Pannella, i mass media hanno congiurato contro di loro, usurpandone - chissà, anche forse per la pigrizia mentale di quegli stessi giornalisti che, all'opposto, spesso si sbizzarriscono nel proporre orrendi neologismi - il nome.
E neanche opportuno, tutto sommato.Marco1971 ha scritto:In senso politico, radicale (dall’inglese radical) è attestato sin dal 1819. Mi sembra dunque difficile sradicarlo...
Ricordiamoci che radicale ha, in campo politico, oltre al significato tecnico di ‘ispirantesi all’ideologia del radicalismo’, anche il significato generico di ‘fautore di profonde (radicali, appunto) innovazioni nella società’. È la ripresa del significato di quest’ultima accezione che permette di attribuire l’aggettivo all’estrema sinistra.
Il significato generico di radicale ha solide basi nella lingua italiana. Una nuova locuzione che non ne stravolga il campo semantico, anche se fosse un calco dall’inglese, non mi sembra da censurare.
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
V. M. Illič-Svitič
Sottoscrivo.bubu7 ha scritto:E neanche opportuno, tutto sommato.
Ricordiamoci che radicale ha, in campo politico, oltre al significato tecnico di ‘ispirantesi all’ideologia del radicalismo’, anche il significato generico di ‘fautore di profonde (radicali, appunto) innovazioni nella società’. È la ripresa del significato di quest’ultima accezione che permette di attribuire l’aggettivo all’estrema sinistra.
Il significato generico di radicale ha solide basi nella lingua italiana. Una nuova locuzione che non ne stravolga il campo semantico, anche se fosse un calco dall’inglese, non mi sembra da censurare.

Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Proprio contro questa spiegazione insorgono i contestatori dell'attribuzione dell'aggettivo: secondo questi scontenti - tra i quali, naturalmente, quelli che si sentono defraudati dell'epiteto in oggetto -, i "neoradicali" dell'"estrema sinistra" sarebbero tutt'altro che innovatori. Proprio sul significato di "radicalismo" come "innovazione" essi fondano il proprio ragionamento polemico: le realtà sociopolitiche cui i mass media hanno deciso di assegnare il titolo di "radicali" sarebbero costituite da militanti reazionari e misoneisti.bubu7 ha scritto:Ricordiamoci che radicale ha, in campo politico, oltre al significato tecnico di ‘ispirantesi all’ideologia del radicalismo’, anche il significato generico di ‘fautore di profonde (radicali, appunto) innovazioni nella società’. È la ripresa del significato di quest’ultima accezione che permette di attribuire l’aggettivo all’estrema sinistra
Però nel nostro lessico politico si trova anche destra radicale, attribuendo pure in questo caso all'aggettivo il significato di estrema/estremista. Sarei curioso di sapere chi e quando ha introdotto da noi questa accezione di radicale, credo inizialmente per la sinistra e poi per analogia per la destra. Bertinotti certamente ne faceva e probabilmente tuttora ne fa uso, ma non so se ne sia stato l'inventore. E sono malizioso se penso che dirsi radicale anziché estremista è anche un espediente per non allontanare o spaventare potenziali elettori?
Quanto all'origine, tenderei a pensare che liberal e radical nel senso di progressista ed estremista (inizialmente solo di sinistra) ci siano venuti dagli USA negli scorsi decenni. E liberal ormai non viene nemmeno tradotto, il più delle volte.
Quanto all'origine, tenderei a pensare che liberal e radical nel senso di progressista ed estremista (inizialmente solo di sinistra) ci siano venuti dagli USA negli scorsi decenni. E liberal ormai non viene nemmeno tradotto, il più delle volte.
Quando ho scritto il mio intervento non compariva sullo schermo quello di bartolo.
Aggiungo che avendo noi, come la Francia, un partito radicale di ascendenze addirittura ottocentesche, sinistra radicale dovrebbe propriamente e anzitutto significare: a) la parte della sinistra rappresentata dal Partito Radicale oppure (b) l'ala sinistra del Partito Radicale.
Oggi se dico di sostenere la sinistra radicale si può pensare che segua, per far solo due nomi, Bertinotti o Diliberto. Ma se dico di essere radicale si può pensare che segua Pannella e la Bonino. Insomma, la voga dell'aggettivo radicale per estremista/estremo a me pare abbia confuso e complicato le cose, invece di chiarirle. Chi ha convinzioni di estrema lo dichiari semplicemente, senza tante giravolte lessicali.
Aggiungo che avendo noi, come la Francia, un partito radicale di ascendenze addirittura ottocentesche, sinistra radicale dovrebbe propriamente e anzitutto significare: a) la parte della sinistra rappresentata dal Partito Radicale oppure (b) l'ala sinistra del Partito Radicale.
Oggi se dico di sostenere la sinistra radicale si può pensare che segua, per far solo due nomi, Bertinotti o Diliberto. Ma se dico di essere radicale si può pensare che segua Pannella e la Bonino. Insomma, la voga dell'aggettivo radicale per estremista/estremo a me pare abbia confuso e complicato le cose, invece di chiarirle. Chi ha convinzioni di estrema lo dichiari semplicemente, senza tante giravolte lessicali.
Sono totalmente d'accordo con Lei. Oltre che dal desiderio di rimozione del passato violento cui ho accennato, il fenomeno potrebbe essere parte della generale tendenza all'eufemismo che connota l'evoluzione della lingua di questi decenni. Un dirozzamento lessicale spesso ipocrita e quasi sempre generatore di confusione. Una distanza sempre più marcata tra le parole e le cose. Nomina sempre meno consequentia rerum e sempre più arbitri elegantiae.carloB ha scritto:Insomma, la voga dell'aggettivo radicale per estremista/estremo a me pare abbia confuso e complicato le cose, invece di chiarirle. Chi ha convinzioni di estrema lo dichiari semplicemente, senza tante giravolte lessicali.
Troppo spesso si tratta la lingua come un cavallo recalcitrante a cui si vorrebbero imporre delle pastoie. Forse dovremmo cercare più spesso d’imparare dalla lingua invece di pretendere d’insegnarle le buone maniere.
Molte delle considerazioni che avete fatto, sui motivi che hanno spinto una parte politica a modificare la propria denominazione (o un’altra parte politica a criticarne l’operazione), sono ragionevoli ma, come dicevo, queste valutazioni sociolinguistiche dovrebbero servire per capire e non a prescrivere.
Evito quindi di addentrarmi in analisi di psicologia applicata alla linguistica e continuo, coll’aiuto del DELI, ad approfondire la storia della parola radicale.

Molte delle considerazioni che avete fatto, sui motivi che hanno spinto una parte politica a modificare la propria denominazione (o un’altra parte politica a criticarne l’operazione), sono ragionevoli ma, come dicevo, queste valutazioni sociolinguistiche dovrebbero servire per capire e non a prescrivere.
Evito quindi di addentrarmi in analisi di psicologia applicata alla linguistica e continuo, coll’aiuto del DELI, ad approfondire la storia della parola radicale.
Il DELI, sotto la voce [i]radice[/i] ha scritto: L’aggettivo derivato radicāle(m), attestato in Sant’Agostino (av. 430 d. C.), è stato accolto in diverse terminologie, sia nella sua forma aggettivale, sia in quella sostantivata; prima in fisiologia, poi in botanica, nell’algebra, nella chimica, in grammatica ed, infine, in politica. In quest’ultimo settore il punto d’irradiazione si riconosce nell’inglese, che diffuse anche il derivato radicalismo (inglese radicalism: 1820).
[…]
[L’uso] in senso figurato [di radicale] ‘che apporta mutamenti e trasformazioni sostanziali’ è recente*: l’italiano antico aveva ‘fondamentale’ 1308 Dante.
*Dall’Ottocento.
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
V. M. Illič-Svitič
Mi sembra detto meglio, cosí: si può anche essere radicalmente reazionari.bubu7 ha scritto:Il DELI, sotto la voce [i]radice[/i] ha scritto:senso figurato [di radicale] ‘che apporta mutamenti e trasformazioni sostanziali’
Non sono d'accordo. Tutte queste definizioni sono approssimative: dipende da come le si usa. Quale sarebbe la sinistra "estrema", adesso? Si può sempre trovare qualcuno piú a sinistra, e partendo dai gruppi cui normalmente è attribuito questo nome è molto facile.bartolo ha scritto:Una distanza sempre più marcata tra le parole e le cose. Nomina sempre meno consequentia rerum e sempre più arbitri elegantiae.
Anche radicale o antagonista non hanno alcun contenuto reale.
Veramente, caro bubu7, non mi pare che il punto sia l'imposizione di pastoie. E' ovvio che se l'espressione sinistra/destra radicale prende piede non si può certo vietarla per decreto. Però non si deve neppure essere obbligati a usarla.
Io non risalirei a sant'Agostino e neanche all'Inghilterra del 1820. E' accaduto che da noi in anni recenti ('90?) e non so inizialmente ad opera di chi l'aggettivo radicale nel lessico politico ha sostituito estremo/estremista. Prima con riferimento alla sinistra, credo, e poi alla destra. Sospetto che la voga sia venuta dagli USA e/o dalla Gran Bretagna. Dove però un Partito Radicale non c'è e non c'è mai stato (tranne per un breve periodo in Gran Bretagna fra Otto e Novecento) e quindi non si crea alcuna confusione. Da noi invece il Partito Radicale c'era e c'è e il nuovo uso politico dell'aggettivo radicale ha introdotto un'ambiguità della quale forse non si sentiva la mancanza.
Quanto alle ragioni per le quali gli interessati, nella sinistra e nella destra radicale, hanno accolto volentieri la nuova voga, non si tratta di psicologia applicata alla linguistica ma di buona e sostanziosa e concreta ragione politica: radicale è ritenuto preferibile ad estremo/estremista, forse perché più proprio (opinione benevola) e forse perché più utile (opinione maliziosa).
Ma così facendo si accetta il terreno di scontro linguistico scelto dagli interessati stessi. Se Bertinotti è la sinistra radicale, e radicale ha un suono tranquillizzante e viene fatto sentire come equivalente ad autentico, verace (e lo stesso per Fiore e Rauti e la destra radicale), allora Veltroni e D'Alema (e Fini) sono sinistra/destra fasulla, morbida, da evitare per chi propugni i principi fondamentali della propria parte.
L'uso di radicale al posto di estremo/estremista forse non è una mera scelta di sinonimi o l'accettazione serena di un innocuo uso recente. E' la proiezione nella lingua di un dissidio politico. E chi dissente dalla sinistra e dalla destra radicale fa benissimo, secondo me, a tenersi al buon vecchio significato di estremo/estremista.
Io non risalirei a sant'Agostino e neanche all'Inghilterra del 1820. E' accaduto che da noi in anni recenti ('90?) e non so inizialmente ad opera di chi l'aggettivo radicale nel lessico politico ha sostituito estremo/estremista. Prima con riferimento alla sinistra, credo, e poi alla destra. Sospetto che la voga sia venuta dagli USA e/o dalla Gran Bretagna. Dove però un Partito Radicale non c'è e non c'è mai stato (tranne per un breve periodo in Gran Bretagna fra Otto e Novecento) e quindi non si crea alcuna confusione. Da noi invece il Partito Radicale c'era e c'è e il nuovo uso politico dell'aggettivo radicale ha introdotto un'ambiguità della quale forse non si sentiva la mancanza.
Quanto alle ragioni per le quali gli interessati, nella sinistra e nella destra radicale, hanno accolto volentieri la nuova voga, non si tratta di psicologia applicata alla linguistica ma di buona e sostanziosa e concreta ragione politica: radicale è ritenuto preferibile ad estremo/estremista, forse perché più proprio (opinione benevola) e forse perché più utile (opinione maliziosa).
Ma così facendo si accetta il terreno di scontro linguistico scelto dagli interessati stessi. Se Bertinotti è la sinistra radicale, e radicale ha un suono tranquillizzante e viene fatto sentire come equivalente ad autentico, verace (e lo stesso per Fiore e Rauti e la destra radicale), allora Veltroni e D'Alema (e Fini) sono sinistra/destra fasulla, morbida, da evitare per chi propugni i principi fondamentali della propria parte.
L'uso di radicale al posto di estremo/estremista forse non è una mera scelta di sinonimi o l'accettazione serena di un innocuo uso recente. E' la proiezione nella lingua di un dissidio politico. E chi dissente dalla sinistra e dalla destra radicale fa benissimo, secondo me, a tenersi al buon vecchio significato di estremo/estremista.
A me non sembra che ci siano ambiguità.
Gli appartenenti alla sinistra radicale e coloro che continuerebbero le idee del radicalismo (gli appartenenti al Partito radicale) fanno riferimento ad accezioni diverse del termine.
La sinistra e la destra radicale si oppongono alle corrispondenti formazioni moderate. Quest'ultimo termine, per molti, non ha niente di offensivo o di sminuente, anzi.
Gli appartenenti alla sinistra radicale e coloro che continuerebbero le idee del radicalismo (gli appartenenti al Partito radicale) fanno riferimento ad accezioni diverse del termine.
La sinistra e la destra radicale si oppongono alle corrispondenti formazioni moderate. Quest'ultimo termine, per molti, non ha niente di offensivo o di sminuente, anzi.
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
V. M. Illič-Svitič
Il contenuto reale glielo dà naturalmente la storia dell'uso. In Italia negli ultimi cinquant'anni la parola "radicale" ha indicato, come s'è detto, la "realtà" del movimento pannelliano (coi prodromi della scissione del Pli, del "Mondo" di Pannunzio, ecc.), "radicandosi" quindi nell'uso con tale connotazione. Il suo "scivolamento" nell'ultimo lustro sulle "realtà" sociopolitiche dell'"estrema sinistra" è, a mio avviso, frutto di una forzatura giornalistica. Che ha "spostato" tutto un po' più a sinistra (ora l'"estrema" indica l'"extraparlamentarismo" tout court, quello magari che smargina nel grigio scuro dell'insorgenza illegale). Tutto bene, per carità: la lingua muta anche per "spinte dall'alto" (se il giornalismo può ancora considerarsi "alto"). Ma, in questo frangente, non si può non ammettere che il mutamento abbia nuociuto alla perspicuità immediata, donde anche il presente filone. Quindi penso: non sarebbe stato meglio tentare la strada dei neologismi?Federico ha scritto:Anche radicale o antagonista non hanno alcun contenuto reale.
Con questo, e con quanto sopra non citato: perfettamente d'accordo.CarloB ha scritto:L'uso di radicale al posto di estremo/estremista forse non è una mera scelta di sinonimi o l'accettazione serena di un innocuo uso recente. E' la proiezione nella lingua di un dissidio politico. E chi dissente dalla sinistra e dalla destra radicale fa benissimo, secondo me, a tenersi al buon vecchio significato di estremo/estremista.
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