Ausiliare di «essere» coi verbi servili

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Marco1971
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Ausiliare di «essere» coi verbi servili

Intervento di Marco1971 »

Qualche grammatico prescrive una norma irragionevole: bisogna dire sarebbe dovuto/potuto/voluto essere. Irragionevole perché? Perché in questi casi la lingua letteraria propende schiacciantemente (le occorrenze dell’ausiliare ‘essere’ vanno cercate proprio col lanternino) per ‘avere’. E l’uso vastamente predominante d’un costrutto nella tradizione letteraria dalle origini a oggi fa testo: la grammatica da essa trae le sue «regole». Una grammatica che andasse per i fatti suoi, senza riscontri nell’uso cólto, non sarebbe piú grammatica ma farneticamento. E vengo agli esempi (ho scelto di proposito molti passi leopardiani).

Io confidavo in Federico, ciecamente. Avrei voluto essere da lui non soltanto amato ma dominato... (D’Annunzio, L’Innocente, cap. 2)

Ma i miei figliuoli, perché? Perché avrei dovuto essere un tiranno, io, per i miei figliuoli? (Pirandello, Scialle nero, Formalità, 3)

Ah, e sono come voi tanto giovine, e nessuno m’ha toccata ancora, e avrei potuto essere tanto dolce, tanto fedele; e ho baciato il mio amore una sola volta, ma su la mano, ma nel buio di sotterra... (D’Annunzio, Forse che sí, forse che no, Libro 3)

E nei discorsi, sempre si esercitò colle persone giovani e belle più volentieri che con altri; quasi ingannando il desiderio, e compiacendosi d’essere stimato da coloro da cui molto maggiormente avrebbe voluto essere amato. (Leopardi, Detti memorabili di F. Ottonieri, cap. 1)

Nè si può credere che tali parole venissero anticamente nel Lazio per mezzo della lingua greca, mentre esse sono più simili al sascrito di quello sieno le corrispondenti greche, laddove al contrario avrebbe dovuto essere. (Leopardi, Zibaldone, 20 gen. 1822)

E questo scrittore non solamente non è rozzo, ma tale che non ha pari di pregio in veruno de’ secoli susseguenti. Nè tale avrebbe potuto essere senza una lingua o perfetta, o quasi. (Leopardi, Zibaldone, 29 mag.-5 giu. 1821)

Tu avresti voluto essere il primo a leggere nel cuore d’una donna... Un giorno mi lascerai per sposare una vergine... (De Roberto, Illusione, parte 3, 5)

Ma ecco uno dei rari esempi leopardiani con ‘essere’:

Con infinito piacere ho veduto nell’Antologia di Firenze l’articolo sopra la tua Storia delle Perniciose, che non sarebbe potuto essere più onorevole. (Leopardi, Lettere)

Ma come oggi non diciamo piú dovrèbbono o pònno (le forme verbali, strutture portanti del discorso, ammettono meno facilmente varianti arcaiche rispetto a sostantivi e aggettivi), cosí, nella miglior tradizione, chi intende esprimersi in buon italiano adopererà l’ausiliare ‘avere’ quando ‘essere’ è accompagnato da un verbo servile.

E, per concludere: non tragga in inganno il seguente esempio novecentesco (che ho già menzionato):

Ma, certo, non ci troverà quel guadagno che ci sarebbe dovuto essere! (Tozzi, Il podere, cap. 21)

Qui ‘essere’ è determinato dal clitico ‘ci’ anteposto; posposto, Tozzi avrebbe scritto:

...quel guadagno che avrebbe dovuto esserci!
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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bubu7
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Intervento di bubu7 »

Marco1971 ha scritto: l’uso vastamente predominante d’un costrutto nella tradizione letteraria dalle origini a oggi fa testo: la grammatica da essa trae le sue «regole».
Sarebbe meglio dire traeva le sue regole. Secondo me è il far riferimento solo alla nostra tradizione letteraria ad essere irragionevole. Una grammatica moderna non dovrebbe prescindere (e di fatto non prescinde), nello stabilire le norme, da altri italiani scritti non necessariamente letterari.
Marco1971 ha scritto:Una grammatica che andasse per i fatti suoi, senza riscontri nell’uso cólto, non sarebbe piú grammatica ma farneticamento.
Non confondiamo però i riscontri nell’uso colto con le attestazioni nella nostra tradizione letteraria. I due insiemi sono largamente sovrapponibili ma il primo non è un sottoinsieme del secondo.
Molte novità si diffondono prima nell’uso colto, poi vengono accolte nelle opere letterarie. In passato solo queste ultime (e nella maggior parte della nostra storia solo un ristretto numero di queste) potevano sperare di diventare norme. Oggi le grammatiche non farneticano ma riflettono maggiormente gli usi consolidati della nostra lingua.
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Non confondo nulla. Condivido le sue osservazioni, contenute implicitamente nelle mie considerazioni. Grazie d’averle rese esplicite.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Intervento di bubu7 »

Marco1971 ha scritto:Non confondo nulla.
Il mio invito non era certo rivolto a lei che di sicuro non ne ha bisogno. :)
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
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Re: Ausiliare di «essere» coi verbi servili

Intervento di bubu7 »

Marco1971 ha scritto:Qualche grammatico prescrive una norma irragionevole: bisogna dire sarebbe dovuto/potuto/voluto essere.
Eccone uno. :)
In questo caso Aldo Gabrielli si lascia prendere la mano dalla sua aspirazione normalizzatrice.
Quando il verbo all'infinito è essere che servile useremo? diremo cioè «Son voluto essere presente anch'io» oppure «Ho voluto essere presente anch'io»? Rispettiamo anche qui la regola: come si dice sono stato e non «ho stato», diremo «Son voluto essere presente anch'io».
Aldo Gabrielli, Si dice o non si dice? (1976)
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Re: Ausiliare di «essere» coi verbi servili

Intervento di Infarinato »

bubu7 ha scritto:In questo caso Aldo Gabrielli si lascia prendere la mano dalla sua aspirazione normalizzatrice.
«Aspirazione normalizzatrice» che in questo caso è ingiustificata. Perché quello che vale per il verbo essere (cioè l’ausiliare avere nei tempi composti quando è interposto un verbo servile), vale anche per il passivo dei verbi transitivi, e.g. «la messa non ha potuto esser celebrata» (cfr., e.g., Serianni 1989… anche se, ovviamente, risulta molto piú agile un «non s’è potuto celebrar la messa» o sim.).
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Re: Ausiliare di «essere» coi verbi servili

Intervento di bubu7 »

Infarinato ha scritto: «Aspirazione normalizzatrice» che in questo caso è ingiustificata...
Infatti...
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
Gianluca
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Intervento di Gianluca »

Stavo dando un'occhiata al sito de «La Repubblica.it/Dubbi sull'italiano? Risponde il linguista» (il cui collegamento è stato gentilmente fornito da Federico) e ho notato che anche il linguista Massimo Arcangeli suggerisce l'uso del verbo ‘essere’, rispondendo (alla domanda se sia accettabile l'uso del verbo ‘essere’ quando ‘volere’, ‘dovere’ e ‘potere’ sono servili del verbo ‘essere’) cosí:
Certamente. Si tratta anzi della soluzione grammaticalmente più corretta in quanto, in casi del genere, l’accordo è con l’infinito anziché con il participio. La ragione è molto semplice: dal momento che dico “saresti stato” dirò anche, portandomi dietro “essere”, “saresti potuto essere”, “saresti dovuto essere”, “saresti voluto essere”; se applica sempre questa semplice regoletta non può sbagliare.
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Intervento di Infarinato »

Gianluca ha scritto:…anche il linguista Massimo Arcangeli suggerisce l'uso del verbo ‘essere’, rispondendo (alla domanda se sia accettabile l'uso del verbo ‘essere’ quando ‘volere’, ‘dovere’ e ‘potere’ sono servili del verbo ‘essere’) cosí:
Certamente. Si tratta anzi della soluzione grammaticalmente più corretta in quanto, in casi del genere, l’accordo è con l’infinito anziché con il participio. La ragione è molto semplice: dal momento che dico “saresti stato” dirò anche, portandomi dietro “essere”, “saresti potuto essere”, “saresti dovuto essere”, “saresti voluto essere”; se applica sempre questa semplice regoletta non può bagliare.
Ecco, «appunto», costui ha appena sbagliato. (Che tristezza! :cry:)
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Intervento di Fausto Raso »

Anche la Crusca concorda. Il linguista di "Repubblica" ha... 'toppato'. :o
«Nostra lingua, un giorno tanto in pregio, è ridotta ormai un bastardume» (Carlo Gozzi)
«Musa, tu che sei grande e potente, dall'alto della tua magniloquenza non ci indurre in marronate ma liberaci dalle parole errate»
Gianluca
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Intervento di Gianluca »

Gianluca ha scritto:Stavo dando un'occhiata al sito de «La Repubblica.it/Dubbi sull'italiano? Risponde il linguista» (il cui collegamento è stato gentilmente fornito da Federico) e ho notato che anche il linguista Massimo Arcangeli suggerisce l'uso del verbo ‘essere’…
...noto che la risposta è stata rettificata con l'espunzione della prima parte del discorso:
In casi del genere, l’accordo è con l’infinito anziché con il participio. La ragione è molto semplice: dal momento che dico “saresti stato” dirò anche, portandomi dietro “essere”, “saresti potuto essere”, “saresti dovuto essere”, “saresti voluto essere”; se applica sempre questa semplice regoletta non può sbagliare.
Piú recísa adesso. Prima, almeno, l'accordo col verbo ‘avere’ era considerato grammaticalmente meno corretto...
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

La cosa grave, con questi «linguisti», è che la gente prenderà per buone le risposte...

C’è qualcosa di malsano in questo: istituire rubriche linguistiche per far sí che si diffonda il cattivo uso della lingua? :?
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Gianluca
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Intervento di Gianluca »

Gianluca ha scritto:...noto che la risposta è stata rettificata con l'espunzione della prima parte del discorso…
Ulteriore modifica forzata dalla lettera di sollecitazione del nostro «alfiere» Fausto Raso:
In casi del genere l’accordo viene fatto evidentemente con l’infinito anziché con il participio. Dal momento che dico “saresti stato” posso essere indotto a dire anche, portandomi dietro “essere”, “saresti potuto essere”, “saresti dovuto essere”, “saresti voluto essere”. Si applica cioè a “essere” la stessa norma che richiede quell’accordo quando l’infinito non è “essere”: da “sono partito” si ha rispettivamente “sono potuto partire”, “sono dovuto partire”, “sono voluto partire”. In realtà le grammatiche (Fausto Raso, che ci scrive sull’argomento una lettera lunga quasi come un trattato, ha perfettamente ragione) optano generalmente in questo caso per i modelli “avresti potuto essere”, “avresti dovuto essere”, “avresti voluto essere”. Quelle stesse grammatiche ritengono magari accettabile “ho potuto partire”, “ho dovuto partire”, “ho voluto partire” ma si dimostrano assai meno disponibili per “saresti potuto/dovuto/voluto essere”.
Ma nessuna resipiscenza, anzi...
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Quelle stesse grammatiche ritengono magari accettabile “ho potuto partire”, “ho dovuto partire”, “ho voluto partire”...
Ci si domanda a questo punto quale sia la cultura letteraria e linguistica di chi ardisce scrivere una cosa del genere...
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
pocoyo
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Intervento di pocoyo »

Ma questo, Marco, val solo per essere?
Ultima modifica di pocoyo in data mer, 17 giu 2009 10:55, modificato 1 volta in totale.
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