Con il termine mug s'indica un particolare tipo di tazza, d'origine anglosassone, caratterizzato da forma cilindrica, base circolare, pareti verticali e un manico ad ansa.
http://it.wikipedia.org/wiki/Mug
Io userei tazzotta, già usato in una vecchia pubblicità di una marca di biscotti e simili che regalava una tazza simile con la raccolta dei punti.
«Mug»
Moderatore: Cruscanti
La lingua è un po' come l'occhiale kantiano, se non fosse che essa risponde comunque a esigenze esogene, di natura culturale e pratica; cioè a dire: una griglia lessicale risponderebbe a istituzioni comportamentali tuttavia spontanee e pragmatiche. Tradurre, e tradurre bene, vorrà dire tener conto anche di questo. Solo una spinta – starei per dire – 'sotto-culturale' [s'intenda in un'accezione neutra e non dispregiativa] suggerirebbe di creare ad hoc un traducente altrimenti estraneo a tali istituzioni (argomento delicatissimo); a me pare – per il caso qui proposto – che l'italiano [o forse io solo] vedrebbe soltanto una «tazza» o, meno, una «tazzina» (le altre declinazioni sarebbero modulazioni più o meno affettive e occasionali). Va da sé che bisognerebbe anche conoscere il contesto in cui s'inserisce la traduzione (e tuttavia, ancora una «tazza», o forse meglio «tazza cilindrica» sarebbe più italiano di un uso ad ogni modo espressivistico di certa suffissazione). Se gl'inglesi hanno spontaneamente incasellato una 'tazza' in particolare, non è detto che il sentimento linguistico [e no] italiano debba fare lo stesso. Ma il problema dell'anglismo è anche in questo – si è già detto mille volte: in una nostrana indifferenza [per ciò che ci appartiene] smaniosa di alterità anglosassone. La vera questione, di fatto, investirebbe proprio l'uso diversamente spontaneo di parole inglesi; sul versante opposto, ancora un uso volontario di traducenti semiologicamente occasionali e poco trasparenti (che guardano a un sostrato culturale niente affatto italiano [si veda l'esigenza coatta di adottare non solo la lingua, ma anche lo sguardo anglosassone], senza poter rifunzionalizzare quella spontaneità che invita all'accoglimento incondizionato – meglio lavorare sul suono, allora, conservando l'alterità extralinguistica).
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