«Mug»

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Avatara utente
Carnby
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Iscritto in data: ven, 25 nov 2005 18:53
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«Mug»

Intervento di Carnby »

Con il termine mug s'indica un particolare tipo di tazza, d'origine anglosassone, caratterizzato da forma cilindrica, base circolare, pareti verticali e un manico ad ansa.

http://it.wikipedia.org/wiki/Mug

Io userei tazzotta, già usato in una vecchia pubblicità di una marca di biscotti e simili che regalava una tazza simile con la raccolta dei punti.
Avatara utente
Incarcato
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Iscritto in data: lun, 08 nov 2004 12:29

Intervento di Incarcato »

Ma credo anche tazza possa bastare, no? Tazzotta però mi piace. :wink:
I' ho tanti vocabuli nella mia lingua materna, ch'io m'ho piú tosto da doler del bene intendere le cose, che del mancamento delle parole colle quali io possa bene esprimere il concetto della mente mia.
Avatara utente
cuci
Interventi: 109
Iscritto in data: lun, 19 set 2005 3:29
Località: Varese

Intervento di cuci »

Io mi ricordo solo la Tazza Doremì che suonava "Per Elisa", ma tazzotta non dispiace... sempre che esista il bisogno di distinguere...
«Duva vidi moju zzappa fundu»

·Dum·Doceo·Disco·
CarloB
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Iscritto in data: mar, 01 feb 2005 18:23

Intervento di CarloB »

E se la chiamassimo tazzona?
Avatara utente
cuci
Interventi: 109
Iscritto in data: lun, 19 set 2005 3:29
Località: Varese

Intervento di cuci »

CarloB ha scritto:E se la chiamassimo tazzona?
A me verrebbe in mente quell'enorme tazza senza manici (una ciotola?) dove ho l'abitudine di bere il latte quando posso permettermi di farlo con calma.
«Duva vidi moju zzappa fundu»

·Dum·Doceo·Disco·
Ladim
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Iscritto in data: lun, 08 nov 2004 14:36

Intervento di Ladim »

La lingua è un po' come l'occhiale kantiano, se non fosse che essa risponde comunque a esigenze esogene, di natura culturale e pratica; cioè a dire: una griglia lessicale risponderebbe a istituzioni comportamentali tuttavia spontanee e pragmatiche. Tradurre, e tradurre bene, vorrà dire tener conto anche di questo. Solo una spinta – starei per dire – 'sotto-culturale' [s'intenda in un'accezione neutra e non dispregiativa] suggerirebbe di creare ad hoc un traducente altrimenti estraneo a tali istituzioni (argomento delicatissimo); a me pare – per il caso qui proposto – che l'italiano [o forse io solo] vedrebbe soltanto una «tazza» o, meno, una «tazzina» (le altre declinazioni sarebbero modulazioni più o meno affettive e occasionali). Va da sé che bisognerebbe anche conoscere il contesto in cui s'inserisce la traduzione (e tuttavia, ancora una «tazza», o forse meglio «tazza cilindrica» sarebbe più italiano di un uso ad ogni modo espressivistico di certa suffissazione). Se gl'inglesi hanno spontaneamente incasellato una 'tazza' in particolare, non è detto che il sentimento linguistico [e no] italiano debba fare lo stesso. Ma il problema dell'anglismo è anche in questo – si è già detto mille volte: in una nostrana indifferenza [per ciò che ci appartiene] smaniosa di alterità anglosassone. La vera questione, di fatto, investirebbe proprio l'uso diversamente spontaneo di parole inglesi; sul versante opposto, ancora un uso volontario di traducenti semiologicamente occasionali e poco trasparenti (che guardano a un sostrato culturale niente affatto italiano [si veda l'esigenza coatta di adottare non solo la lingua, ma anche lo sguardo anglosassone], senza poter rifunzionalizzare quella spontaneità che invita all'accoglimento incondizionato – meglio lavorare sul suono, allora, conservando l'alterità extralinguistica).
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