Accentazioni facoltative e no sui monosillabi
Moderatore: Cruscanti
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- Iscritto in data: sab, 06 set 2008 15:30
Accentazioni facoltative e no sui monosillabi
Una cosa che non ho ancora capito è perché alcuni accenti sui monosillabi vengono ritenuti tollerabili, tipo sù e dò, sebbene considerati superflui ma comunque non errati, mentre su altri sono considerati totalmente errati tipo stò o fà, pur avendo anch'essi degli omografi?
Ci sono forse ragioni storiche dietro?
Ci sono forse ragioni storiche dietro?
Conviene prima di tutto dire che non si può accentare su preposizione: l’accento è tollerato solo in funzione avverbiale. E per me è a pena tollerabile.
L’ortografia è una serie di convenzioni, non si trova una logica implacabile: per certi monosillabi s’è fatta una distinzione, per altri no. Questo è quanto.
L’ortografia è una serie di convenzioni, non si trova una logica implacabile: per certi monosillabi s’è fatta una distinzione, per altri no. Questo è quanto.

Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Certo, l’ortografia è una serie di convenzioni, ma quando esistono delle disomogeneità, sarebbe interessante saperne i perche: perché sono nate? e soprattutto perché resistono, seppur nei margini della tollerabilità?
In questo caso, perché su do e su sarebbero tollerabili gli accenti grafici per distinguerli nelle loro funzioni, rispettivamente, di verbo e avverbio da quelle di sostantivo (nota musicale) e preposizione, mentre su sto e fa, per esempio, questo non è possibile, eppure possono anch'essi rappresentare verbo o aggettivo, il primo, e verbo, avverbio e sostantivo il secondo (e sia nei primi che nei secondi esempi non esisto realistiche possibilità di confusione).
Io suppongo che ci siano dietro delle ragioni storiche o di tradizione, ma non ho trovato da nessuna parte una spiegazione convincente; e poi non capisco perché oramai non vengano considerate totalmente errate sia sù e dò, visto ciò è avvenuto anche per quì e quà, che, apprendo dal DOP, erano grafie diffuse sino al '700.
In questo caso, perché su do e su sarebbero tollerabili gli accenti grafici per distinguerli nelle loro funzioni, rispettivamente, di verbo e avverbio da quelle di sostantivo (nota musicale) e preposizione, mentre su sto e fa, per esempio, questo non è possibile, eppure possono anch'essi rappresentare verbo o aggettivo, il primo, e verbo, avverbio e sostantivo il secondo (e sia nei primi che nei secondi esempi non esisto realistiche possibilità di confusione).
Io suppongo che ci siano dietro delle ragioni storiche o di tradizione, ma non ho trovato da nessuna parte una spiegazione convincente; e poi non capisco perché oramai non vengano considerate totalmente errate sia sù e dò, visto ciò è avvenuto anche per quì e quà, che, apprendo dal DOP, erano grafie diffuse sino al '700.
La butto lí. La “fortuna” di dò e sú non è dovuta a necessità diacritiche, bensí all’analogia, rispettivamente, con le altre forme accentate della coniugazione del verbo dare (dà, in cui l’accento è obbligatorio; dài, in cui è frequente [in questi due casi con reale valore distintivo]… e di qui poi estesosi come un morbo a molte altre forme: dànno, désti, ecc. [v. DOP]), e con l’avverbio simmetrico giú.PersOnLine ha scritto:In questo caso, perché su do e su sarebbero tollerabili gli accenti grafici per distinguerli nelle loro funzioni, rispettivamente, di verbo e avverbio da quelle di sostantivo (nota musicale) e preposizione, mentre su sto e fa, per esempio, questo non è possibile, eppure possono anch'essi rappresentare verbo o aggettivo, il primo, e verbo, avverbio e sostantivo il secondo (e sia nei primi che nei secondi esempi non esisto realistiche possibilità di confusione).
Le stesse condizioni non si presentano per stò e fà, quindi eccoci spiegato il motivo del trattamento speciale (se le pare convincente)!

V’ha grand’uopo, a dirlavi con ischiettezza, di restaurar l’Erario nostro, già per somma inopia o sia di voci scelte dal buon Secolo, o sia d’altre voci di novello trovato.
Le ragioni sono storiche più che motivate da un'effettiva necessità distintiva. Se non sbaglio, le forme con l'apostrofo per l'imperativo dei verbi si sono diffuse in tempi piuttosto recenti. Un criterio per stabilire se accentare un monosillabo avrebbe potuto essere l'attivazione del raddoppiamento sintattico (o cogeminazione).
Che intende esattamente? Abbiamo monosillabi privi di accento che sono cogeminanti (come da, do, so, fo, re [/re*/ e /rE*/], ecc.).Carnby ha scritto:...Un criterio per stabilire se accentare un monosillabo avrebbe potuto essere l'attivazione del raddoppiamento sintattico (o cogeminazione).
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Avevo pensato anch'io a questo, considerando che le note da quanto abbiamo visto nelle discussioni passate sembrano "non contare" come omografi.Decimo ha scritto:La butto lí. La “fortuna” di dò e sú non è dovuta a necessità diacritiche, bensí all’analogia, rispettivamente, con le altre forme accentate della coniugazione del verbo dare
P.s.: A proposito, visto che i collegamenti segnalati l'ultima volta che POL ha sollevato la questione non sono stati sufficienti, provo a rincarare la dose colle discussioni di maggio, settembre, novembre 2004 (che anno accidentato!), ottobre 2005; e poi una e due altre discussioni correlate. Me le rileggo un po' anch'io.
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