«Sono ‹un› architetto/medico/...»

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Marco1971
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«Sono ‹un› architetto/medico/...»

Intervento di Marco1971 »

Sento spesso l’articolo indeterminativo quando chiedo Che lavoro fa(i)? Tradizionalmente, credo – non ho fatto ricerche –, non si usa: alla domanda qui sopra io risponderei Sono insegnante o Faccio l’insegnante. Evidentemente, vivo nel Cinquecento o nel Trecento... :D

Mi domando se non sia, una volta ancora, un subdolo anglicismo (What’s your job? – I’m an architect/a doctor/a teacher – in inglese l’articolo è obbligatorio).

Attendo pareri.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Federico
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Re: «Sono ‹un› architetto/medico/...»

Intervento di Federico »

Marco1971 ha scritto:Attendo pareri.
Non saprei; su due piedi mi sembra piú normale dire «sono un insegnante» che «sono insegnante», ma può darsi che sia una corruzione della buona lingua.

Nel tentativo di rilanciare la discussione, aggiungo un po' di carne al fuoco sfruttando il filone già aperto, con una citazione da Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini (il resto qui, è gustoso ma è invero poco pertinente):
Discutemmo abbastanza a lungo sul povero Bartleby e su Spencer Tracy. Lei mi rimproverava di non capire, di essere «un» banale, il solito inveterato conformista.
Oggigiorno non si metterebbe certo quell'un in corsivo (ribadito dai sergenti, perdipiú); ne deduco una forte variazione delle abitudini di sostantivazione degli aggettivi.
Brazilian dude
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Intervento di Brazilian dude »

In altre lingue romanze non si usa l'articolo: (port) Sou professor. (sp) Soy profesor. (fr) Je suis enseignant. (ro) Sunt profesor. (cat) Sóc professor. Neanche altre lingue non romanze non ne hanno bisogno: (ted) Ich bin Lehrer. (ol) Ik ben leraar. (sv) Jag är lärare. (ung) Tanár vagyok. Ho l'impressione che soltanto l'inglese lo richieda.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Un banale, come un folle, uno spiritoso, ecc. non rientra nella casistica dei nomi di mestiere...

Grazie, Brazilian dude, per quest’esemplificazione multilingue. :)
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Ora che ho tempo, ho fatto la ricerca che avevo lasciata in sospeso. Tutti gli esempi sono tratti dal corpus della Letteratura Italiana Zanichelli (abbreviato in LIZ, e da me ribattezzato, per comodità di pronuncia, LIZa /'lidzdza/). Si evince dagli esempi ciò che sospettavo: la forma normale, nella grande letteratura, rifiuta l’articolo quando s’indica la professione in sé (indico l’assenza d’articolo con la lineetta bassa):

...o se non mi si concede ch’io prenda que’ medicamenti ch’io stimerò più giovevoli; i quali forse il signor Agostino non mi fa dare perchè sa ch’io non sono_medico... (Tasso, Lettere)

\GUGL.\ Se non sono_medico di attual professione, posso esserlo quando voglio, perché ho cognizione, ho abilità, ho teorica, ho pratica per far tutto quello che fanno gli altri. (Goldoni, L’avventuriere onorato, atto 2, scena 15)

– Io sono_medico – soggiunse pacatamente Lucilio. – Indovinare i mali è il mio ministero. Temo che le nostre buone intenzioni non abbiano bastevole radice nel popolo. (Nievo, Confessioni di un Italiano, cap. 11)

– Io sono_medico, – disse allora il visitatore. – Per tutti e due. (Pirandello, Dal naso al cielo)

– Signor mio; io sono_professore di fisica, ma quando è del caso, do anche lezioni di buona creanza! (Cagna, Alpinisti ciabattoni)

Sono_studente, povero,
Commosso, mi diceva,
E con ardente palpito
Amor mi protestò.
(Verdi, Rigoletto [Piave], atto 2, scena 6)

Che importa se l’onta più, meno, ci frutti?
Io sono_poeta, né so mercantar.
(Carducci, Giambi ed Epòdi)

Vuoi tu che, s’io posso aver la Pasqua in domenica, io la cerchi in venerdì? Se Michelozzo me la dà per moglie, che vuoi tu ch’io vada cercando Maria per Ravenna, e metter a pericolo me e lei? Io sono_dottore e accademico; e la riputazione oggidì governa il mondo. (Grazzini [il Lasca], La Sibilla, atto 1, scena 3)

Esaminiamo ora gli esempi con l’articolo. Notiamo anzitutto che quasi tutti sono nella forma negativa (non sono), che spesso sembra favorire la presenza dell’articolo.

Io non sono un medico che crede aver sviscerato tutti i segreti della natura per aver veduto palpitare qualche nervo sotto il coltello anatomico... (Nievo, Confessioni di un Italiano, cap. 20)

Qui c’è la specificazione introdotta dalla relativa (che crede aver sviscerato tutti i segreti della natura), e l’articolo è in questo caso obbligatorio.

Io non sono un medico e perciò non pensai ad una malattia, ma cercai di spiegarmi l’alterazione nell’aspetto di Ada come un effetto della convalescenza dopo il parto. (Svevo, La coscienza di Zeno, 7)

Svevo non è mai stato un modello di bello scrivere, ma qui abbiamo la negazione, e ciò può bastare a giustificare l’articolo.

\DOTTORE\ Permettete che parli io adesso? Io non faccio miracoli, perché sono un medico e non un taumaturgo, io. (Pirandello, Enrico IV, atto 2)

L’articolo parrebbe qui dare risalto all’opposizione medico/taumaturgo.

Perché tu mi dici: poeta?
Io non sono un poeta.
Io non sono che un piccolo fanciullo che piange.
(Corazzini, Poesie)

Anche qui siamo nella forma negativa.

Tutta la vita è espressione. E dunque osserva la tua morte con la calma necessaria, e preparati un efficace stato d’animo. Ma perché? Io vado avanti. Io sono un poeta. Sì, vado avanti, certamente. Il mare è in fiamme. Il cielo è grande. Notte, buona sorella, un po’ di vento va e viene. Come sarebbe quieto dormire. (Slataper, Il mio Carso, parte 3)

S’avverte qui una specie di stato d’animo insicuro (le frasi brevissime in successione e quasi slegate fra di loro semanticamente – e potrebbe esserci l’eco della Bohème, quando Rodolfo a Mimí canta: “Sono un poeta”, chiaro segno d’umiltà e seduzione, poi segue “In povertà mia lieta...”).

la placenta è il nome d’una focaccia triticea cotta senza lievito con un poco di latte. la vedo tra le mani scheletrite del sacerdote consunto nel sacrificio del corpo e del sangue. sono un poeta da macello. il cannone tuona verso il San Michele. un velivolo nemico appare tra le nuvolette bianche degli scoppii. gli occhi dei nati di donna si sollevano al cielo lacerato. si vede il bianco, ma non è il bianco della paura. (D’Annunzio, Pagine del Libro segreto)

La specificazione ‘da macello’ non lascia dubbi sulla presenza dell’articolo.

L’attuale tendenza a far uso (o, in ‘lingua di plastica’ utilizzare) dell’articolo sistematicamente (Sono un ragioniere, sono un chirurgo, sono un farmacista) non parrebbe dunque indigena, ma probabilmente mutuata dall’inglese (in francese, per esempio, è normale tuttora l’assenza d’articolo).
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Intervento di Federico »

Marco1971 ha scritto:L’attuale tendenza a far uso (o, in ‘lingua di plastica’ utilizzare) dell’articolo sistematicamente [...]
...secondo lei si applica anche agli aggettivi sostantivati, o non è piuttosto un fenomeno separato (di sistematica sostantivazione, appunto)?
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Intervento di Marco1971 »

Direi che è cosa diversa, nel senso che l’articolo in questo caso serve a distinguere l’uso aggettivale da quello sostantivale: è folle (aggettivo), di contro a è un folle (sostantivo). Nel caso di è medico ~ è un medico non abbiamo opposizione di categoria grammaticale.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Marco1971 ha scritto:Direi che è cosa diversa, nel senso che l’articolo in questo caso serve a distinguere l’uso aggettivale da quello sostantivale: è folle (aggettivo), di contro a è un folle (sostantivo). Nel caso di è medico ~ è un medico non abbiamo opposizione di categoria grammaticale.
Quello che non capisco è se la tendenza a usare l'articolo quando necessario e quella a sostantivare gli aggettivi (e quindi richiedere l'articolo) siano correlate.
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Intervento di Marco1971 »

Ma esiste davvero questa tendenza a sostantivare gli aggettivi? A me non sembra una cosa nuova, e molti aggettivi hanno da secoli la stessa forma del sostantivo. D’altra parte la sostantivazione è fenomeno regolare in italiano e in molte altre lingue.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Intervento di Federico »

Marco1971 ha scritto:Ma esiste davvero questa tendenza a sostantivare gli aggettivi?
Non so, come spiega quelle virgolette di Bassani? Un autore moderno non le metterebbe mai, credo.
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Intervento di Marco1971 »

Se mi dà la pagina (supponendo che abbiamo la stessa edizione: la mia è quella Mondadori [Oscar narrativa] del 1980) o il capitolo, mi rileggo per benino il passo e le dirò come interpreto quell’articolo evidenziato. :)
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Intervento di Marco1971 »

Non ho trovato nessuna ricorrenza di «un banale» con Google (con banale sostantivo, intendo), il che mi porta a credere (anche perché non l’ho mai sentito), che sia un uso poco comune anche nella lingua d’oggi, e certamente «un banale» non doveva essere modo di dire normale quando Bassani scrisse Il giardino dei Finzi-Contini (che bisogna leggere, è un capolavoro). Se aggiungiamo a questo l’anticonformismo e l’enigmaticità del personaggio di Micòl (di cui il protagonista riporta le parole al discorso indiretto), riterrei probabile una mera sottolineatura da parte dell’autore d’un’insuetudine loquelare. (Il passo, che ho ritrovato, è nella seconda parte del capitolo quarto [p. 204 nella mia edizione].)
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Intervento di Federico »

Marco1971 ha scritto:riterrei probabile una mera sottolineatura da parte dell’autore d’un’insuetudine loquelare.
Certo, solo mi pareva che oggigiorno non sarebbe ritenuta tale. A quanto pare era una mia sensazione distorta. Grazie.
Marco1971 ha scritto:(Il passo, che ho ritrovato, è nella seconda parte del capitolo quarto [p. 204 nella mia edizione].)
Mi spiace non averle risposto prima, ma comunque pur avendone due edizioni non ho la sua.
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