Sull'uso del «lei»

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Dario Brancato
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Iscritto in data: mar, 25 set 2007 1:45

Sull'uso del «lei»

Intervento di Dario Brancato »

Un interessante articolo pubblicato sul «Corriere della sera».
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Marco1971
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Iscritto in data: gio, 04 nov 2004 12:37

Intervento di Marco1971 »

Grazie, Dario, della segnalazione. Sono troppo fuso per commentare l’articolo, ma devo dire quello che mi ha scioccato:

...è però difficile vedere dei vantaggi in una deregulation linguistica diffusa...

Eccí! :D (Meglio ridere che piangere.)
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Dario Brancato
Interventi: 71
Iscritto in data: mar, 25 set 2007 1:45

Intervento di Dario Brancato »

...è però difficile vedere dei vantaggi in una deregulation linguistica diffusa...

Quella parola ha colpito pure me, caro Marco, non solo per la sua bruttezza, ma anche per l'uso improprio nel contesto del discorso.
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Marco1971
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Iscritto in data: gio, 04 nov 2004 12:37

Intervento di Marco1971 »

Sregolamento e sregolatezza, that goes without saying, sono scatole vuote e l’autore non avrebbe potuto adoperarle perché non conosce né l’una né l’altra.

Tornando alla sostanza dell’articolo, è realissima questa generalizzazione del ‘tu’, e quest’anno, al mare, mi sono visto dare del ‘tu’ in farmacia, nei supermercati dalle cassiere (tranne qualche eccezione), quasi in ogni singolo negozio. E la cosa, lo sospetterete, non ha mancato di urtarmi.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Marco1971
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Iscritto in data: gio, 04 nov 2004 12:37

Intervento di Marco1971 »

C’è una terza parola ignorata dall’autore:
Il Treccani in linea ha scritto:deregolamentazióne s. f. [der. di deregolamentare, per calco dell’ingl. deregulation]. – Termine usato nel linguaggio politico ed economico (soprattutto con riferimento alla politica statunitense) per indicare la rimozione, da parte delle autorità competenti, di norme legislative e procedure amministrative ritenute tali da ostacolare o disincentivare gli investimenti, al fine di stimolare l’attività economica del Paese. Di uso frequente la corrispondente forma ingl. deregulation.
Della mania preferenziale per -ation abbiamo già discorso oltre il dovuto.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Federico
Interventi: 3008
Iscritto in data: mer, 19 ott 2005 16:04
Località: Milano

Intervento di Federico »

Non ho capito questo «per iscritto perde abitualmente la maiusco­la»: a parte che forse il giornalista voleva dire il contrario (prende?), dato che vedo uno sproposito di maiuscole, non ha senso parlare di perdita della maiuscola, che si aggiunge per reverenza o (talvolta) citando il pronome per parlare del fenomeno linguistico (una sorta di entificazione).
Marco1971 ha scritto:Tornando alla sostanza dell’articolo, è realissima questa generalizzazione del ‘tu’, e quest’anno, al mare, mi sono visto dare del ‘tu’ in farmacia, nei supermercati dalle cassiere (tranne qualche eccezione), quasi in ogni singolo negozio. E la cosa, lo sospetterete, non ha mancato di urtarmi.
Questo potrebbe essere dovuto anche al fatto che in Italia sono considerati "giovani" anche i quaranta-cinquantenni (vedi i politici), e ai ragazzi non si dà normalmente del lei se si è piú vecchi o loro coetanei (circa), se non in contesti piú formali.
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Marco1971
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Iscritto in data: gio, 04 nov 2004 12:37

Intervento di Marco1971 »

Sí, Federico, il ‘lei’, tranne nella corrispondenza formalissima, perde la maiuscola, e questo per me non è un guaio, anzi, io uso la maiuscola solo in circostanze solenni.

Per il resto, sentirsi dare del tu da persone piú giovani rasenta l’insulto.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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