Due frasi di Susanna Tamaro

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Jonathan
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Due frasi di Susanna Tamaro

Intervento di Jonathan »

Le seguenti frasi, trovate su un forum in linea, sono tratte dal libro "Va' dove ti porta il cuore", di Susanna Tamaro:

1) Per sollevarmi di quel peso Augusto assunse una donna affinché si occupasse della bambina.
2) Gliene volevo [di bene] in modo molto diverso da come lo volevo a Ernesto.

Mi chiedo se quel "di" e quel "lo" siano sbagliati. Non sarebbe stato meglio scrivere "Per sollevarmi da quel peso..." e "...da come ne volevo ad Ernesto"?

Un caro saluto a tutti voi. :D
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Ha perfettamente ragione: ci si solleva da qualcosa, e il pronome di ripresa qui può essere solo ne. Un bell’esempio di scrittura sciatta.
Ultima modifica di Marco1971 in data lun, 07 dic 2009 20:25, modificato 1 volta in totale.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Jonathan
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Intervento di Jonathan »

Tante grazie, Marco. :D
Fausto Raso
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Intervento di Fausto Raso »

Concordo con Marco, anche se non mancano molti esempi in cui "sollevarsi" è seguito dalla preposizione di.
«Nostra lingua, un giorno tanto in pregio, è ridotta ormai un bastardume» (Carlo Gozzi)
«Musa, tu che sei grande e potente, dall'alto della tua magniloquenza non ci indurre in marronate ma liberaci dalle parole errate»
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Però, caro Fausto, codesti esempi non sono probanti: introducono locuzioni avverbiali o complementi di misura o specificazione (col verbo in un’accezione diversa): ...sollevarsi di nuovo, Si osservò un’altra polla sollevarsi di un pollice sul pelo del lago..., ed esprimono il lento sollevarsi di Kant...
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Jonathan
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Intervento di Jonathan »

Mi è stato detto, in risposta alle mie obiezioni, che "sollevare di" è corretto, e che si tratta semplicemente di una versione più ricercata di "sollevare da".
Apparentemente, "sollevare", nel significato figurato di "esimere" o "liberare", regge sia la preposizione "da" che la preposizione "di", allo stesso modo del verbo liberare. È possibile?

Inoltre, mi viene detto quanto segue a proposito della questione "ne/lo". Cito testualmente:
I pronomi "ne" e "lo" sostituiscono "bene", che nella locuzione verbale "volere bene" non è avverbio e non indica il modo, ma si tratta di un sostantivo quantificabile. Essendo quantificabile, "il bene" può essere considerato come una parte (NE partitivo, "del" bene) o come un tutto (LO, "il" bene).
Secondo quel forumista, quindi, "gliene volevo in modo diverso da come lo volevo a..." non sarebbe errato.
Si tratta di un ragionamento fondato?

Grazie.
Ultima modifica di Jonathan in data gio, 10 dic 2009 17:59, modificato 1 volta in totale.
Avatara utente
Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Se il ragionamento fosse fondato, allora sarebbe corretto anche *di bene, glielo voglio e *il bene, glielo voglio.

Per quanto riguarda sollevarsi di, aspetto dal suo consulente attestazioni autorevoli: io non ne ho trovate.
Ultima modifica di Marco1971 in data gio, 10 dic 2009 22:51, modificato 1 volta in totale.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Jonathan
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Intervento di Jonathan »

Grazie come sempre per la sua disponibilità, caro Marco.
Se ci saranno sviluppi degni di nota, le farò sapere. :D
Avatara utente
Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Veramente bisogna andare a cercarla col lanternino: ne trovo una sola nel Battaglia (e potrebbe essere un refuso, o il riflesso d’un uso antico o regionale, non attestato dai moderni vocabolari, che danno ‘da’):

C. Campana, II-1-1-21: Dimorato egli Giovanfederico... sei giorni , per sollevarsi meglio del male, nel castello di Norimberga.

Cesare Campana, sottolineo, è un autore del secondo Cinquecento, nato a L’Aquila e morto a Vicenza; vissuto quindi in aree non normalizzanti. Tutti gli altri esempi nel Battaglia hanno ‘da’.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Jonathan
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Intervento di Jonathan »

Un esempio piú recente, tratto da "Il Varmo", di Ippolito Nievo, mi è stato suggerito dalla solita utente di WordReference Forum:
«Vi giuro che al vedere capovolte le casette di Glaunicco nel suo specchio argentino e tremolante, dove i caldi colori del fondo si mescolano col riverbero della prospettiva, l’animo si solleva di ogni tristezza; e il ponticello e la riva e i salici che rompono la corrente e gli armenti che la lambiscono delle nari prendono vita affatto nuova, e tal colore di poesia da ricordare le Bucoliche e l’Odissea».
Avatara utente
Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

La ringrazio. Bisognerebbe controllare in varie edizioni, ché i refusi ci sono spesso (cfr quello che s’è detto di Buzzati nelle Notti difficili, Fa per Fu).

In maniera piú generale, le affermazioni su eventuali raffinatezze andrebbero sempre sostanziate con doviziosa esemplificazione. Nel caso specifico, vediamo che si tratta d’un uso sporadico, affatto estraneo alla norma attuale.

Non ho letto il libro della Tamaro, ma sinceramente, non la vedo cosí filologa da andare a cercare costruzioni oscure (e il ‘lo’ al posto di ‘ne’, ribadisco, è insensato).
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Jonathan
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Intervento di Jonathan »

Grazie, Marco, per le sue spiegazioni. Mi permetta di approfittare ancora della sua disponibilità. A proposito di "ne/lo", ecco un'altro commento di ursu-lab, la forumista con cui ho conversato su WordReference Forum:
"Di bene, lo voglio" è semplicemente impossibile perché se il complemento è retto dalla preposizione DI ci vuole comunque il clitico NE: è matematico.
Nella frase "il bene [che gli vuoi] glieLO dimostri ascoltandolo" trovate sinceramente qualcosa di assurdo o di sgrammaticato?


Insomma, lei continua a sostenere che "Gliene volevo [di bene] in modo molto diverso da come lo volevo a Ernesto" è inappuntabile.
Non so perché ho deciso di tornare di nuovo su quell'argomento; in fondo, lei mi ha già risposto, Marco. Spero di non essere inopportuno e noioso (la mia è solo voglia d'imparare :D).

Saluti.

P.S. Poiché non conosco bene l'etichetta delle conversazioni in rete e non vorrei in alcun modo passare per maleducato, ho informato l'utente ursu-lab che alcuni punti della nostra conversazione sono stati da me riportati su questa pagina del Cruscate forum.
Avatara utente
Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Riprendiamo daccapo. In italiano stàndaro o normale, le locuzioni verbali formate dall’unione d’un verbo e d’un sostantivo privo d’articolo sono di solito suscettibili di quantificazione: avere (molta/poca) fame/sete, avere (molto/poco) sonno, voler (molto/poco) bene. Il nome senz’articolo ha insomma valore partitivo, indica «una quantità non precisata di (fame/sete/sonno/bene)», come si vede esplicitamente in quelle locuzioni in cui il partitivo può essere espresso, per esempio fare (del) bene, fare (del) male. Consideriamo ora gli esempi seguenti:

(1 a) Fame/sete, non ne ho.
(1 b) *Fame/sete, non la ho.

(2 a) Voglio bene a Claudio ma ne voglio anche a Stefano.
(2 b) *Voglio bene a Claudio ma lo voglio anche a Stefano.

La mancanza dell’articolo rende impossibile il pronome diretto, che invece diventa obbligatorio quando compaia l’articolo:

(3 a) Il bene, l’ho fatto.
(3 b) *Il bene, ne ho fatto.

Ne consegue che la frase della Tamaro non fa parte dell’italiano normale, è errata; è forse accettabile solo in qualche varietà regionale.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Jonathan
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Intervento di Jonathan »

Ho visto solo adesso il suo ultimo intervento. Grazie ancora e a presto.
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