«Biricchino»
Moderatore: Cruscanti
- u merlu rucà
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Non capisco perché biricchino debba essere considerato errato e non una variante grafica di birichino. La prima attestazione di birichino sarebbe del 1801, nel Foscolo. Io ho trovato un'attestazione praticamente coeva (1811) di biricchino, addirittura in un dizionario italiano/francese (Nuovo dizionario italiano-francese, Volume II, Di Francesco d' Alberti di Villanuova - Genova).
Biricchino, se non erro, è stato, inoltre, usato da una fonte direi notevole, cioè Francesco de Sanctis nella Storia della Letteratura Italiana:
"Una delle pitture più comiche è quel biricchino di Cingar vestito da francescano per liberare Baldo dal carcere".
Biricchino, se non erro, è stato, inoltre, usato da una fonte direi notevole, cioè Francesco de Sanctis nella Storia della Letteratura Italiana:
"Una delle pitture più comiche è quel biricchino di Cingar vestito da francescano per liberare Baldo dal carcere".
Oggigiorno s’è perso ogni senso di normatività, si lascia far la lingua ai «coltissimi parlanti», che, invece di coltivare un terreno che ubertoso non sanno, lo conculcano con rozzi piedi. Ma sorvoliamo. Come si definisce la norma linguistica entro un dato periodo storico? Si definisce – o dovrebbe definirsi – sulla base dell’italiano adoperato dalle persone cólte. Le persone cólte. Ove son gite, che qui solo di loro la ricordanza troviamo? Non esageriamo: ne esistono ancora in buon numero, solo che sono perlopiú ignote e cosí non incidono sul corso della lingua, ormai canalizzato dall’uso mediatico, sfornator di puffismi.
Torniamo per un attimo ai vocabolari dell’Ottocento. Il Tommaseo-Bellini, Il Petrocchi e la Crusca (quinta edizione) hanno la sola forma birichino. Quest’ultimo dizionario scrive (s. v.):
Voce d’origine bolognese, derivata secondo alcuni da buricco (onde dapprima buricchino), specie di saltambarco.
Prendiamo ora i vocabolari d’oggi. Quali registrano la variante biricchino? Lo Zingarelli ultima edizione (nell’undicesima non c’è), il GRADIT (che rimanda a birichino), il DISC (!), e basta. Tutti gli altri disconoscono questa forma (il De Agostini [ex Sàndron], l’ultimo Garzanti [2.0] e il Battaglia la indicano come errata; il DOP come antiquata o regionale).
Ben è vero che alcuni scrittori hanno impiegato la forma incriminata, e tra questi Svevo, che adopera le due forme – e si potrebbe allora pensare a un refuso, sennonché Svevo aveva un gusto linguistico tutto suo e poco sensibile alla norma.
Migliorini scrive:
Cosí gli Italiani settentrionali meno colti ignorano o articolano debolmente le geminate (e, per reazione grafica, si hanno forme come biricchino, scattola). (La lingua italiana nel Novecento, Firenze, Le Lettere, 1990, p. 22)
Questo conferma quanto sostenevo: è un ipercorrettismo. Ora, vogliamo essere un po’ tolleranti? Se una forma errata s’impone, pur prevalendo la variante corretta, non la diremo piú ‘errata’ ma ‘sconsigliabile’. Sta di fatto, in ogni modo, che a chi ha ricevuto un insegnamento tradizionalista e ha l’orecchio esercitato sui classici, come me e come molti altri, biricchino, sopratutto, senonché, intravvedere, ecc., suonano come solecismi propri di chi mal conosce la lingua.
P.S. Vedo ora che, mentre nel DISC cartaceo 1987 c’è birichino o biricchino, nella versione in linea c’è soltanto birichino.
Torniamo per un attimo ai vocabolari dell’Ottocento. Il Tommaseo-Bellini, Il Petrocchi e la Crusca (quinta edizione) hanno la sola forma birichino. Quest’ultimo dizionario scrive (s. v.):
Voce d’origine bolognese, derivata secondo alcuni da buricco (onde dapprima buricchino), specie di saltambarco.
Prendiamo ora i vocabolari d’oggi. Quali registrano la variante biricchino? Lo Zingarelli ultima edizione (nell’undicesima non c’è), il GRADIT (che rimanda a birichino), il DISC (!), e basta. Tutti gli altri disconoscono questa forma (il De Agostini [ex Sàndron], l’ultimo Garzanti [2.0] e il Battaglia la indicano come errata; il DOP come antiquata o regionale).
Ben è vero che alcuni scrittori hanno impiegato la forma incriminata, e tra questi Svevo, che adopera le due forme – e si potrebbe allora pensare a un refuso, sennonché Svevo aveva un gusto linguistico tutto suo e poco sensibile alla norma.
Migliorini scrive:
Cosí gli Italiani settentrionali meno colti ignorano o articolano debolmente le geminate (e, per reazione grafica, si hanno forme come biricchino, scattola). (La lingua italiana nel Novecento, Firenze, Le Lettere, 1990, p. 22)
Questo conferma quanto sostenevo: è un ipercorrettismo. Ora, vogliamo essere un po’ tolleranti? Se una forma errata s’impone, pur prevalendo la variante corretta, non la diremo piú ‘errata’ ma ‘sconsigliabile’. Sta di fatto, in ogni modo, che a chi ha ricevuto un insegnamento tradizionalista e ha l’orecchio esercitato sui classici, come me e come molti altri, biricchino, sopratutto, senonché, intravvedere, ecc., suonano come solecismi propri di chi mal conosce la lingua.
P.S. Vedo ora che, mentre nel DISC cartaceo 1987 c’è birichino o biricchino, nella versione in linea c’è soltanto birichino.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
- u merlu rucà
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Quasi certamente è un ipercorrettismo di origine settentrionale. Il tipo BIRICHINO è diffuso in tutti i dialetti del norde, ma è raro nel ligure (è presente nel Dizionario Genovese del Casaccia). Il significato che assume nei dialetti dell'Alto Reno 'furfante, bandito', sembrerebbe deporre a favore della derivazione dalla stessa base dell'italiano briccone.
- u merlu rucà
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Mi sorge spontanea una domanda: perché allora si dice Arlecchino e non Arlechino? Eppure nei dialetti settentrionali, da cui deriva il termine nell'italiano, sicuramente la pronuncia è scempia: veneto arlechìn; ligure arlechìn.
Sarebbe interessante verificare l'eventuale presenza della forma Arlechino nell'italiano dei secoli passati.
Al nostro Indiana Jones, Marco, l'arduo compito
.
Sarebbe interessante verificare l'eventuale presenza della forma Arlechino nell'italiano dei secoli passati.
Al nostro Indiana Jones, Marco, l'arduo compito

Scrive Bruno Migliorini nella sua Storia della lingua italiana (Firenze, Sansoni, 1988, vol. 1, p. 361):
Nella maschera di Arlecchino un comico dell’arte italiano che si trovava a Parigi verso il 1570-80 (forse il bergamasco Alberto Ganassa) fuse le caratteristiche della figura tradizionale degli Herlequinis (buffonesca degenerazione della mesnie Hellequin, processione di dannati, nota fin dal sec. XI) con le caratteristiche degli Zanni.
Si tratta insomma d’un adattamento dal francese.
L’unica occorrenza di Arlechino nella LIZ[a] è del Settecento (sarà un banale refuso?):
...le rende loro necessarie e fa che nella scelta de’ soggetti che compongono una compagnia di comici il punto principale sia quello di scegliere un buon Arlechino, un buon Brighella, un buon Dottore ec. (Il Caffè, 1764-1766)
La forma Arlecchino è quella d’origine e si trova a partire da Flaminio Scala (Teatro delle favole rappresentative, 1611).
Nella maschera di Arlecchino un comico dell’arte italiano che si trovava a Parigi verso il 1570-80 (forse il bergamasco Alberto Ganassa) fuse le caratteristiche della figura tradizionale degli Herlequinis (buffonesca degenerazione della mesnie Hellequin, processione di dannati, nota fin dal sec. XI) con le caratteristiche degli Zanni.
Si tratta insomma d’un adattamento dal francese.
L’unica occorrenza di Arlechino nella LIZ[a] è del Settecento (sarà un banale refuso?):
...le rende loro necessarie e fa che nella scelta de’ soggetti che compongono una compagnia di comici il punto principale sia quello di scegliere un buon Arlechino, un buon Brighella, un buon Dottore ec. (Il Caffè, 1764-1766)
La forma Arlecchino è quella d’origine e si trova a partire da Flaminio Scala (Teatro delle favole rappresentative, 1611).
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
- u merlu rucà
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Grazie Marco. Se si tratta di un prestito dal francese, passato in italiano addirittura (probabilmente) per il tramite dei dialetti settentrionali (entrambi presentano la degeminazione delle consonanti intense), viene da pensare che la grafia Arlecchino non può essere che un ipercorrettismo che ha avuto fortuna, al contrario di biricchino.
Non penso, caro Merlo: Arlecchino è il nome proprio del personaggio, adattato da Herlequini[s], passato in italiano per via scritta in questa forma originaria con doppia ‘c’. Mi stupirei che in questo abbiano avuto parte i dialetti settentrionali, e cosí non vedrei alcun ipercorrettismo (che poi venga pronunciato Arlechino al Norde è un altro discorso).
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
D’altra parte, la scelta di Arlecchino (unica grafia riportata nei dizionari passati e presenti) su Arlechino dovette imporsi, anche al padre settentrionale, mi sembra, per analogia con vocaboli notissimi come becchino, cecchino, lecchino, orecchino, stecchino, zecchino.
In -echino l’unica parola comune è cotechino (le altre sono tecnicismi conosciuti solo da quelli del mestiere).
In -echino l’unica parola comune è cotechino (le altre sono tecnicismi conosciuti solo da quelli del mestiere).
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Mi inserisco in ritardo, e me ne scuso.
In un manoscritto ferrarese degli anni 1785-1799 trovo:
[...] Come in Napoli i lazzaroni, cosi in Ferrara vi è un gran numero di giovanastri fra la vile plebaglia chiamati volgarmente birichini [...]
Più avanti nello stesso manoscritto è proposta l'istituzione di un
reclusorio dei birichini, o vagabondi
Non so a quando risalgano le attestazioni più antiche negli scrittori. Foscolo è il primo?
In un manoscritto ferrarese degli anni 1785-1799 trovo:
[...] Come in Napoli i lazzaroni, cosi in Ferrara vi è un gran numero di giovanastri fra la vile plebaglia chiamati volgarmente birichini [...]
Più avanti nello stesso manoscritto è proposta l'istituzione di un
reclusorio dei birichini, o vagabondi
Non so a quando risalgano le attestazioni più antiche negli scrittori. Foscolo è il primo?
Sí, caro Carlo. Ma non deve scusarsi di nulla!CarloB ha scritto:Non so a quando risalgano le attestazioni più antiche negli scrittori. Foscolo è il primo?

Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Di nulla, caro Marco.
Non conoscevo questo significato di birichino
. Ne sono rimasto sorpreso e mi sono chiesto (ma non ho potuto verificare) se in area padana se ne trovassero attestazioni più antiche nelle fonti manoscritte.
Il termine era evidentemente corrente, nella lingua parlata, in quel significato almeno nel pieno Settecento, se a fine secolo veniva usato in un testo quasi normativo come quello che ho avuto sottomano (però sentendo l'esigenza di spiegarlo).
u merlu rucà ne ha ricordato l'attestazione alto-renana. Ferrara non era lontana.
Non conoscevo questo significato di birichino

Il termine era evidentemente corrente, nella lingua parlata, in quel significato almeno nel pieno Settecento, se a fine secolo veniva usato in un testo quasi normativo come quello che ho avuto sottomano (però sentendo l'esigenza di spiegarlo).
u merlu rucà ne ha ricordato l'attestazione alto-renana. Ferrara non era lontana.
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