Forme di cortesia
Moderatore: Dialettanti
Forme di cortesia
Se in italiano abbiamo varie forme di cortesia ("lei", "ella", "voi", "lorsignori", "vossignoria" ecc.), anche i dialetti, sebbene nell'immaginario collettivo più "popolari" e diretti, hanno le loro.
Il genovese ha come forma più comune vosciâ /vu'Sa:/, alla lettera "vossignoria" ma equivalente, per grado di rispetto, all'italiano "lei". Questa forma è adoperata come soggetto per esteso, mentre come "pronome obbligatorio" (caratteristica, questa, tipica di molti idiomi galloitalici) è prevista la forma abbreviata sciâ /Sa:/
Es.: Vosciâ sciâ no m’ha dïto cöse sciâ veu, "Lei non m'ha detto che cosa vuole".
La seconda forma di cortesia è voî /vwi:/, perfettamente equivalente al "voi" italiano. Nell'uso corrente, poi, benché quest'ultima forma di cortesia sia ormai poco comune, essa si differenzia dal pronome di seconda persona plurale, reso da viätri /'vja:tri/ (letteralmente "voialtri")
Sarebbe bello se ciascuno proponesse le forme del suo dialetto e/o particolari forme italiane diverse dall'uso comune
Il genovese ha come forma più comune vosciâ /vu'Sa:/, alla lettera "vossignoria" ma equivalente, per grado di rispetto, all'italiano "lei". Questa forma è adoperata come soggetto per esteso, mentre come "pronome obbligatorio" (caratteristica, questa, tipica di molti idiomi galloitalici) è prevista la forma abbreviata sciâ /Sa:/
Es.: Vosciâ sciâ no m’ha dïto cöse sciâ veu, "Lei non m'ha detto che cosa vuole".
La seconda forma di cortesia è voî /vwi:/, perfettamente equivalente al "voi" italiano. Nell'uso corrente, poi, benché quest'ultima forma di cortesia sia ormai poco comune, essa si differenzia dal pronome di seconda persona plurale, reso da viätri /'vja:tri/ (letteralmente "voialtri")
Sarebbe bello se ciascuno proponesse le forme del suo dialetto e/o particolari forme italiane diverse dall'uso comune
- Ferdinand Bardamu
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Nel mio dialetto – il veronese della bassa – esiste soltanto il lei, che ha una forma distinta per il maschile e il femminile: eło /'eło/, eła /'eła/. Es. Lei, signore, può venire dopo la signora, «Eło, siór, el pó vegnère dópo de ła sióra»; È da sola, signora?, «Eła éła [verbo nella forma interrogativa, con inversione del soggetto obbligatorio] da sóła, sióra?». I corrispondenti soggetti obbligatori sono el per il maschile, la per il femminile: «La/el vegna vanti [venga avanti]».
P.S. Nel dialetto veronese, almeno in quello meridionale, il pronome personale di quinta persona è simile, anche nella pronuncia, a quello genovese: vjaltri /'vjaltri/. Anzi, questo corrisponderebbe piuttosto al pronome pronunciato a ritmo «allegro»: normalmente si ha vujaltri /'vujaltri/.
P.S. Nel dialetto veronese, almeno in quello meridionale, il pronome personale di quinta persona è simile, anche nella pronuncia, a quello genovese: vjaltri /'vjaltri/. Anzi, questo corrisponderebbe piuttosto al pronome pronunciato a ritmo «allegro»: normalmente si ha vujaltri /'vujaltri/.
Ultima modifica di Ferdinand Bardamu in data lun, 10 ott 2011 21:58, modificato 1 volta in totale.
In pratica, mi sembra di capire che il suo veronese preveda come forma di cortesia semplicemente il pronome personale di terza persona. La stessa caratteristica si presenta oggi in quei parlanti genovesi fortementi italianizzati, che indifferentemente usano lê:
Lê, scignôa, a peu vegnî doman
Forma corretta: Vosciâ, scignôa, sciâ peu vegnî doman
Il nostro viätri, per la verità, è una contrazione di voiätri /vwi'ja:tri/, ma la prima è la forma più usata
Lê, scignôa, a peu vegnî doman
Forma corretta: Vosciâ, scignôa, sciâ peu vegnî doman
Il nostro viätri, per la verità, è una contrazione di voiätri /vwi'ja:tri/, ma la prima è la forma più usata
- Ferdinand Bardamu
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Caro Ferdinand, se lei è giovane io sono un cucciolo, dal momento che raggiungerò la maggiore età tra poco meno di due mesi
Mi sembra di aderire a una giusta causa se cerco di esprimermi (ove sia richiesto) in un italiano ricco e corretto e contemporaneamente in un dialetto (o meglio, lingua regionale) altrettanto ricco e scevro dagli italianismi più evidenti. O sbaglio?
Mi sembra di aderire a una giusta causa se cerco di esprimermi (ove sia richiesto) in un italiano ricco e corretto e contemporaneamente in un dialetto (o meglio, lingua regionale) altrettanto ricco e scevro dagli italianismi più evidenti. O sbaglio?
- Ferdinand Bardamu
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Non volevo impormi l'etichetta di "giovane" tout court, del resto piuttosto problematica, ma di "parlante giovane", specificazione che giudico importante quando si parla di dialetti, stanti i cambiamenti imposti a essi dai mezzi di comunicazione e dalla scolarizzazione di massa.
Ciò detto, ritengo corretta la sua impostazione, con un'osservazione (del tutto personale): il dialetto, mancando dei crismi dell'ufficialità della lingua nazionale, è soggetto all'influenza di quest'ultima. Il desiderio di scoprire il corrispettivo nel suo dialetto di una parola italiana è comprensibile, se non altro per la curiosità di sapere come s'esprimevano i suoi ascendenti. Non deve però, a mio modestissimo avviso, sfociare nella ricerca ossessiva di parlare il dialetto dei suoi avi, cosa che mi suonerebbe altrettanto bizzarra che voler parlare l'italiano di Dante. Le chiedo scusa, tuttavia, se ho frainteso le sue intenzioni.
Ciò detto, ritengo corretta la sua impostazione, con un'osservazione (del tutto personale): il dialetto, mancando dei crismi dell'ufficialità della lingua nazionale, è soggetto all'influenza di quest'ultima. Il desiderio di scoprire il corrispettivo nel suo dialetto di una parola italiana è comprensibile, se non altro per la curiosità di sapere come s'esprimevano i suoi ascendenti. Non deve però, a mio modestissimo avviso, sfociare nella ricerca ossessiva di parlare il dialetto dei suoi avi, cosa che mi suonerebbe altrettanto bizzarra che voler parlare l'italiano di Dante. Le chiedo scusa, tuttavia, se ho frainteso le sue intenzioni.
Non mi fraintenda, è chiaro che a 28 anni non si può essere vecchi Ponevo solo in relazione la sua giovane età con la mia, che è poco più che infantile, se vogliamo.
Circa il discorso italiano/dialetti, è naturale che sarebbe uno sforzo improduttivo parlare la lingua "degli avi". E' vero che il genovese, come tutti gli idiomi diversi da quello nazionale, è sempre stato condizionato dall'italiano letterario, anche in un passato che possiamo definire remoto. I cambiamenti più recenti, però, sono dovuti alla profonda crisi dell'uso, e sarebbe giovevole - secondo me - cercare per quanto possibile di stabilire un confine netto tra italiano e lingue regionali, senza negare le reciproche influenze. Per intenderci, è ovvio che non si dice più meuo (come duecent'anni fa) ma moddo (= modo), però ritengo inaccettabile che un genovese dica raccoglie invece di arrecheugge, che non appartiene al linguaggio arcaico, ma a quello di 20 anni fa, se non dei giorni nostri. Sarebbe come se, presi dalla smania di adeguarci alla moda anglofila, dicessimo (come fanno realmente taluni miei coetanei) "lovvare" in luogo di "amare". Certo, le lingue si trasformano, ma a forza di trasformarsi corrono anche il rischio di stramazzare al suolo.
Circa il discorso italiano/dialetti, è naturale che sarebbe uno sforzo improduttivo parlare la lingua "degli avi". E' vero che il genovese, come tutti gli idiomi diversi da quello nazionale, è sempre stato condizionato dall'italiano letterario, anche in un passato che possiamo definire remoto. I cambiamenti più recenti, però, sono dovuti alla profonda crisi dell'uso, e sarebbe giovevole - secondo me - cercare per quanto possibile di stabilire un confine netto tra italiano e lingue regionali, senza negare le reciproche influenze. Per intenderci, è ovvio che non si dice più meuo (come duecent'anni fa) ma moddo (= modo), però ritengo inaccettabile che un genovese dica raccoglie invece di arrecheugge, che non appartiene al linguaggio arcaico, ma a quello di 20 anni fa, se non dei giorni nostri. Sarebbe come se, presi dalla smania di adeguarci alla moda anglofila, dicessimo (come fanno realmente taluni miei coetanei) "lovvare" in luogo di "amare". Certo, le lingue si trasformano, ma a forza di trasformarsi corrono anche il rischio di stramazzare al suolo.
- u merlu rucà
- Moderatore «Dialetti»
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Esatto, il problema sta proprio nel lessico. Per il fatto che non si parla più ci si trova a dire: "come si dice più in genovese?" e si finisce per corrompere un termine italiano e adattarlo alla parlata locale. Ho sentito gente che diceva "mulattea", "sbuccià" e "telaiu"... eppure creuza, piâ e tiâ non appartengono a secoli fa (soprattutto per creuza mi veniva da piangere; per chi non lo sapesse sono le tipiche mulattiere mattonate liguri). Qualcuno sostiene che in questo modo la lingua (dialetto) si arricchisca ulteriormente... E' lo stesso arricchimento dell'italiano nel momento in cui nessuno è più capace di tradurre manager, business, meeting, pur avendo gran disponibilità di termini che non risalgono certo a Dante. Non si tratta di negare che il "prestito interno" avvenga anche nella direzione opposta, cioè dalla lingua nazionale alle locali, ma quando i termini locali vengono soppiantati definitivamente da quelli nazionali, vuol dire che linguisticamente parlando quell'area è morta. Sarebbe come se il prestito ligure "mugugno", ormai riportato da tutti i dizionari, sostituisse definitivamente i lemmi italiani "lamento", "protesta" e compagnia. Ma in quel caso la situazione avrebbe dell'assurdo, in quanto è la lingua nazionale quella predominante sulle regionali, e mai il contrario
- Ferdinand Bardamu
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- marcocurreli
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- Iscritto in data: ven, 25 set 2009 22:36
- Località: Cagliari
È sicuro che non sia /'vjaltri/~/'vujaltri/? Davvero nel suo dialetto c'è alternanza fonemica tra /a/ e /a:/? Anche la trascrizione fonetica ['vja:ltri]~['vuja:ltri] non mi convince molto: sebbene in molti dialetti settentrionali si possa avere l'allungamento della vocale in sillaba accentata caudata, solitamente questo è un semiallungamento (il «semicrono»), non un allungamento pieno.Ferdinand Bardamu ha scritto:il pronome personale di quinta persona è simile, anche nella pronuncia, a quello genovese: vjaltri /'vja:ltri/. Anzi, questo corrisponderebbe piuttosto al pronome pronunciato a ritmo «allegro»: normalmente si ha vujaltri /'vuja:ltri/.
- Ferdinand Bardamu
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