Ecco appunto!.Silvia. ha scritto:Approfitto per condividere questo articolo sullo storpiamento dei cognomi: http://corrieredelveneto.corriere.it/ve ... 0580.shtml
Coin e Benetton
Moderatore: Cruscanti
Sul dizionario Gonin non c'è: in effetti è un dizionario molto incompleto, meglio il Dizionario dei nomi dello stesso autore, più esaustivo. Dalla distribuzione del cognome in Italia (e da una ricerca su Wikipedia francese) sembra di area francofona, quindi penso proprio che si dica /go'nin/ (o [go'nɛ̃], in pronuncia [più] francese). Del resto i cognomi che finiscono in nasale dovrebbero essere (quasi) tutti tronchi perché di area veneta o francese. Un discorso differente va fatto per i cognomi terminanti in /-r/ che possono essere d'origine tedesca, come Moser, che andrebbe pronunciato /'mɔzer/ non /mo'zɛr/ (in tedesco genuino ['mo:zɐ]). Canepari nel DiPI separa Moser «italiano» da quello «tedesco», ma non sono convinto.Luca86 ha scritto:Siccome non ho trovato niente né nel DOP né nel DiPI, qualcuno saprebbe dirmi se Gonin si pronuncia /ˈgɔnin/ o /goˈnin/?
La ringrazio nuovamente.
Nel mio vecchio DOP (del 1981) ho trovato questo:
Gonin [fr. ġonẽ´] cogn.
Anche la Treccani in linea riporta la stessa pronuncia (s.v. Francesco Gonin [l'unico italiano ch'io conosca a portare questo cognome]).
Nel mio vecchio DOP (del 1981) ho trovato questo:
Gonin [fr. ġonẽ´] cogn.
Anche la Treccani in linea riporta la stessa pronuncia (s.v. Francesco Gonin [l'unico italiano ch'io conosca a portare questo cognome]).
Ultima modifica di Luca86 in data ven, 06 apr 2012 17:38, modificato 1 volta in totale.
Ho l'edizione tascabile del DOP del 1999 che, formato a parte, è uguale a quella del 1981 e c'è in effetti solo la pronuncia alla francese. Per ora quindi la pronuncia «ufficiale» è [go'nɛ̃]; con la pubblicazione del terzo volume del nuovo DOP sapremo se è accettabile anche quella all'italiana.Luca86 ha scritto:Nel mio vecchio DOP (del 1981)
- SinoItaliano
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Un mio amico di origine friulana si chiamava Moret.
E noi lo chiamavamo ['mɔret(tə)] con l'accento sulla «o».
Qualcuno sa come si legge in friulano?
E noi lo chiamavamo ['mɔret(tə)] con l'accento sulla «o».
Qualcuno sa come si legge in friulano?
Questo di sette è il piú gradito giorno, pien di speme e di gioia: diman tristezza e noia recheran l'ore, ed al travaglio usato ciascuno in suo pensier farà ritorno.
Sempre nel DOP, ho trovato un cognome (italo-francese) simile:Carnby ha scritto:...con la pubblicazione del terzo volume del nuovo DOP sapremo se è accettabile anche quella all'italiana.
Marin [marìn; fr. marẽ´] cogn.
Le sue ipotesi sembrerebbero esatte.
Premesso che è la prima volta in vita mia che sento questo cognome, istintivamente pronuncerei /mo'rEt/ – ma potrei sbagliarmi.SinoItaliano ha scritto:Un mio amico di origine friulana si chiamava Moret.
E noi lo chiamavamo ['mɔret(tə)] con l'accento sulla «o».
Qualcuno sa come si legge in friulano?
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Il DiPI consiglia benetˈtɔn, ma allo stesso tempo ammette per Rousseau e Diderot soltanto le pronunce con l'o chiusa! Sinceramente, mi sarei aspettato tutto il contrariochiara ha scritto:Confermo la venezianità e la pronuncia del cognome Coìn (sì, anch'io ho sempre pensato significasse codino). Idem per Benettòn (trevigiano), con la O (accentata) chiusa.
Benetton
benetˈtɔn, -on, ˈbɛnetton
Diderot
dideˈro°, -*; ↑-dˈr-
Rousseau
rusˈso°, -*
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No, la pronuncia normativa prevede l'o chiusa in questi casi. Per esempio, Bordeaux è da pronunciare alla francese con l'o chiusa, ma il colore può essere italianizzato nella grafia e nella pronuncia.fiorentino90 ha scritto:Il DiPI consiglia benetˈtɔn, ma allo stesso tempo ammette per Rousseau e Diderot soltanto le pronunce con l'o chiusa! Sinceramente, mi sarei aspettato tutto il contrario
A tale proposito, a pagina 13 del manuale di Bertinetto si legge:
La /o/ accentata ricorre solo nella pronuncia colta di certe parole straniere, come Bordeaux, anche se il prestito corrispondente, indicante un tipo di rosso, è stato adattato in (bord[ɔ]).
Re: Coin e Benetton
Ha fatto bene a segnalarlo, anche se temo sia inutile; tutti continueranno imperterriti a pronunciare i terrificanti Trèvisan, Stèffan, Bènetton, Mùrer, Còin, come fanno da decenni. E a pronunciare cognomi veneti (Venièr, Bòit...) come fossero francesi(Venié, Buà). Anche perché questi cambi di accento erano(e sono) spesso caldeggiati dagli stessi titolari di detti cognomi, soprattutto se di estrazione socio-culturale non eccelsa, in quanto dava loro un certo intrigante sentore di esotico. Come fai a sentirti a tuo agio nell'alta società chiamandoti "Muratore"(in dialetto, murèr)?
Comunque si dice che il cognome Coìn sia verosimilmente una venetizzazione di "Cohen", risalente all'epoca delle leggi razziste.
Infine, ho buone ragioni per supporre che il friulano "Moret" si legga Morèt.
Dimenticavo l'ultimo: il ministro Padoàn, che TUTTI chiamano Pàdoan... Ma è chiaro che significa "padovàno", e non è indicativo presente di un inesistente verbo "padovare"!
Comunque si dice che il cognome Coìn sia verosimilmente una venetizzazione di "Cohen", risalente all'epoca delle leggi razziste.
Infine, ho buone ragioni per supporre che il friulano "Moret" si legga Morèt.
Dimenticavo l'ultimo: il ministro Padoàn, che TUTTI chiamano Pàdoan... Ma è chiaro che significa "padovàno", e non è indicativo presente di un inesistente verbo "padovare"!
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Sempre perplessa.
Daccordo che alcuni si sono cambiati l'accento per i motivi più svariati - diciamo in generale per "immagine" - però resta il fatto che un cognome non è l'equivalente di un comune sostantivo.
In qualsiasi codice di comunicazione, i parlanti decidono dei termini condivisi, per individuare delle entità fisiche o dei significati.
Ci mettiamo a tavolino - in pratica - e decidiamo che quella cosa si chiama xyz; e questa decisione, per essere più semplice, chiara e "memorizzabile", la prendiamo in base a regole condivise, cosicché ciascuno sia in grado, applicando le regole stabilite, di comunicare in maniera comprensibile al gruppo.
Il cognome (e anche il nome, tragicamente... se i genitori mi avessero registrato all'anagrafe come Daiana, io resto tale, e nessun professore sul registro potrà mai pretendere di correggermelo in Diana... purtroppo) è una cosa diversa.
Un sottogruppo all'interno del gruppo dei parlanti decide di distinguere sé e tutti propri discendenti usando un certo termine.
Magari prende il soprannome che viene dato dagli altri a un membro significativo, o all'intera famiglia, però a un certo punto compie una scelta e decide che proprio "quel" nome rispecchia il lignaggio, e lo distingue da tutti gli altri.
Questa scelta verrà tramandata e si fisserà non solo nelle "carte", ma anche e soprattutto "di padre in figlio" oralmente.
E in questa trasmissione di solito è l'interessato a porre la masssima cura nell'essere "fedele", pena il distaccarsi dal lignaggio, cioè far perdere ai discendenti la consapevolezza di questa appartenenza.
Nelle carte medievali si incontrano spesso soprannomi o semplici indicazioni di provenienza o di mestiere o patronimici che poi vengono usati consapevolmente, fissati e tramandati, come segno distintivo del lignaggio; possono venire adattati anche, in corso d'opera, nel senso che, quando non c'erano le anagrafi strutturate, è l'individuo che "certifica" al notaio rogante che "quello" è il suo nome, e a volte da una generazione all'altra, questo nome viene adattato, deformandosi.
In pratica, è una proprietà del gruppo agnatizio, che la gestisce in proprio analogamente allo stemma.
Chiaro che, se un sovrano interviene e concede un leoncino in più nello stemma, o se al cognome permette di aggiungere un prefisso onorifico, questa modifica "dall'esterno" non può che essere accettata con gioia. Ma, in generale, il lignaggio tende a mantenere la propria tradizione nella gestione del nome, e a agire su di esso.
Oggi abbiamo secoli di anagrafe, che hanno cristallizzato i cognomi, e impedito la fissazione degli stranomi, che altrimenti avrebbero continuato a generare nuovi cognomi.
Resta comunque la possibilità - indipendentemente dai costi, comunque è prevista - di chiedere una modifica del proprio cognome per vari gravi motivi (cognomi percepiti come infamanti, ma anche cognomi uguali a personaggi soggetti alla "damnatio memoriae" etc.).
Già solo questo fatto depone a favore che la legge riconosce che il cognome appartenga al gruppo che lo porta, e che cura la sua trasmissione di generazione in generazione.
Quindi, ovvio che, dall'esterno chi legge cerca di applicare innanzitutto le regole note; però, l'ultima parola è della famiglia indicata dal cognome. Se "loro" l'accento lo hanno sempre messo in un certo modo e si riconoscono in quello, al massimo possiamo dirgli in faccia che hanno avuto un antenato sgrammaticato.
Ma non mi sentirei autorizzata a pretendere che "loro" sbagliano e da secoli continuano a sbagliare ("Pentiti!... Ed emenda il tuo errore!!!).
Daccordo che alcuni si sono cambiati l'accento per i motivi più svariati - diciamo in generale per "immagine" - però resta il fatto che un cognome non è l'equivalente di un comune sostantivo.
In qualsiasi codice di comunicazione, i parlanti decidono dei termini condivisi, per individuare delle entità fisiche o dei significati.
Ci mettiamo a tavolino - in pratica - e decidiamo che quella cosa si chiama xyz; e questa decisione, per essere più semplice, chiara e "memorizzabile", la prendiamo in base a regole condivise, cosicché ciascuno sia in grado, applicando le regole stabilite, di comunicare in maniera comprensibile al gruppo.
Il cognome (e anche il nome, tragicamente... se i genitori mi avessero registrato all'anagrafe come Daiana, io resto tale, e nessun professore sul registro potrà mai pretendere di correggermelo in Diana... purtroppo) è una cosa diversa.
Un sottogruppo all'interno del gruppo dei parlanti decide di distinguere sé e tutti propri discendenti usando un certo termine.
Magari prende il soprannome che viene dato dagli altri a un membro significativo, o all'intera famiglia, però a un certo punto compie una scelta e decide che proprio "quel" nome rispecchia il lignaggio, e lo distingue da tutti gli altri.
Questa scelta verrà tramandata e si fisserà non solo nelle "carte", ma anche e soprattutto "di padre in figlio" oralmente.
E in questa trasmissione di solito è l'interessato a porre la masssima cura nell'essere "fedele", pena il distaccarsi dal lignaggio, cioè far perdere ai discendenti la consapevolezza di questa appartenenza.
Nelle carte medievali si incontrano spesso soprannomi o semplici indicazioni di provenienza o di mestiere o patronimici che poi vengono usati consapevolmente, fissati e tramandati, come segno distintivo del lignaggio; possono venire adattati anche, in corso d'opera, nel senso che, quando non c'erano le anagrafi strutturate, è l'individuo che "certifica" al notaio rogante che "quello" è il suo nome, e a volte da una generazione all'altra, questo nome viene adattato, deformandosi.
In pratica, è una proprietà del gruppo agnatizio, che la gestisce in proprio analogamente allo stemma.
Chiaro che, se un sovrano interviene e concede un leoncino in più nello stemma, o se al cognome permette di aggiungere un prefisso onorifico, questa modifica "dall'esterno" non può che essere accettata con gioia. Ma, in generale, il lignaggio tende a mantenere la propria tradizione nella gestione del nome, e a agire su di esso.
Oggi abbiamo secoli di anagrafe, che hanno cristallizzato i cognomi, e impedito la fissazione degli stranomi, che altrimenti avrebbero continuato a generare nuovi cognomi.
Resta comunque la possibilità - indipendentemente dai costi, comunque è prevista - di chiedere una modifica del proprio cognome per vari gravi motivi (cognomi percepiti come infamanti, ma anche cognomi uguali a personaggi soggetti alla "damnatio memoriae" etc.).
Già solo questo fatto depone a favore che la legge riconosce che il cognome appartenga al gruppo che lo porta, e che cura la sua trasmissione di generazione in generazione.
Quindi, ovvio che, dall'esterno chi legge cerca di applicare innanzitutto le regole note; però, l'ultima parola è della famiglia indicata dal cognome. Se "loro" l'accento lo hanno sempre messo in un certo modo e si riconoscono in quello, al massimo possiamo dirgli in faccia che hanno avuto un antenato sgrammaticato.
Ma non mi sentirei autorizzata a pretendere che "loro" sbagliano e da secoli continuano a sbagliare ("Pentiti!... Ed emenda il tuo errore!!!).
Sono d'accordo.domna charola ha scritto: Quindi, ovvio che, dall'esterno chi legge cerca di applicare innanzitutto le regole note; però, l'ultima parola è della famiglia indicata dal cognome. Se "loro" l'accento lo hanno sempre messo in un certo modo e si riconoscono in quello, al massimo possiamo dirgli in faccia che hanno avuto un antenato sgrammaticato.
Ma non mi sentirei autorizzata a pretendere che "loro" sbagliano e da secoli continuano a sbagliare ("Pentiti!... Ed emenda il tuo errore!!!).
In particolare questo varrebbe per la posizione dell'accento.
Per gli altri aspetti della pronuncia (es. pronuncia aperta o chiusa delle vocali) sarebbe consigliabile, per coloro che non appartengono all'area linguistica di diffusione del cognome, attenersi a una pronuncia neutra (quella consigliata dai repertori o di parole italiane similari).
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
V. M. Illič-Svitič
Re: Coin e Benetton
Tutti no: Lilli Gruber ed Enrico Mentana lo pronunciano correttamente.Smaralda ha scritto:Dimenticavo l'ultimo: il ministro Padoàn, che TUTTI chiamano Pàdoan... Ma è chiaro che significa "padovàno", e non è indicativo presente di un inesistente verbo "padovare"!
- Ferdinand Bardamu
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