Congiuntivo imperfetto perfetto

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Federico
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Congiuntivo imperfetto perfetto

Intervento di Federico »

Leggendo Il disprezzo di Moravia mi è capitato spesso di trovare, specie nelle ultime pagine, costruzioni come «credo che svenissi».
Quest'uso del congiuntivo imperfetto con valore puntuale è frequente? Equivale all'imperfetto (indicativo) "narrativo"?
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Sí, sembra proprio un uso equiparabile a una specie d’imperfetto narrativo. Stando ai miei ricordi, dovrebbe essere un costrutto abbastanza recente (Novecento). La stranezza è rappresentata dal fatto che l’imperfetto congiuntivo corrisponde normalmente al valore dell’imperfetto indicativo e non a quello del passato remoto, come si evince dagli esempi seguenti:

(1) Credo che vivessi ancora con i miei. [Probabilmente vivevo ancora con i miei.]

(2) Credo che avessi circa vent’anni. [Probabilmente avevo circa vent’anni.]

(3) Credo che sapessi già tutto. [Probabilmente sapevo già tutto.]

Appare invece alquanto marginale – almeno per me – farlo corrispondere a un passato remoto:

(4) ?Credo che svenissi. [Probabilmente svenni.]

(5) ?Credo che cadessi. [Probabilmente caddi.] (Naturalmente è normale se s’intende ‘stavo cadendo’.)

(6) ?Credo che mi rompessi una gamba. [Probabilmente mi ruppi una gamba.]

Inserite in un contesto narrativo, le frasi sembreranno sicuramente meno innaturali; ma nella lingua comune, quando vi sia identità di soggetto tra reggente e subordinata, si preferisce ricorrere alla forma implicita:

(7) Credo di essere svenuto.

(8) Credo di essere caduto.

(9) Credo di essermi rotto una gamba.

Che cosa ne pensano gli altri?
Brazilian dude
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Intervento di Brazilian dude »

O credo che fossi svenuto/a, credo che fossi caduto/a, credo che mi fossi rotto/a la gamba, vero? Però preferisco la prima opzione.

Brazilian dude
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Brazilian dude ha scritto:O credo che fossi svenuto/a, credo che fossi caduto/a, credo che mi fossi rotto/a la gamba, vero? Però preferisco la prima opzione.
Sí, certo. Il trapassato congiuntivo (come tutti i tempi composti) esprime la compiutezza dell’azione.

Una frase come

(10) Credo che dormissi

Si può interpretare, AMMA, solo in senso durativo/iterativo: Credo che dormissi (quando sei arrivato); Credo che dormissi (dieci ore al giorno in quel periodo); e non ?Credo che dormissi (solo tre ore quella notte).
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Trovo qualche conferma nella grammatica di L. Serianni (XIV, 58a):
L’anteriorità rispetto a un presente o a un futuro può essere espressa con l’imperfetto congiuntivo, «quando il fatto potenziale del passato ha valore durativo» (Moretti-Orvieto 1979: I 115; «penso che da bambino non godesse di buona salute») e con il congiuntivo trapassato «quando il fatto potenziale si iscrive in un passato anteriore ad un altro nel contesto» («gli investigatori ritengono che l’assassino, che probabilmente ha compiuto il massacro sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, avesse avuto occasione di conoscere il prof. Aprile», «La Nazione», 28.2.1987, 5).
Brazilian dude
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Intervento di Brazilian dude »

La cosa sta così anche in portoghese, però lo spagnolo sembra regolarsi da altre regole, come questa espressa da Andrés Bello nella sua Gramática de la Lengua Castellana:
Hoy no se tiene por un hecho auténtico que Rómulo fundase/fundara a Roma.
("Oggi non si "tiene come" fatto autentico che Romolo *fondasse Roma.") In portoghese Hoje não se tem como fato autêntico que Rômulo haja/tenha fundado Roma.

Brazilian dude
Brazilian dude
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Intervento di Brazilian dude »

No, pensandoci bene, si usa un tempo composto in portoghese, però no l'equivalente al trapassato prossimo: creio que haja/tenha caído, creio que haja/tenha quebrado uma perna "credo che *abbia (=*sia) caduto, credo che *abbia (=*mi sia) rotto una gamba". Non ci avevo mai pensato. È diverso. :)

Brazilian dude
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Segnalo questo interessante e approfondito articolo sul verbo.
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Federico
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Intervento di Federico »

Grazie.

Be', mi sembra fuor di dubbio che normalmente quest'uso del congiuntivo imperfetto è impensabile, però devo dire che dopo i primi momenti di stupore mi ha convinto abbastanza. Ci sono molte possibilità per descrivere lo stesso fatto, ma tutte mi sembrano avere sfumature leggermente diverse:
a)credo di essere svenuto
b)credo che io sia svenuto
c)credo che svenni (questo indicativo non mi suona sbagliato: che dite?)
d)credo che svenissi
e)credo che fossi svenuto

La a) è la piú naturale, perché la piú semplice, ma forse colloca il fatto in un passato troppo vicino, piú simile a un passato prossimo che a un remoto; lo stesso vale per la b); la d) è strana, e comunque quantomeno dovrebbe dilatare il fatto; il trapassato della e) è eccessivo.
In definitiva, la soluzione migliore mi sembrerebbe la c), se non fosse per quell'indicativo che mi convince poco... :?
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Federico, troverà confortante questo passo della Grande Grammatica Italiana di Consultazione (vol. II, pp. 434-435):
D’altra parte si può segnalare con l’indicativo che si è convinti della fattualità del contenuto della frase dipendente. Ciò vale anche nel caso di identità tra persona denotata dal SOGGETTO della predicazione e parlante, se la frase dipendente deve essere comunicata come ferma convinzione di questo e in tal modo la funzione comunicativa della subordinata si avvicina a quella di un’asserzione solo leggermente indebolita. La relativa autonomia della frase dipendente che si è venuta cosí a creare permette la scelta dell’indicativo, tanto piú in caso di identità referenziale dei soggetti nelle frasi principale e dipendente:

(77 a) Credo che ho dimenticato gli occhiali proprio lí.
(77 b) «Credo che mi annoiavo e anelavo il momento che la giornata riprendesse» (C. Pavese, Storia segreta, in Racconti, Torino, Einaudi, 1960, p. 485)

Credo che può essere sostituito in questi casi da un avverbio di frase come probabilmente. All’interno di tale contesto va posta la frase Credo che Dio esiste, dove il credo non è nemmeno piú interpretabile come indebolimento dell’enunciato della frase dipendente.

Con l’indicativo si può però anche comunicare in quanto tale, citare quasi, una ferma convinzione di altre persone:

(78) C’è gente che crede che la libertà e l’ordine non sono compatibili.

È obbligatorio l’indicativo dopo l’imperativo ed espressioni corrispondenti:

(79 a) Creda che è / *sia una grande sofferenza per noi assistere a questa situazione senza poter fare niente.
(79 b) Creda che sono / *io sia veramente mortificato.
Ultima modifica di Marco1971 in data dom, 19 mar 2006 22:09, modificato 1 volta in totale.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Tutto questo – scusate la digressione – mi ricorda i tempi del liceo, quando si facevano traduzioni francese-italiano: la mia professoressa, francofona, aveva una conoscenza assai epidermica della grammatica italiana, e davanti alla frase Je crois que j’ai dormi, sosteneva doversi scrivere Credo che dormissi, mentre io avvertivo la stonatura, e proposi – invano :(Credo che dormii... ;)
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Federico
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Intervento di Federico »

Grazie, Marco.
Adesso sto leggendo un altro libro di Moravia: farò attenzione per vedere un po' come si comporta nei vari casi...
Avatara utente
Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

De nada. :D

Ho letto quasi tutto Moravia, un autore che apprezzo molto (particolarmente belli Agostino e La ciociara). All’occasione, se lo ritrova, potrebbe riportarci il brano in cui si trova la frase Credo che svenissi? Grazie.
Avatara utente
Federico
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Intervento di Federico »

Ma certo, provvedo subito.

Comunque capita spesso, e infatti mi è appena cascato l'occhio sulla fine del XXI capitolo:
Mi addormentai quasi subito, perché non credo che udissi le voci di Battista e di Emilia per piú di qualche minuto.
Ecco la fine del XXII capitolo, quando Riccardo entra nella grotta rossa col fantasma (o presunto tale) di Emilia:
Non mi giunse alcuna risposta. Ripetei sorpreso: «Dammi la mano, Emilia», e per la seconda volta mi sporsi, tendendo la mano. Poi, vedendo che non mi si rispondeva, mi sporsi ancor di più e con cautela, per non colpire in viso Emilia, che sapevo seduta a poppa, la cercai a tastoni. Ma la mia mano non incontrò che il vuoto e, abbassandola, sentii sotto le mie dita, là dove avrei dovuto incontrare il corpo di Emilia, il legno liscio del sedile vuoto. Improvvisamente il mio stupore si mescolò di un senso di paura. « Emilia », gridai, « Emilia ». Mi rispose soltanto una tenue eco gelata; o così almeno mi parve. Intanto i miei occhi si erano abituati e distinguevano finalmente nella fitta penombra la barca arenata contro la proda, la spiaggia di minuta ghiaia nera, la volta lucida e stillante che si incurvava sulla mia testa. E vidi allora che la barca era vuota, senza nessuno a poppa, e che la spiaggia era anch'essa vuota e che tutt'intorno a me non c'era nessuno, e che io ero solo.
Dissi, guardando a poppa, attonito: «Emilia», ma a bassa voce questa volta. E poi ripetei ancora: «Emilia, dove sei?»; e in quello stesso momento capii. Discesi allora dalla barca e mi gettai sulla spiaggia e immersi la faccia nel tritume fradicio e credo che svenissi perché rimasi immobile, quasi senza sentimento, un tempo che mi parve lunghissimo.
Piu tardi mi levai, macchinalmente risalii sulla barca e la spinsi fuori della grotta. All'imboccatura mi colpì la forte luce del sole riflessa dal mare. Guardai l'orologio che tenevo al polso e vidi che erano le due del pomeriggio. Ero rimasto nella grotta più di un'ora. Mi ricordai che il mezzogiorno è l'ora dei fantasmi; e capii che avevo parlato e pianto davanti ad un fantasma.
Avatara utente
Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Grazie per la citazione, Federico. Sarebbe interessante scoprire se quest’uso non canonico dell’imperfetto congiuntivo (che non ha, nella lingua modello, valore perfettivo) è caratteristico di altri autori novecenteschi.
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