Origine della pronuncia normativa

Spazio di discussione su questioni di fonetica, fonologia e ortoepia

Moderatore: Cruscanti

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Carnby
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Intervento di Carnby »

Scilens ha scritto:Il diverso suono "x" da me descritto -maldestramente, perché avrei voluto scrivere "velare"- è quello che effettivamente uso, che usavano i miei vecchi e che mi pare che vada sparendo nelle ultime generazioni, le quali tendono a pronunciare la c come h o anche ad eliminarla del tutto, mentre risalta fuori sporadicamente quando vogliono parlare senza inflessione. Si produce "allentando" la k mentre si dice, lasciando passare più aria.
Secondo me non è proprio [x], che è il fono di ach tedesco e di mujer spagnolo-americano (fono fricativo velare): è un fono approssimante anche se l'IPA ufficiale (per dirla con Canepari uffIPA) non ha il simbolo corrispondente e bisogna ricorrere a [x̞].
Scilens ha scritto:Il suono [kx] invece, per come lo sento negli esempi, mi ricorda il calabrese, credevo che non esistesse in toscano, non mi ricordo d'averlo mai sentito, nemmeno nel Mugello o ad Arezzo, ma devo esserci restato poco.
Quello del calabrese è [kʰ] (fono occlusivo velare aspirato, Canepari trascrive semplicemente [kh]); si può avere anche in Toscana, per enfasi in sillaba accentata (naturalmente quando non c'è gorgia: per es. [uŋ"kʰa:ne]).
Scilens ha scritto:Anche la g di regione per me suona più come retroflessa [z'] che come postalveolare, confermando l'impressione degli extraregionali di ascoltare uno che parla "a bocca piena".
E anche la [S] di bacio (bascio) a parer mio è una convenzione, perché nella tabella che ho segnalato sopra non ritrovo il suono reale, che non è sci, ma d'altra parte come scriverlo in italiano? Una migliore somiglianza a [S] può aversi in bacino (bascino), mentre per bacio non potrei indicare con convinzione nessuno degli esempi proposti. Forse [s'], se potesse essere attenuato ed abbreviato.
Anche a me pare che ci sia una differenza qualitativa tra la realizzazione del fonema /ʧ/ di bacio e quello /ʃʃ/ di cascina: azzarderei a dire che il primo si avvicina a [ʃʲ] (Canepari e IPA pre-riforma [ʆ]), ovvero è delabializzato e forse anche un po' più posteriore.
Scilens ha scritto:Poi ci sarebbero certe particolatità enfatiche come la s di 'teshta' (testa) o di "bishtecca" (bistecca) da pronunciarsi con le labbra prominenti così da far scorrere l'aria quasi nelle gote, suono scrivibile in sampa ancora come [S] o [SS]
Di quello ne parla anche Canepari (MaPI, p. 414) e lo trascrive con [ş] o [ʆ] (uffIPA [sʲ] o [ʃʲ]).
Scilens ha scritto:ma mi spiace farvi deviare così tanto dal tema originario, mi fermo qui. E pensare che avevo intenzione di scrivere solo due righe!
Non si preoccupi! È sempre un piacere parlare di fonetica. :)
valerio_vanni ha scritto:Che sarebbe l'affricata corrispondente, giusto?
Può essere, temo di avere qualche difficoltà a distinguere i due suoni.
Sì, a voler essere più corretti ci vorrebbe la «barchetta» sotto o l'«ombrello» sopra: [kx͡].
Ultima modifica di Carnby in data mer, 31 ott 2012 13:32, modificato 1 volta in totale.
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SinoItaliano
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Intervento di SinoItaliano »

Carnby ha scritto:Quello del calabrese è [kʰ] (fono occlusivo velare aspirato, Canepari trascrive semplicemente [kh]); si può avere anche in Toscana, per enfasi in sillaba accentata (naturalmente quando non c'è gorgia: per es. [uŋ"kʰa:ne]).
I miei amici cinesi di Firenze/Prato usano sistematicamente il suono [kʰ] quando non c'è gorgia. Probabilmente lo usano di piú a causa del sostrato cinese.
Confesso che ogni tanto anche a me qualche plosiva aspirata [kʰ, pʰ, tʰ] mi scappa.
Scilens ha scritto:Poi ci sarebbero certe particolatità enfatiche come la s di 'teshta' (testa) o di "bishtecca" (bistecca) da pronunciarsi con le labbra prominenti così da far scorrere l'aria quasi nelle gote, suono scrivibile in sampa ancora come [S] o [SS]
Questa tendenza mi sa che è diffusa in tutto il Centro-Sud.
Io lo uso soprattutto per frasi cattive, tipo «[ʆ]tupido», «che [ʆ]chifo», «te 'e (le) [ʆ]tacco que'e (quelle) mani!» ecc. :D
Questo di sette è il piú gradito giorno, pien di speme e di gioia: diman tristezza e noia recheran l'ore, ed al travaglio usato ciascuno in suo pensier farà ritorno.
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Intervento di Infarinato »

Carnby ha scritto:Anche a me pare che ci sia una differenza qualitativa tra la realizzazione del fonema /ʧ/ di bacio e quello /ʃʃ/ di cascina: azzarderei a dire che il primo si avvicina a [ʃʲ] (Canepari e IPA pre-riforma [ʆ]), ovvero è delabializzato e forse anche un po' più posteriore.
Mah? Nella mia pronuncia sono entrambi chiaramente labializzati, anche se, ovviamente, essendo il primo [ʃ] breve (da /ʧ/) e il secondo lungo (da /ʃ/), nel primo la labializzazione è forse un po’ meno evidente, e —a parità (o quasi) di condizioni— il primo risente maggiormente del contesto fonetico in cui è inserito.

È forse, però, opportuno ricordare ancora una volta [a beneficio dei meno esperti di fatti fonetici] che il tratto per cui sicuramente si distinguono è, appunto, la durata.
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Scilens
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Intervento di Scilens »

Come potete vedere le pronunce descritte nei testi sono spesso convenzionali; inoltre ringrazio per l'utile precisazione sulla durata.
Carnby ha scritto:
Scilens ha scritto:Il suono [kx] invece, per come lo sento negli esempi, mi ricorda il calabrese, credevo che non esistesse in toscano, non mi ricordo d'averlo mai sentito, nemmeno nel Mugello o ad Arezzo, ma devo esserci restato poco.
Quello del calabrese è [kʰ] (fono occlusivo velare aspirato, Canepari trascrive semplicemente [kh]); si può avere anche in Toscana, per enfasi in sillaba accentata (naturalmente quando non c'è gorgia: per es. [uŋ"kʰa:ne]).
Ha senz'altro ragione, lo uso anch'io in condizioni emotive alterate, ma non m'era venuto in mente perché la mia attenzione era focalizzata sulla gorgia.
Mi trovo tuttavia costretto ad insistere sul suono [x] di 'la chasa', perché non ho mai detto 'la hasa' e pur riuscendoci mi pare innaturale e forzato come fosse l'imitazione d'un toscano. Penso che siano i limiti dell'IPA e degli esempi ascoltabili a farci divergere, perché son certo che di persona ci capiremmo al volo.
Daltronde lo studio si basa sullo scritto, con moltissimi studiosi che non son toscani ed hanno idee talvolta anche vaghe sulla reale pronuncia sul campo, come ho riscontrato.
Mettiamoci anche l'orecchio, che ha la sua parte non trascurabile ed ecco che un suono viene trascritto in un modo o in un altro che per forza di cose si avvicina pur senza mai esser quello reale, che cambia da paese a paese e che nel tempo va uniformandosi in stereotipi, come ho sentito succedere in questi ormai tanti anni. I mezzi di comunicazione di massa (stavo per scrivere mass media, ma ho capito la ragia e condivido in pieno) hanno un'azione completamente dirompente nelle logiche e consuetudini fonetiche, fin nei villaggi minori che anzi, consci d'esser periferici (si considerano solo arretrati anziché custodi di una conoscenza insostituibile che lasciano dimenticare per sempre), assorbono come spugne perfino l'oggidì cosiddetto "ìncavo", e le s che da sorde da un giorno all'altro divengon sonanti, e il "credo che è" che da errore blu diventa la norma, complici gl'insegnanti troppo spesso inconsapevolmente ignoranti sommati alla gloria del "non ho studiato" che nella mentalità comune dovrebbe brillare come una medaglia sul petto.
Ma tant'è.
Dopo un'incubazione plurisecolare, la mummia d'una lingua nata morta su polverosi tavoli, oggi, dopo cinquant'anni, finalmente (?) è traviata ma viva e cresce e crea. Crea anche mostri incontrollati frutto d'ignoranza dovuta ad ignavia, in ossequio al tempo risparmiato, che si spandono. Attenzionare. Dimissionare. Relazionare. Le violenti piogge. Ha piovuto (chissacchì)...
Coraggio, c'è solo da adattarsi.

SinoItaliano scrive:
Io lo uso soprattutto per frasi cattive, tipo «[ʆ]tupido», «che [ʆ]chifo», «te 'e (le) [ʆ]tacco que'e (quelle) mani!»
Anche in Toscana pronunciare la s come sh corrisponde ad un rafforzativo: una teshtata è sempre più grave di una semplice testata, nonostante comunemente dica capata, o per restare in argomento, una chapata (una hapata per me è fiorentino e una 'apata è pisano, pistoiese e lucchese).
Insieme a quello "shtupido" non Le viene anche una bella t aspirata-esplosiva simile a "ShTHU'pido"? Anche senza substrato cinese? Perché forse è una tendenza più umana che nazionale.
Concordo anche su schifo, che detto in napoletano fa ancora più Shchifo, controllato perché rigettato; ma qualora si volesse coinvolgere nell'emozione, allora con una bella s sibilante, "ssskiifo", potrebbe essere maggiormente pregnante ed efficace.

Cerco di tornare più vicino all'argomento originario.
Cito da http://www.mauriziopistone.it/testi/dis ... scano.html

"...un'illuminante pagina di Francesco D'Ovidio, tratta da "Le correzioni ai Promessi Sposi e la questione della lingua", edito nel lontano 1895 (4a edizione!!):
"L'Italia non si appropriò se non del fiorentino scritto, e anche di questo fin dove poteva senza sforzo o con sforzi tollerabili. Ciò ebbe i suoi effetti specialmente sulla pronuncia, alcuni vezzi della quale, come il cosiddetto 'c' aspirato di fico o il 'c' e il 'g' sibilante di pace e regina, non significati dalla scrittura, restaron regionali. Avvenne anche di più. Essendosi dai toscani smesso di scriver bascio, camiscia, perché codesto mite suono [sc] non si cambiasse con quello più gagliardo [ssc] che è in fascia, mentre invece è pari a quello toscaneggiante di pace, ne derivò che quegli italiani che pronunzian pace con un vero 'c', ossia con quel che i Toscani stessi fan sentire in selce o in faccia, lo estesero anche a bacio e camicia. I quali però, venendo da basium e camisia non si pronuncian con un vero 'c' in nessun dialetto.... La pronunzia insomma che di bacio o fagiuolo si suol fare in gran parte di Italia, se non è conforme al toscano, non segue nemmeno le parlate locali, ed è una creazione tutta letteraria."
Insomma: le varietà regionali non toscane, e lo stesso italiano standard, sono figlie della scrittura, della rappresentazione grafica della lingua italiana. La domanda, che tutti si rivolgono da tempo, è se la diffusione dei mass media provocherà un tale capovolgimento di fronte da far sì che sia la scrittura a doversi adattare alla rappresentazione "televisiva" dell'italiano standard (più o meno romanesco)." (fine citazione)

Tornando un pochino indietro, Par Larson scrive che le forme come 'arbero' "andranno attribuite non a rotacismo bensì ad assimilazione a distanza".
Avrei pensato che la forma con la r fosse quella originaria, del latino 'arborem' e non ci fosse nulla di strano nel mantenere la r. Forse è più inconsueta la forma "albero", che poi si afferma probabilmente come iper correzione di una forma che pareva villana. Nello stesso modo mi spiego l''albitro'.
In Dante si trova "arbuscelli" che mi pare che possa esser dovuto alla gorgia, da arbucelli, poiché fuor di Toscana s'incontrano le forme "arbuseli" e "arbosei".
Il Tommaseo nel suo dizionario http://www.dizionario.org/d/?pageurl=brillo-19288 e anche la Crusca, per esempio, http://books.google.it/books?id=7YI-AAA ... CEEQ6AEwCQ alla voce 'bronco' usano il termine 'arbucelli', vocabolo diffusissimo nei secoli passati, preferito anche dal Magnifico e dal Foscolo.
Parole di questo tipo dovrebbero essercene diverse, come anche poscia, ruscello, ambascia, sembrano nascere dalla gorgia.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Scilens ha scritto:Dopo un'incubazione plurisecolare, la mummia d'una lingua nata morta su polverosi tavoli, oggi, dopo cinquant'anni, finalmente (?) è traviata ma viva e cresce e crea. Crea anche mostri incontrollati frutto d'ignoranza dovuta ad ignavia, in ossequio al tempo risparmiato, che si spandono. Attenzionare. Dimissionare. Relazionare. Le violenti piogge. Ha piovuto (chissacchì)...
Coraggio, c'è solo da adattarsi.
Menomale che tale mummia ha dato vita a una letteratura fra le piú ínclite che lingua di cultura possa vantare. E i tavoli non erano polverosi come oggi sono; e la lingua ha creato, è cresciuta e vissuta, prima che i suoi ingrati locutori decidessero di farne una meretrice bendata. E bendato è chi – remissivo o indolente – si adatta all’incultura.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Scilens
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Intervento di Scilens »

Menomale, infatti.
Ma quell'epoca va chiudendosi finché non resterà altro che una nicchia amatoriale, con lo stesso parallelo che si può stabilire con la pittura e la musica e in fondo anche le altre scienze umane, perché, essendo umane, fanno come l'uomo, mutano; perché il francese, l'inglese, lo spagnolo, come oggi l'italiano si evolvono.
Il volgare è latino, chiamarlo corrotto è un giudizio, ciò che oggi è errore, come "auricola non oricla" domani sarà lingua da tutelare. E così via, da un sistema ad un altro, con tutti i passaggi intermedi.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

E il vento seguiterà a cantare. È molto di moda quel che dice, sa? Col concetto di evoluzione – concetto non cosí semplice e scontato – non si indica per solito qualsiasi mutamento. Cosa normalissima è il cambiamento, come lei giustamente sottolinea; tuttavia, lingue come il francese e lo spagnolo, pur evolvendosi, mantengono la loro dignità strutturale e identitaria. Questo forse non si può dire di quella lingua che fino a tempi non troppo remoti si chiamava italiano.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Scilens
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Intervento di Scilens »

Evoluzione per me è mutazione, un nastro che si svolge, lo scorrere del tempo, l'adattamento ai terreni. Di solito vengono conservate alcune proproprietà e altre vengono scartate.

L'italiano in bocca alla gente, da Udine a Trapani, è durato venti o trent'anni, cioè il tempo d'impararlo per poterlo usare come propria lingua, così appena lo è diventato sono iniziate le personalizzazioni. La stessa cosa più in piccolo succede anche quando si compra un'auto o un nuovo pc, serve a sentirli proprii.
L'italiano, prima del fascismo e della televisione, non era la lingua di nessuno, neppure dei Toscani, che nonostante tutto credevano di parlarlo (fino gli anni '50 del secolo passato forse questo era più vero) e che son quelli che in definitiva hanno perso di più, seppure in cambio di qualche vantaggio.
L'unica soluzione realistica, a mio modo di vedere, consiste nel mantenere una lingua astratta, una parte dell'italiano classico e letterario, diverso dal parlato nelle sue molteplici forme, perché una lingua pura può mantenersi solo sotto formalina, come una lingua straniera imparata a scuola. Altrimenti il parlante se ne approprierà, con il sottofondo del proprio dialetto e delle influenze mediatiche.
L'italiano era già sfuggito di mano almeno quarant'anni fa', per le ragioni che anche Lei ha detto.

Questo comunque mi sembra ancora un altro rivolo che devia dal tema centrale nel quale Lei si chiedeva come la gorgia non sia entrata nell'italiano. Credo che, nonostante sia stata da sempre combattuta, qualche traccia possa essere entrata, sebbene di soppiatto, come cercavo di dire ieri.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Ignoro su quali dati si fondino le sue considerazioni, ma due cose almeno vanno dette. Non mi pare realistico asserire che l’italiano sia lingua parlata in tutta la nazione solo da 30 anni; vorrebbe dire che quando avevo 11 anni non esisteva in Italia una lingua effettivamente usata per comunicare dalla maggioranza della popolazione. O devo supporre di essere vissuto in un’altra dimensione.

La «personalizzazione» della lingua non ha nulla che fare con la norma. Tutti, di là dai propri vezzi personali, ricercano la norma, tutti s’interrogano sulla correttezza, tant’è vero che scrivono alla Crusca o in vari luoghi virtuali (compreso questo) per avere delle risposte – che spesso non vengono date. Che cosa significa questo? Significa che l’evoluzione è un processo lento perché il mutare della lingua inquieta il parlante medio, lo disorienta e non gli piace, proprio perché quel che cerca sono le certezze. In definitiva, il sancire senza criterio e riflessione ogni novità equivale a una serie di lesioni nel tessuto intimo di cui ciascuno è fatto, quel tessuto che è composto di vene e di arterie, che respira e rappresenta la coscienza stessa dell’esistere individuale in rapporto alla parlante comunità, in quella sua dimensione sia collettiva, sia storica, sia personale nella quale il singolo riconosce sé stesso.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Intervengo solo per dire ch’è significativo che lei, Scilens, abbia citato l’Appendix Probi. Il disfacimento della norma che allora era dovuto, tra le altre cose, al declino delle scuole e a profondi rivolgimenti sociali non è del tutto dissimile da quel che accade oggi. E questa non è una considerazione parruccona: è, a mio modo di vedere, una semplice constatazione.

Insomma, è auspicabile che il mutamento, fatto naturale e inarrestabile, sia governato da un’autorità che l’incanali e garantisca l’integrità della lingua. Chi propugna l’arbitrio assoluto del parlante dovrebb’esser consapevole che le conseguenze possono non esser positive.
Ultima modifica di Ferdinand Bardamu in data dom, 04 nov 2012 10:05, modificato 1 volta in totale.
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Scilens
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Intervento di Scilens »

Ho citato male, ho tralasciato una u. Sono daccordo sull'auspicio, pur non vedendo nessun segno favorevole. La risposta a Marco, che segue, dovrebbe esprimere anche la mia posizione sull'arbitrio del parlante, che osservo senza propugnare, come può intravedere dal mio stile.


Credo d'essermi espresso male, ma non ho detto che non esistesse una lingua comune. Il fatto è che questa non era la lingua madre di quasi nessuno, ossìa pochissimi nascevano sentendo parlare italiano corretto in casa. Oggi sono molti di più.
Le personalizzazioni alle quali mi riferivo non erano quelle individuali, ma quelle dei gruppi, i linguaggi gergali, comprendenti anche gli affinamenti tecnici, ma soprattutto l'uso della parola impropria o creata lipperlì tanto per capirci o per scherzo. Questo intendo quando parlo di appropriazione della lingua, non solo l'usarla come fosse intoccabile, ma il crearla, modificarla, adattarcela addosso in quel particolare momento. Tutto questo crea storie e racconti e aneddoti sull'origine di una parola. Lingua viva vuol dire anche valenze emotive che restano legate ad ogni termine, il cui uso diventa più probabile in una situazione simile a quella che l'ha fissato nella memoria. Tutti i dialetti hanno una possibilità di comunicazione emotiva superiore all'italiano.

Un'altra cosa che volevo dire e che credo che sia rimasta inespressa o troppo poco evidenziata è il mio disappunto per il sentir storpiare la sintassi, la grammatica ed il lessico da chi li usa per mestiere, si in ambiti ufficiali che non. È appunto questo non rispetto che fatico a tollerare.
La velocità dell'evoluzione non è uniforme, certe volte si possono avere delle accelerazioni, come successe a partire dall'inizio delle trasmissioni televisive, poi con l'avvento delle radio e tele libere e prima ancora con la nascita del sonoro al cinema. Gli anni settanta ebbero effetti rivoluzionarii sulla lingua, prevalentemente dannosi, a quanto si può vedere anche oggi. La scarsa preparazione scolastica causa le richieste di delucidazioni alla Crusca da parte degli addetti ai lavori. Ci si rivolge al papa perché il prete non basta più.
Spero che nonostante i miei evidenti limiti espositivi riesca a capire meglio il mio punto di vista, che non ha alcuna pretesa di condivisione, essendo soltanto quanto ho visto succedere.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Sono felice di constatare che, contrariamente a quanto ha espresso piú sopra, lei ha a cuore il rispetto della lingua. Vorrei solo dire che la creatività è sempre esistita, non è una cosa nuova, anche se in passato ciò avveniva piú per via scritta che parlata. Il solo Dante ha creato forse piú parole in una sola opera che tutta una nazione sull’arco di 50-100 anni. E mi auguro che veramente esista questa creatività della lingua d’oggi, e che si smetta d’importare a casaccio tutti questi anglicismi assurdi.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Carnby
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Intervento di Carnby »

Scilens ha scritto:Mi trovo tuttavia costretto ad insistere sul suono [x] di 'la chasa', perché non ho mai detto 'la hasa' e pur riuscendoci mi pare innaturale e forzato come fosse l'imitazione d'un toscano. Penso che siano i limiti dell'IPA e degli esempi ascoltabili a farci divergere, perché son certo che di persona ci capiremmo al volo.
Purtroppo l'IPA non ha un simbolo univoco per l'approssimante velare non sonoro: il fono fricativo [x] è possibile, non lo nego, ma è assolutamente minoritario.
Scilens ha scritto:Daltronde lo studio si basa sullo scritto, con moltissimi studiosi che non son toscani ed hanno idee talvolta anche vaghe sulla reale pronuncia sul campo, come ho riscontrato.
Insisto sul fatto che, avendo studiato un po' di spagnolo e tedesco e discusso con parlanti nativi di quelle due lingue (anche latinoamericani), che la realizzazione «gorgiata» di /k/ è generalmente più debole della [x] di mujer o di Bach.
Scilens ha scritto:e le s che da sorde da un giorno all'altro divengon sonanti
Sonore. :) Sonante ha un significato differente, per molti è sinonimo di sonorante, ma il primo termine è più comune nell'ambito della linguistica storica indoeuropea e indica i fonemi che potevano servire sia da consonanti che da vocali a secondo del contesto /m̻, n̻, r̻, l̻/ (probabilmente realizzate come consonanti sillabiche). La faccenda delle s intervocaliche sonore comunque è una questione antica, ne parla già il senese Tolomei (schierandosi per la soluzione che oggi definiremmo «settentrionale», anche se, nei vernacoli settentrionali, in casi come casa e così/cusì può comparire proprio /s/ invece di /z/).
Scilens ha scritto:Insieme a quello "shtupido" non Le viene anche una bella t aspirata-esplosiva simile a "ShTHU'pido"? Anche senza substrato cinese? Perché forse è una tendenza più umana che nazionale.
Forse sì, ma le lingue hanno molte possibilità di esprimere l'enfasi: il fatto che il toscano scelga questa soluzione non deve autorizzarci a pensare che tutto il mondo faccia alla stessa maniera.
Scilens ha scritto:Concordo anche su schifo, che detto in napoletano fa ancora più Shchifo, controllato perché rigettato
Questa è una caratteristica tipica del napoletano e l'enfasi non c'entra; la «scibilante» si usa con le consonanti bilabiali e velari, ma non con le dentali: non *[ʆ]tare o simili.
Scilens ha scritto:Tornando un pochino indietro, Par Larson scrive che le forme come 'arbero' "andranno attribuite non a rotacismo bensì ad assimilazione a distanza".
Avrei pensato che la forma con la r fosse quella originaria, del latino 'arborem' e non ci fosse nulla di strano nel mantenere la r.
Detta così, mi pare che abbia ragione lei.
Scilens ha scritto:Forse è più inconsueta la forma "albero", che poi si afferma probabilmente come iper correzione di una forma che pareva villana. Nello stesso modo mi spiego l''albitro'.
In questo caso parlerei proprio di dissimilazione, come in armadio < armārium.
Scilens ha scritto:Il volgare è latino, chiamarlo corrotto è un giudizio, ciò che oggi è errore, come "auricola non oricla" domani sarà lingua da tutelare. E così via, da un sistema ad un altro, con tutti i passaggi intermedi.
Il latino comunque non ha mai preso brutalmente grecismi (e forestierismi in genere) senza adattarli, anche parzialmente, al proprio sistema fonologico; lo stesso vale a maggior ragione per il latino volgare, dal quale derivano le lingue romanze.
Ultima modifica di Carnby in data dom, 04 nov 2012 17:02, modificato 1 volta in totale.
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Scilens
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Intervento di Scilens »

A Marco1971
Posto che neppure Dante e Boccaccio parlassero come scrivevano, considero l'italiano classico una creazione molto ben riuscita che vorrei mantenere com'è, con gli aggiornamenti essenziali, ma senza che venisse raccolta nei dizionari ogni parola di moda che poi passa. O per precisare meglio, si può includere ogni parola effettivamente usata, anche la più gergale e anche astrusa, ma con l'indicazione di non essere accettata dalla Crusca che preferisce la forma X, ma certo anche questo non basterà a fermare la scrittura del parlato deviante. Viceversa, mentre per i vocaboli in qualche modo si può scegliere, per la sintassi c'è poco da fare quando non la si conosce a sufficienza, e qui diventa essenziale il ruolo dell'insegnante.

A Carnby
Son felice che mi abbia liberato da un errore che altrimenti avrei continuato a commettere; ho trovato sonante al posto di sonora in un libro vecchio, mentre oggi non si usa più in quel senso, la ringrazio per non essersi peritato a segnalarmelo, continui così.
Ora cercherò di seguire l'ordine della Sue citazioni.
Si, il suono che ho cercato di descrivere ormai è minoritario, oggi, come dicevo più indietro, ma un tempo era la norma; non ci si faceva caso e quando ci si faceva si cercava di chiuderlo, comprimerlo, eliminarlo.
Il suono di Mujer e Bach mi sembra uguale sebbene leggermente più lungo e tenendo presente l'appunto di Infarinato sulla durata mi sento di poter essere daccordo con Lei.

Torno ancora sull'altra affermazione di Par Larson che m'era parsa strana, sull'inesistenza dei diminutivi in -ino in italiano antico, perché ho trovato altri diminutivi in -ino/-ina, per es. in Dante festino e in Boccaccio trovo cassettina, zazzerina, moccichino, piombino e altri. Più tempo ci vorrebbe per cercare negli scritti anteriori e minori.
Sopra scrivevo:
"In Dante si trova "arbuscelli" che mi pare che possa esser dovuto alla gorgia, da arbucelli, poiché fuor di Toscana s'incontrano le forme "arbuseli" e "arbosei".
Di parole di questo tipo dovrebbero essercene diverse, come anche poscia, ruscello, ambascia, sembrano nascere dalla gorgia. "

Che ne pensate?

O sarebbe stato meglio sorvolare?
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Scilens ha scritto:O per precisare meglio, si può includere ogni parola effettivamente usata, anche la più gergale e anche astrusa, ma con l'indicazione di non essere accettata dalla Crusca che preferisce la forma X...
Idealmente, sí. Purtroppo la Crusca accetta tutto. Non è un organismo normativo. In realtà, si può parlare di assemblea di linguisti che hanno ciascuno il loro punto di vista.

P.S. Perché scrive d’accordo senz’apostrofo e tutt’attaccato?
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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