L'italiano da regionale a virale
Moderatore: Cruscanti
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- Iscritto in data: mar, 19 set 2006 15:25
L'italiano da regionale a virale
Un articolo di Silverio Novelli.
«Nostra lingua, un giorno tanto in pregio, è ridotta ormai un bastardume» (Carlo Gozzi)
«Musa, tu che sei grande e potente, dall'alto della tua magniloquenza non ci indurre in marronate ma liberaci dalle parole errate»
«Musa, tu che sei grande e potente, dall'alto della tua magniloquenza non ci indurre in marronate ma liberaci dalle parole errate»
È verissimo che c’è una certa unità – o piuttosto, omogeneità – per quanto riguarda la lingua scritta; un po’ meno nel parlato. Mi convince meno che la lingua sia «consapevole di sé e dinamica» (quest’ultimo, d’altra parte, è un aggettivo di modissima, ficcadappertutto: se uno vuol dire che una lingua è viva, che si rinnova, ha da dire che è «dinamica») e ancor meno che abbia «fede nelle proprie risorse interne», visto che ricorre allo straniero non solo per le cose nuove, ma anche per quelle vecchie, quasi a volersi scrollare di dosso qualche polverume o liquame marcescenti.Il modello non è più la lingua degli scrittori, recapitata un tempo nelle aule e nelle case dalla scuola e dalla tv del maestro Manzi: è, invece, la lingua ormai unificata, consapevole di sé e dinamica che ha fede nelle proprie risorse interne. Il parlante di Vicenza, come il parlante di Latina o quello di Brindisi, trae a sé le espressioni che l'italiano regionale mette a disposizione.
Non sono, le mie, parole in aria. Ho avuto modo di conversare in rete con gente di tutt’Italia, sia a voce sia per iscritto, in maniera informale, colloquiale. E ho notato molte confusioni lessicali e sintattiche. Quella che piú mi ha fatto ridere è questa: «Non sei in voga stasera» (il senso era «non sei in vena»). E, per chiudere, tra le mille cose, quella che non mi ha fatto ridere, ma mi ha preoccupato (ecco perché ho voluto citare il brano sopra riportato): «per espressarti i miei sentimenti».
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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