Il «ma però» nazionale

Spazio di discussione su questioni che non rientrano nelle altre categorie, o che ne coinvolgono piú d’una

Moderatore: Cruscanti

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Ferdinand Bardamu
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Il «ma però» nazionale

Intervento di Ferdinand Bardamu »

Un articolo del Fatto Quotidiano in difesa della sequenza di congiunzioni ma però, troppo spesso ignorantemente proscritta.
Avatara utente
u merlu rucà
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Intervento di u merlu rucà »

Ma però è usato da Dante, che è “relativamente facile da leggere” (T.S.Eliot), a differenza di quanto sia Chaucher per un inglese, sebbene l’Inghilterra sia divenuta nazione un secolo e mezzo prima di noi.
L'Inghilterra era nazione già da diversi secoli prima dell'inizio del 1700. Ho l'impressione che l'autore confonda Regno d'Inghilterra e Regno di Gran Bretagna, creato il 1 maggio 1707 dall’unione politica del Regno d'Inghilterra (che comprendeva il Galles) e il Regno di Scozia.
Da questa unità piuttosto antica deriva la relativa unità e uniformità delle varie parlate inglesi, rispetto a quelle della penisola italiana.
Sir Galahad
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Intervento di Sir Galahad »

Già... A scuola ci hanno dempre insegnato che "ma però" va inteso come errore grammaticale. In varie discussioni sull'argomento, si è precisato che tale espressione va interpretata come una ridondanza. In effetti - che io sappia - non è un errore grammaticale, giusto?
Comunque penso sia corretto, da parte delle istituzioni scolastiche, correggere dall'inizio i modi espressivi, anche quando questi rappresentino una "ridondanza".
P.S. Sono un nuovo iscritto (da stasera). Faccio i miei complimenti aglia amministratori per questo Forum, che ho conosciuto in questi giorni, e che dimostra una serietà difficile da trovare altrimenti.
Buonasera e... Ad majora! :lol:

Sir Galahad
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Sir Galahad ha scritto:...non è un errore grammaticale, giusto?
Non è un errore grammaticale, no, ma una sequenza di cui non bisogna abusare, riservandola a quei contesti informali nei quali ha una funzione espressiva.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Manutio
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Intervento di Manutio »

Vorrei continuare, con un po’ di intervallo, la discussione sul ma però con una su e però. Questo nesso, almeno fino alla metà del secolo scorso, ma credo anche piú tardi, ha avuto sempre un senso causale, e quel però aveva il valore per cui oggi si usa esclusivamente (direi) perciò. Compariva anche la grafia monoverbale epperò, diventata obsoleta nel corso del secolo. Non c’è bisogno di citarne troppi esempi ai dotti confratelli, per cui mi limito a uno dalle Operette morali di Leopardi, che ne forniscono molti: «La qual maggioranza di amor proprio importa maggior desiderio di beatitudine, e però maggiore scontento e affanno di esserne privi.» Da qualche anno, non saprei da quanti, si è diffusa l’abitudine di dare al nesso un valore avversativo, quello che avrebbe anche il semplice però: ‘Oggi pioveva, e però sono uscito lo stesso.’ Per taluni, sembra che far precedere il però avversativo da quell’abusivo e sia una regola senza eccezioni. È giustificato il mio profondo fastidio per questo che è probabilmente un vezzo introdotto da qualcuno senza uno speciale motivo e dffusosi come un morbo? Se in ma però c’è una ridondanza che si può giudicare inelegante, questo e però avversativo dimostra una ben scarsa familiarità con l’italiano serio.
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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

A questo riguardo, ricopio un passo della Grammatica di Serianni (XIV.21h):

Di uso limitato, perché letterarie o francamente arcaiche, diverse altre congiunzioni che hanno o possono avere valore avversativo come epperò («lo sposo […] era giovine assai ragguardevole, epperò molto serio per la età sua» Cantoni, Opere) […].

Il professore non fa menzione del valore conclusivo di epperò, a ciò bastando, evidentemente, l’accenno all’uso antico del solo però (XIV.21a).

Si tratta dunque d’una possibilità già presente nella lingua; d’altra parte, è viva anche la sequenza e tuttavia.
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Manutio
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Intervento di Manutio »

Grazie dell’indicazione. Ancora una volta, l’erudizione e la prontezza dei confratelli non mi hanno deluso. Però (senza e)… una questione cosí particolare può servire da punto di partenza per un discorso di interesse piú generale. Il fatto che il sapere di un grammatico, diventato quasi onniscienza con l’avvento dei moderni strumenti elettronici, ritrovi un certo uso in un anfratto recondito della letteratura italiana, non mi commuove molto, sia esso un astruso ‘testo di lingua’ o un autore minore dell’Ottocento. Noto di passata che nell’Ottocento, a parte i grandi e grandissimi che conosciamo, c’era una miriade di autori che scrivevano un italiano esecrando, non perché fossero asini, ma perché l’italiano era per loro una lingua semistraniera. Io continuo a trovare soltanto degli e però causali nei classici che leggo, che pure costituiscono un campionario abbastanza vasto e vario, mentre gli e però avversativi fioccano quando accendo la radio (soprattutto) o quando apro un giornale. Questo è il fatto concreto e palpabile su cui si formano i miei giudizi e la mia sensibilità, come avviene, credo, per tutti. Aggiungerei che quando la continuità in un certo uso è interrotta da generazioni o magari da secoli, serve a poco andare a riesumare quei precedenti per giustificare qualunque bruttura. Quello che è nato dalla sciatteria e frettolosità giornalistica resta bruttura anche se in un trecentista c’è qualcosa che gli somiglia. Al massimo la cosa è interessante perché indica una tendenza che può ricomparire a distanza di molto tempo, indipendentemente. Ma non mi sembra appropriato discutere di problemi di lingua con lo spirito di un avvocato che scova nella giurisprudenza il remoto precedente di una sentenza che può far assolvere un suo cliente. Per restare in tema, mi scuso per la prolissità dell’arringa.
PS. Siamo sicuri che nel passo citato epperò sia avversativo? Non c’è pericolo che la serietà fosse effetto della ragguardevolezza?
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Animo Grato
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Intervento di Animo Grato »

Manutio ha scritto:mi scuso per la prolissità dell’arringa.
Io non la scuso, semplicemente perché trovo che non ci sia nulla da scusare. :wink: Anzi, la stessa domanda mi frullava per la testa da un po', e prima o poi l'avrei fatta io, se lei non mi avesse risparmiato la fatica anticipandomi. Sarebbe forse opportuno dedicare alla questione un filone apposito, ammesso che non ci sia già (non saprei quali parole chiave usare per verificarlo).
Quello da lei sollevato è il classico, annoso, insolubile (?) problema del metodo. Quanti casi spinosi si potrebbero trovare al riguardo? Un'antica accezione di un termine si è persa nel corso dei secoli, ma rispunta come calco semantico da un'altra lingua: ripudiarla o uccidere il vitello grasso, come il padre della celebre parabola?
Il caso di e però è emblematico per mettere in luce la delicatezza del problema: lei dice "ha solo valore causale, e l'uso avversativo che se ne fa oggi è scorretto", le ribattono che il valore avversativo è attestato già nei secoli passati; lei mette in dubbio il valore normativo di pochi esempi obsoleti, ma allo stesso modo si potrebbe obbiettare che anche i suoi modelli sono piuttosto antiquati e sconfessati dall'uso moderno.
Epperò ( :wink: ) si torna sempre al punto di partenza: qual è il criterio?
Avatara utente
Ferdinand Bardamu
Moderatore
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Iscritto in data: mer, 21 ott 2009 14:25
Località: Legnago (Verona)

Intervento di Ferdinand Bardamu »

Il «sapere d’un grammatico» non dovrebbe diventare «quasi onniscienza», un ipse dixit, è vero; tuttavia, è un parere qualificato e, si presume, espresso dopo un attento esame d’un congruo corpus, quantunque, forse, non tanto ampio e vario quanto quello che lei, gentile Manutio, ha avuto il merito e la passione di leggere.

Ora, ammettendo che il passo della Grammatica su riportato sia controverso — e a dir vero, l’esempio di Serianni non è cristallino —, bisognerebbe portare controesempi che ne riducano il valore, piú che limitarsi a una generica lamentazione sui tempi degenerati. L’accusa di pescare a caso nella letteratura dei secoli passati, senza riguardo per la qualità dei testi selezionati come modello, è tutta da accertare; né, d’altra parte, l’attento vaglio della tradizione è sempre e in ogni caso sufficiente a giudicare un certo uso moderno.

Se l’accoglimento della novità in quanto tale, o la giustificazione a posteriori fondata su un malinteso senso della tradizione, dovrebbero essere evitati da tutti coloro che hanno a cuore la lingua come strumento d’espressione culturale, ci si dovrebbe parimenti allontanare dall’arroccamento in posizioni di purismo oltranzista, specialmente se si scambiano per ineleganze o esempi di sciattería le proprie idiosincrasíe, pur sostenute da ottime letture.

Ciò detto, potrebbe rivelarsi utile dapprima l’analisi del costrutto avversativo e però (o epperò) in sé, e poi la verifica della sua reale presenza nella nostra tradizione letteraria. In primo luogo, potremmo chiederci se la sequenza congiunzione coordinante-congiunzione avversativa sia lecita e se adempia una particolare funzione nel testo, talché ci sia una differenza col semplice però [il quale, di passata, non doveva occupare, secondo i puristi la prima posizione nella frase]. In secondo luogo, sarebbe opportuno sincerarsi che le occorrenze dell’epperò avversativo compaiano con una certa frequenza nella nostra letteratura, e in autori di vaglia. Propongo, se vi piace, di partire da qui.
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Manutio
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Intervento di Manutio »

Sono grato ad Animo Grato (il bisticcio è venuto da sé) e a Ferdinand Bardamu di aver contribuito a chiarire i termini del problema. Converremo che esso non si debba affrontare coi metodi delle scienze ‘dure’ (oggi si dice cosí), né con la procedura penale alla mano, ma empiricamente, caso per caso. Davanti a una novità linguistica, la mia reazione (è lecito chiamarla idiosincrasia, come fa F. B.; il termine in sé non è derogatorio, e lo accetto) dipende dall’‘odore’ che essa porta con sé; e credo che tutti ci regoliamo cosí, anche se non ci abbiamo riflettuto sopra. Se la novità odora di scienza o di tecnica, costretta a trovare parole nuove per una cosa nuova, passi. Se risponde a una vera esigenza espressiva, cui si dà risposta sviluppando i mezzi insiti nella lingua, secondo linee tradizionali, passi lo stesso. Se si tratta di un forestierismo, aperto o latente, vediamo. Se è un evidente frutto dell’ambizione di ‘parlar bene’, in chi invece riesce solo a parlare malissimo (odore di ignoranza), pereat, senza remissione. Credo di aver detto abbastanza, per gli avvisati confratelli, senza bisogno di portare esempi, e che questo non apparirà «un arroccamento in posizioni di purismo oltranzista» (F. B.).
Quanto a «portare controesempi» (ancora F. B., per tornare al nostro e però, ormai un po’ noioso), ognuno può trovarli da sé, senza alzarsi dalla scrivania che ha presumibilmente davanti mentre legge qui: andare a un sito come Liber Liber, scaricare qualche classico dei piú riconosciuti, e avviare la ricerca automatica. Mezzi che consentono di trarre conclusioni su questi temi anche a chi come me dispone della conoscenza diretta solo di un ‘campionario’ dei nostri classici non paragonabile a quello di altri, come mi ero espresso.
Avatara utente
Ferdinand Bardamu
Moderatore
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Grazie, Manutio, della risposta. Certo, nel giudicare un uso linguistico si parte sempre dalle preferenze e avversioni personali; e, d’altronde, è vano aspirare, nelle cose della lingua, all’esattezza delle scienze della natura. Tuttavia, se si vogliono aggirare le secche del gusto individuale eletto a norma — per quanto raffinato, sceltissimo e alimentato dall’ambrosia dei classici —, e avanzare nel dialogo, è bene sollevare lo sguardo e allargare l’analisi.

Intanto, anche il Battaglia riporta il valore avversativo di epperò, come seconda accezione [ringrazio Marco per questa informazione]. Ma qui siamo ancora nel campo dell’ipse dixit, e allora spostiamoci in quello della grammatica. Però appartiene al sottoinsieme limitativo delle congiunzioni avversative, che «introduce un concetto che limita la validità di quanto affermato in precedenza o esprime un diverso punto di vista»1; in questo sottoinsieme troviamo anche peraltro, nondimeno, d’altra parte.

L’espressione d’un «diverso punto di vista» può coesistere senza conflitti con un’altra frase unita da una congiunzione coordinante:

Certo, Marini si tiene in contatto con i protagonisti (pochissimi) della trattativa, ma non è tipo da brigare. Anche perché il suo principale sponsor dall’altra parte della barricata, Gianni Letta, ancora per qualche giorno si muove con l’aura del candidato. E d’altra parte Marini sa quali siano le regole del gioco […] (La Stampa, 8 aprile 2013).

Era il mostro d’origine divina,
lïon la testa, il petto capra, e drago
la coda; e dalla bocca orrende vampe
vomitava di foco. E nondimeno,
col favor degli Dei, l'eroe la spense.

(Vincenzo Monti, traduzione dell’Iliade, libro VI, vv. 222-226)

Ne consegue che un eventuale abuso di epperò avversativo non stucca per una sua originale improprietà o aberrazione, ma solo per ragioni di gusto individuale che difficilmente possono assurgere a norma (o per la ripetizione ossessiva, ma questo vale per qualunque cosa). È d’accordo?

__________
1 «Incontro di congiunzioni: ma però», Accademia della Crusca
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Manutio
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Intervento di Manutio »

Non si può non essere d’accordo su ciò che si legge nell’ultimo intervento di Ferdinand Bardamu, che però gira attorno alla questione dell’e però (uffa!), con raffinata teoria e con soccorso di analogie, piuttosto che affrontarla di petto. Io ho aperto la discussione con una citazione da Leopardi, una fra le tante possibili, e mi vedo obiettare citazioni da vocabolari e grammatiche cioè, per dirla in maniera un po’ estrema, opinioni contro fatti, o contro un fatto che sarebbe troppo facile moltiplicare per cento. Sono contento che F. B. concordi con me sul carattere dubbio dell’esempio di e però avversativo che Serianni trae da Alberto Cantoni; io, piú lo considero meno mi convince, e attendo ancora un esempio sicuro di questo costrutto anteriore agli ultimi cinquant’anni, ma diciamo anche venti, o dieci. In ogni caso, una rondine non farebbe primavera, quando le non-rondini sono legione. Ci tengo a dichiarare che sono assai compiaciuto di poter assistere e anche un po’ partecipare a questa guerra d’ingegni cosí graziosa, e mi scuso se qualche volta mi scappano parole che vanno un po’ oltre l’intenzione.
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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Caro Manutio, non sono per nulla d’accordo con lei, né sui contenuti né tampoco sul metodo.
Manutio ha scritto:Io ho aperto la discussione con una citazione da Leopardi, una fra le tante possibili, e mi vedo obiettare citazioni da vocabolari e grammatiche cioè, per dirla in maniera un po’ estrema, opinioni contro fatti
Mi perdoni, ma questo mi sembra un argomento «dell’uomo di paglia». Legga meglio il mio intervento: oltre alla citazione del Battaglia, troverà una mia modesta argomentazione (strano: credevo si notasse la domanda che le ho posto alla fine).
Manutio ha scritto:Sono contento che F. B. concordi con me sul carattere dubbio dell’esempio di e però avversativo che Serianni trae da Alberto Cantoni; io, piú lo considero meno mi convince, e attendo ancora un esempio sicuro di questo costrutto anteriore agli ultimi cinquant’anni, ma diciamo anche venti, o dieci.
Forse è opportuno ribadire — o, meglio, precisare — qual è la mia posizione. Per me, la precedenza dovrebb’andare alla legittimità del costrutto in sé, piuttosto che al rispetto pedíssequo d’un’ipostatizzata «tradizione».

In alcuni casi, il ricorso all’autorevolezza dei classici è un espediente utile per affermare la piena cittadinanza di costrutti minoritari nell’uso: penso, ad esempio, a avere che fare rispetto a avere a che fare. Ma non dovrebb’essere l’unico, intoccabile riferimento per giudicare la bontà o no d’un qualunque uso: se una tal parola o costruzione non víola le strutture della lingua ma non fu usata dalle «tre corone», ha senso ostracizzarla?

Non le so trovare esempi letterari diversi da quelli del Battaglia e di Serianni, ma — a esser sincero — non ne ho nemmeno bisogno. Ricordandole di passata che non è detto che la lingua di Cantoni (che non conosco) sia per forza peggiore di quella di Manzoni o Leopardi1, a me basta sapere — finché lei non avrà la bontà di confutare la mia argomentazione rimanendo sul mio stesso campo — che l’epperò avversativo non è né una «bruttura», né un’improprietà, né un’aberrazione.

Dunque, se sulla base di fatti possiamo accogliere questa sequenza di congiunzioni, qualunque condanna è piú l’effetto d’un’avversione personale, per quanto motivata da un gusto particolarmente scelto, che di un difetto ínsito nel nostro epperò. Se l’unico criterio di giudizio, invece, è la lingua dei classici (tralasciamo adesso la «piccolissima» questione del canone), dovremmo evitare accuratamente l’epperò avversativo. Assieme a una folta legione d’altri costrutti tipicamente moderni.

__________
1 Per esempio, lo stile d’un Vincenzo Monti non ha nulla da invidiare ad altri poeti piú celebrati e letti, pur essendo egli un autore minore.
Avatara utente
Manutio
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Iscritto in data: mar, 12 mar 2013 9:48

Intervento di Manutio »

Caro Ferdinand Bardamu, a costo di essere noioso, debbo discolparmi dall’accusa di aver usato nella discussione lo sleale espediente dell’‘uomo di paglia’. Io ho insistito sul fatto che l’accettabilità di una parola o di un costrutto dipende dalla sua presenza in un corpus di autori consacrati dal consenso, e Lei aggiunge giustamente la conformità alle strutture della lingua, come altro criterio per accettare i nuovi sviluppi. È chiaro che i pareri possono divergere sull’ampiezza da dare al corpus, cosí come si può discutere su dove finisca quella conformità — siamo qui per questo, dov'è la slealtà? Venendo alla fattispecie, l’uso avversativo di un costrutto che secoli di tradizione conoscono solo come causale, è atto a creare confusione e ambiguità, almeno in chi ha frequentato troppo quei testi ammuffiti, compromette quindi la prima funzione della lingua, che è quella d'intendersi. Non si indigni troppo, lo so da me che c’è differenza, ma io metto questo caso accanto a quello ben piú madornale dello scellerato scelleratissimo piuttosto che in funzione disgiuntiva, quando il nesso ha avuto una funzione comparativa fin dal Duecento. Anche qui si crea ambiguità; l’ha spiegato bene Giuseppe Patota, ma non ce n’è bisogno. Quanto all’aver letto male il suo precedente intervento, respingo anche questo. Se Le riconosco «raffinata teoria», vorrà dire che ci ho speso un po’ di tempo. In conclusione: sarà vero tutto quello che Lei scrive, ma io l’e però avversativo continuerò a non usarlo neanche se mi pagano.
Avatara utente
Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Carissimo Manutio, non è mia intenzione far polemica per il gusto di farlo, perciò riconosco volentieri l’errore nel giudicare il suo intervento, in ispecie se a farne le spese è una persona cólta e raffinata come lei.

Quanto al resto, carissimo, lei sa bene che il valore conclusivo di però non è piú nell’uso, né scritto, né parlato. Ne consegue che, almeno stando alla lingua cosiddetta neostàndara, non si dà confusione alcuna; e pure un orecchio aduso all’eleganza dei classici dovrebbe riconoscerlo.

Il suo noverare l’epperò avversativo tra gli aborti linguistici, qual è il piuttosto che disgiuntivo, se non mi stupisce date le premesse già ben esplicitate da lei, mi riesce difficile da comprendere. I suoi strali dovrebbero dunque esser rivolti in primo luogo contro il valore avversativo di però, perché l’epperò non è altro che la naturale conseguenza di quel valore — e piú precisamente dell’ulteriore accezione limitativa — come ho cercato di dimostrare cólla comparazione con altre congiunzioni simili.

Se invece ammette che però si può usare con lo stesso valore di nondimeno o d’altra parte, allora è necessario accettare anche l’epperò esecrato, il quale, se può ingenerare ambiguità in un autore ottocentesco, è affatto trasparente nella lingua d’oggi, venuto meno l’uso etimologico di però (lat. PER HOC).

D’altronde, la sua conclusione conferma la mia: pur riconoscendo lei che il mio ragionamento possa esser valido, il suo peculiare gusto la porta a disdegnare l’epperò avversativo. Le confido che, personalmente, concordo con lei: anch’io non l’userei, per l’attaccamento alla tradizione. Ma sono ben consapevole che si tratta d’una mia preferenza personale, e non arriverei a rampognare chi l’usa, come farei con chi s’ostina a adoperare il piuttosto che come oppure.
Ultima modifica di Ferdinand Bardamu in data ven, 26 apr 2013 22:20, modificato 1 volta in totale.
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