«Avere a + infinito» (fraseologico)
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«Avere a + infinito» (fraseologico)
Mi sfugge la sfumatura di significato che distingue una frase come «Tizio ebbe a dire questo» da «Tizio disse questo». Sembra un’inutile distinzione, ma, giacché esistono esempi illustri, una qualche differenza, seppur minima, col solo passato semplice dev’esserci. Alcune occorrenze di «ebbe a dire» tratte dall’archivio della BibIt:
Gennaroni ricomparve al Caffè verso il principio dell’inverno, masticando delle pastiglie, col fez come un turco, e le tasche piene di bottigline di marsala, per le quali ebbe a dire agli amici che volevano fargli festa:
- Adagio! adagio, miei cari! Questi qui sono campioni! (Giovanni Verga, Vagabondaggio, novella «Artisti da strapazzo»)
Del rimanente, quantunque, nel giudizio dei dotti, don Ferrante passasse per un peripatetico consumato, pure a lui non pareva di saperne abbastanza; e piú d’una volta ebbe a dire, con gran modestia, che l’essenza, gli universali, l’anima del mondo, e la natura delle cose non eran cose tanto chiare, quanto si potrebbe credere. (Alessandro Manzoni, I promessi sposi, Redazione 1827)
Filippo Visconti, duca di Milano, piú volte mosse guerra a’ Fiorentini, fondatosi sopra le disunioni loro, e sempre ne rimase perdente; talché gli ebbe a dire, dolendosi delle sue imprese, come le pazzie de’ Fiorentini gli avevano fatto spendere inutilmente due milioni d’oro. (Niccolò Machiavelli, Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio)
E per tornare a Platone, egli dappertutto si manifesta l’uomo parziale delle Muse, e l’innamorato di Omero quanto mai poté essernelo Arcesilao ed Alcibiade: per la qual cosa ebbe a dire Massimo Tirio, che Platone fu alunno di Omero piú che di Socrate. (Vincenzo Monti, Epistolario)
Gennaroni ricomparve al Caffè verso il principio dell’inverno, masticando delle pastiglie, col fez come un turco, e le tasche piene di bottigline di marsala, per le quali ebbe a dire agli amici che volevano fargli festa:
- Adagio! adagio, miei cari! Questi qui sono campioni! (Giovanni Verga, Vagabondaggio, novella «Artisti da strapazzo»)
Del rimanente, quantunque, nel giudizio dei dotti, don Ferrante passasse per un peripatetico consumato, pure a lui non pareva di saperne abbastanza; e piú d’una volta ebbe a dire, con gran modestia, che l’essenza, gli universali, l’anima del mondo, e la natura delle cose non eran cose tanto chiare, quanto si potrebbe credere. (Alessandro Manzoni, I promessi sposi, Redazione 1827)
Filippo Visconti, duca di Milano, piú volte mosse guerra a’ Fiorentini, fondatosi sopra le disunioni loro, e sempre ne rimase perdente; talché gli ebbe a dire, dolendosi delle sue imprese, come le pazzie de’ Fiorentini gli avevano fatto spendere inutilmente due milioni d’oro. (Niccolò Machiavelli, Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio)
E per tornare a Platone, egli dappertutto si manifesta l’uomo parziale delle Muse, e l’innamorato di Omero quanto mai poté essernelo Arcesilao ed Alcibiade: per la qual cosa ebbe a dire Massimo Tirio, che Platone fu alunno di Omero piú che di Socrate. (Vincenzo Monti, Epistolario)
Ultima modifica di Ferdinand Bardamu in data gio, 12 feb 2015 23:13, modificato 1 volta in totale.
Per me dà maggior enfasi, quasi dovette dire, non poté esimersi/trattenersi dal dire. Ma è solo la mia percezione.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Ti ringrazio. In effetti non è semplice trovare una differenza netta. C’è da aggiungere che, dei dizionari a mia disposizione, solo il Treccani in linea presenta quest’accezione («Avere», 5e).
Un vago valore deontico — ma si tratta, a mio parere, d’un obbligo dettato dalle circostanze, e non già morale — si può forse distinguere in quest’altro esempio di Aldo Gabrielli (grassetto mio):
Ai tempi del politichese un segretario di partito, per non pronunciare la parola tangenti, ebbe a coniare questa espressione: “contributi riconducibili a condizionamenti costrittivi”: massimo dei voti in abilità perifrastica.
L’obbligo qui potrebbe esser dato dalla necessità di evitare l’inopportuna franchezza della parola tangenti. Ma mi rimane il dubbio che si tratti d’un giro di frase del tutto equivalente a un passato semplice. Insomma, forse la differenza non è semantica ma, semplicemente, di registro.
Un vago valore deontico — ma si tratta, a mio parere, d’un obbligo dettato dalle circostanze, e non già morale — si può forse distinguere in quest’altro esempio di Aldo Gabrielli (grassetto mio):
Ai tempi del politichese un segretario di partito, per non pronunciare la parola tangenti, ebbe a coniare questa espressione: “contributi riconducibili a condizionamenti costrittivi”: massimo dei voti in abilità perifrastica.
L’obbligo qui potrebbe esser dato dalla necessità di evitare l’inopportuna franchezza della parola tangenti. Ma mi rimane il dubbio che si tratti d’un giro di frase del tutto equivalente a un passato semplice. Insomma, forse la differenza non è semantica ma, semplicemente, di registro.
Comunque una sfumatura semantica esiste, non direi che sia solo di registro.
La cosa mi ha incuriosito e voglio fare delle ricerche in merito. Se trovo qualcosa, lo riporto qui.
La cosa mi ha incuriosito e voglio fare delle ricerche in merito. Se trovo qualcosa, lo riporto qui.

Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Nel Battaglia trovo questo:
Avere 21. Congiunto con l'infinito di un verbo esprimente azione per mezzo della preposizione a o da: dover fare.
Piú sotto, sempre all'accezione 21:
Esprime casualità; o ha puro valore fraseologico.
La sfumatura, quindi, dovrebbe essere essenzialmente di dovere o casualità, secondo i casi. Ciò che non esprime il verbo da sé solo.
Avere 21. Congiunto con l'infinito di un verbo esprimente azione per mezzo della preposizione a o da: dover fare.
Piú sotto, sempre all'accezione 21:
Esprime casualità; o ha puro valore fraseologico.
La sfumatura, quindi, dovrebbe essere essenzialmente di dovere o casualità, secondo i casi. Ciò che non esprime il verbo da sé solo.
Ultima modifica di Marco1971 in data sab, 31 ago 2013 12:52, modificato 1 volta in totale.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Grazie. Quindi, tralasciando i casi in cui questo costrutto ha puro valore fraseologico (da evitare — correggimi se sbaglio — se il testo non ha alcuna pretesa di espressività), avere a + infinito sottolinea l’estemporaneità dell’azione. Sicché questo passo manzoniano: «e piú d’una volta ebbe a dire…» si potrebbe parafrasare con «e piú d’una volta si trovò a dire…». È cosí?
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Io, invece, nelle forme in debb- del verbo dovere - che se non sbaglio ha la stessa radice ebb- di avere -, avverto più un obbligo sentito come interiore, che non semplicemente imposto dall'esterno.Ferdinand Bardamu ha scritto:Un vago valore deontico — ma si tratta, a mio parere, d’un obbligo dettato dalle circostanze, e non già morale — si può forse distinguere in quest’altro esempio di Aldo Gabrielli (grassetto mio):
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Anche secondo me c'è una sfumatura di opportunità: ebbe a dire --> gli parve opportuno dire (e lo disse).
«Ed elli avea del cool fatto trombetta». Anonimo del Trecento su Miles Davis
«E non piegherò certo il mio italiano a mere (e francamente discutibili) convenienze sociali». Infarinato
«Prima l'italiano!»
«E non piegherò certo il mio italiano a mere (e francamente discutibili) convenienze sociali». Infarinato
«Prima l'italiano!»
- Ferdinand Bardamu
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Dovere e avere sono etimologicamente connessi: il primo è il latino DEBĒRE, a sua volta derivato da DE + HABĒRE, cioè, letteralmente, ‹avere da qualcuno›.PersOnLine ha scritto:Io, invece, nelle forme in debb- del verbo dovere - che se non sbaglio ha la stessa radice ebb- di avere -, avverto più un obbligo sentito come interiore, che non semplicemente imposto dall'esterno.
La forma ebbi per abbi (tosc. ant.) del passato semplice di avere è dovuta, secondo il Rohlfs (1949 [1968]: § 584), a un influsso delle parlate del Nord:
Si pone qui la questione se la e delle forme toscane non sia piuttosto da attribuire a influssi settentrionali, con un’erronea generalizzazione della e a tutte le forme rizotoniche.
Ciò detto, io non avverto una differenza semantica fra i due temi debb- e dev-; semplicemente, il primo è piú formale del secondo. Il tema debb- è ormai quasi la sola scelta per il congiuntivo presente: deva mi sembra piuttosto raro, anche nel parlato (il DOP conferma).
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