[LIJ] Formazione del plurale in ventimigliese e genovese

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u merlu rucà
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[LIJ] Formazione del plurale in ventimigliese e genovese

Intervento di u merlu rucà »

Una comparazione nella formazione del plurale tra il ventimigliese e il genovese. Spero di non aver dimenticato qualcosa.

Sing. con desinenza in –a atona: plur. in –e: barba/barbe; röśa/röśe
I pochi maschili in –a hanno il plur. in –i: barba (zio)/barbi; papa/papi con l’eccezione di boia che resta invariato al plur.
In genovese i plurali si formano nella stessa maniera.
Nota: a Bordighera esisteva anche un plurale barba (i barba “gli zii”)

Sing. con desinenza in –u atona: plur. in –i: luvu (lupo)/luvi; niu (nido)/nì; curunbu/curunbi; övu/övi; osu/osi
In genovese gli ultimi due termini hanno un plur. femm. In –e (öve; osse).

Sing. con desinenza in –e atona: plur. in –i per i masch.: meśe/meśi; dente/denti; plur. invar. per i femminili: ciave (chiave)/ciave; levre (lepre)/levre.
In genovese stessa situazione, salvo la tendenza moderna a formare il plur. dei femminili in –i per influenza dell’italiano.

Sing. masch. con desinenza in vocale tonica –à, -é,- ò, -ö, .ù, -ü: plur. aggiungendo –i atona: bancarà (falegname)/bancarài; barbé (barbiere)/barbei; cumò/cumòi; figliö (bambino)/figliöi; curù (colore)/curùi; mü (mulo)/müi.
Qui la differenza con il gen., a causa della monottongazione dei dittonghi originari, è maggiore. Infatti abbiamo bancâ/bancæ (bancarài > bancaài > bancài > bancæ); barbê/ barbê; cumò/cumò; figiő/ figiő; mû/mû.

Sing. femm. con desinenza in vocale tonica -é, -ö, -ü; plur. invariato: muglié (moglie)/muglié; sö (sorella)/sö; vertü(virtù)/vertü.
Lo stesso in genovese.

Sing. masch.e femm. in –ì; plur. Invariato: fì (filo)/fì.
Lo stesso in Genovese.

Sing. femm. con desinenza in vocale tonica –à; plur. aggiungendo –e atona: bügà (bucato)/bügàe; verità/veritàe.
In genovese abbiamo bügâ/bügæ; nei nomi astratti (di origine colta) che terminavano in –ate il sing. e il plur. sono uguali: veitæ <VERITATE(M).
Sing. in -ae da -ate sono conservati a Pigna: caritàe, veritàe

Sing. masch. con sillaba tonica terminante in –n (-àn, .én, -òn, -ùn,-ün); plur. sostituendo alla –n una –i atona: can/cai; frén (freno)/frei; tròn (tuono)/troi; balùn (pallone)/balui; śaśün (digiuno)/śaśüi.
Questi plurali si sono formati per anticipazione della –i dei plurali in –ni, -ri, -li nella sillaba precedente, sia in vent. sia in genovese dando origine a forme càin, patrùin. In genovese il ditt.-ai si è monottongato, come –ei , e nel ditt. –ùi l’accento è passato sulla –i. In vent. invece i dittonghi si sono mantenuti provocando però la caduta della –n. In genovese abbiamo, quindi: can/cæn; fren/fren; balùn/baluìn; ; śaśün (digiuno)/śaśüìn.

Sing. masch. e femm. in –ìn; plur. invariato: murìn (mulino)/murìn; fin/fin
Lo stesso in genovese.

Sing. femm. in –ùn, - ün, plur. Invariato: pasciùn (passion)/pasciùn; cumün (Comune)/cumün.
In genovese anche nel femm. vi è anticipazione della –i: cansùn (canzone)/cansuìn.
Nel vent. è assente ma è presente in altri dialetti occ.: cansùn/cansùi (Bordighera).

û equivale ad una ü lunga
æ equivale ad una e aperta e lunga
ś equivale a –s- sonora
Largu de farina e strentu de brenu.
ippogrifo
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PLURALI VENTIMIGLIESI / GENOVESI

Intervento di ippogrifo »

Ottimo affresco sinottico!

P.S.:

Faccio solo qualche precisazione in merito ai plurali genovesi.
Per quanto concerne il plurale di “can” occorre osservare che la grafia tradizionale è “chen”/[‘keη] che corrisponde esattamente alla pronuncia urbana. Con [e] chiusa. Come in “sen” = sani, “cen” = piani e molti altri. E, a parte qualche eccezione (su cui tornerò nel seguito), l’ “e” davanti a “n” - in città - si pronuncia chiusa. “Cæn” è una grafia molto recente “predisposta” da “provinciali” che - effettivamente - pronunciano il plurale di “can” con “e” aperta. Però, siccome queste stesse persone pronunciano anche “vèndu” = vendo o “sèntu” = sento o cento - mentre in città si dice, rispettivamente, [‘veηdu] e [‘seηtu] (“e” chiusa) -, ciò significa semplicemente che essi pronunciano aperte tutte le “e” davanti a “n” e NON che la loro varietà linguistica abbia conservato una sensibilità “differenziale” che induca a pronunciare aperte le “e” derivanti da antichi dittonghi. Infatti, la trafila che portò a “chen” implica la monottongazione dell’antico dittongo: [’kaiη]>[‘kaeη]>[‘kεη]>[‘keη]. L’abitudine a pronunciare aperte tutte le “e” toniche costituisce un tratto “differenziale” di rusticità - molto stigmatizzato in ambiente urbano - e noto da secoli. Quindi - per coerenza - chi scrive “cæn” perché così dice dovrebbe grafare anche “vændu” e “sæntu” et c. … perché pronuncia anche queste voci nello stesso identico modo di”cæn”. E – per altro - non esiste - come dimostrato - alcuna sensibilità di tipo “differenziale”. Le pronunce “rustiche” prevedono anche “librættu” = libretto et c., indipendentemente dall’etimo e dalla pronuncia cittadina. Relativamente alla città e a chi opta per una pronuncia urbana, la grafia tradizionale “chen” rappresenta correttamente la pronuncia.

Però, tutto ciò esposto, occorre anche chiarire che dei veri e propri plurali in “-æn” [‘εη] - e aperta - esistono effettivamente in genovese. Sono del tipo di “scæn” = gradino/-i o - anche - scalino/-i. La trafila è ∫ka’ŕiη>∫ka’iη>’∫kaiη>’∫kaeη>’∫kεη>’skεη. La grafia tradizionale è “scæn”. Qual è, quindi, la variabile che ha fatto la differenza? Semplicemente lo scorrere del tempo. Nel caso dei cani il tempo trascorso è stato talmente tanto che l’[‘ε] di [’kεη] ha fatto in tempo a chiudersi in “e” dando [‘keη] - grafato “chen” - in modo conforme alla tendenza ad avere “e” – chiusa – davanti a “n”. Indipendentemente dall’origine. La pronuncia aristocratica [∫ka’ŕiη] durò fino al crollo della Repubblica - storicamente “recente” - e la pronuncia “popolare” [‘skεη] - priva del “tratto aristocratico” rappresentato dall’ [-ŕ-] - che le subentrò non ebbe tempo sufficiente per chiudersi in [‘e]. Il monottongo [‘ε] di [‘skεη] risulta molto più recente di quello di [’kεη]> [‘keη] perché l’[a] e l’ di “scarin” / [∫ka’ŕiη] ebbero - fino a tempi “recenti” - l’[-ŕ-] come confine di sillaba.
Ed esistono - per altro - anche varietà appenniniche in provincia di Genova dove – tuttora – si pronuncia “sc-caŕin”/[∫ka’ŕiη].
Quindi, indipendentemente dal plurale, oggi – in città - si dice – con [e] chiusa - “chen” = cani, “sen” sani, “tien” pl. di “tian” = teglia (letteralmente, tegame) et c. . Ma - con [ε] aperta - “scæn” = gradino/-i, “fænn-a” = farina, “mæn” = marino, “cügiæn” = cucchiaino/-i - anche se oggi si preferisce l’italianismo “cüggiarin” -, “a Madænn-a” = il sestiere della Maddalena, “a Mænn-a” = il quartiere della Marina et c. -laddove c’era – fino a epoca recente” – un’ [-ŕ-] < -r- o -l- - . E le grafie tradizionali - “scæn”/[‘skεη] (e aperta) opposto a “chen”/[‘keη] (e chiusa) - riportano in modo completamente attendibile la differenza di pronuncia dovuta alle due diverse modalità di evoluzione fonetica tra le quali intercorrono molti secoli.

Post P.S.:

I plurali tradizionali di “pan” = pani e “man” = mani erano “puen”/[‘pweη] e “muen”/[‘mweη] . [w], ovviamente, “anetimologico” e presente solo per un fenomeno “fonatorio”.
Esattamente come in “puæ” [‘pwε:] = padre/-i e “muæ”/[‘mwε:] = madre/-i. Conosco “puen”, ma non l’ho mai sentito usare effettivamente - solo ricordare - , mentre ho potuto ascoltare molte volte “muen”. Particolarmente in frasi stereotipe. Oggi “pan” è solo collettivo e “man” risulta - ormai - invariabile al plurale. Comunque, avevano - anch’essi - [e] chiusa.
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u merlu rucà
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Intervento di u merlu rucà »

Il genovese che io conosco meglio è una variante che sarebbe considerata rustica, in cui non vi è differenza tra cæn e scæn, con è aperta. Inoltre fàinn-a e non fænn-a, àinn-a "sabbia" e non ænn-a, in cui non vi è monottongazione.
Largu de farina e strentu de brenu.
ippogrifo
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RUSTICITAS

Intervento di ippogrifo »

u merlu rucà ha scritto:Il genovese che io conosco meglio è una variante che sarebbe considerata rustica, in cui non vi è differenza tra cæn e scæn, con è aperta. Inoltre fàinn-a e non fænn-a, àinn-a "sabbia" e non ænn-a, in cui non vi è monottongazione.
Certo. :wink: Infatti, mi ero premurato di presentare tutta la "trafila" dell'evoluzione linguistica fino a giungere ai nostri giorni. E di chiarire, ad es., che i "montanari" sono ancora al punto iniziale: [∫ka'ŕiη], [fa'ŕiηna] (vivo in città fino al crollo del regime aristocratico) - ma anche [fa'ŕiηηa] - et c. . Il genovese urbano rimane caratterizzato - per contrasto - rispetto a varietà più conservatrici della provincia dalla perdita di -ŕ- e dalla chiusura dei dittonghi che ne conseguirono. Penso che fosse altrettanto chiaro che non ho adoperato il più appropriato aggettivo "arcaico" solo in un'ottica informativa più ampia - non solo linguistica - . E' ovvio che la linguistica non può - scientificamente - fornire giudizi di merito su un dittongo o un monottongo. :wink:
Non ha alcun senso! Le scienze sociali - psicologia, sociologia - studiano - invece - anche il pregiudizio, le condizioni che ne sono alla base e gli stereotipi che ne conseguono. Tutto il mondo è paese. Nel Sud-Ovest della Francia, ad es., molte pronunce regionali prevedono ancora ['Rwε] e ['fRwε] per "roi" e "froid" e ai francesi che storcono il naso non viene neppure in mente che si tratta della pronuncia "aristocratica" parigina di "ancien régime" soppiantata - dopo la Rivoluzione - dalla pronuncia parigina popolare - ['RwA] e ['fRwA] - . Tra l'altro, chi ascolta bene si accorge facilmente che la pronuncia di "A" - in francese - è più "avanzata" di quella dell' "a" italiana.
ippogrifo
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Re: [LIJ] Formazione del plurale in ventimigliese e genovese

Intervento di ippogrifo »

u merlu rucà ha scritto:Una comparazione nella formazione del plurale tra il ventimigliese e il genovese.

Sing. con desinenza in –u atona: plur. in –i: luvu (lupo)/luvi; niu (nido)/nì; curunbu/curunbi; övu/övi; osu/osi
In genovese gli ultimi due termini hanno un plur. femm. In –e (öve; osse).
Faccio ancora qualche osservazione. Ovviamente - sta scritto - a "-u" atona corrisponde "-i" atona. Cunbu/-i = piccione. Lûvu ci mette in difficoltà perché faceva parte del lessico cittadino di "ancien régime" e, in città, non esiste più. Gli è subentrato lû - forma popolare [-v->0 (proprio come -ŕ->0) oggi quasi sempre reintegrata a diff. di -ŕ-] -. La voce attuale lû, per altro, ci dà l'opportunità di chiarire i plurali nei casi in cui l'"-u" è tonica: lû / luî ['lwi.i]. Così pastû/pastuî = pastore/-i et c. . Esistono autori che ritengono il plurale pastuî una formazione ben poco "regolare": non da pastûŕi, ma da pastuîŕ proprio come s'ebbe pastuin da pastun = pastone o cain>chen da can = cane. L'ipotesi contiene un'inferenza - per analogia - potenzialmente ammissibile (comportamento simile di -ηi>-iη e -ŕi>-iŕ), ma non credo possa essere direttamente suffragata da grafie antiche. Nîu - nîdu>nîƏu>nîu (Ə="dh") - è, invece, perfettamente regolare e dà - al pl. - nîi - un vero trittongo: ['ni.ii] - . Pronunciato molto chiaramente. Non ho capito bene - relativam. a questa voce - la grafia ventimigliese. I "neutri" hanno il plurale in "-e". Sono, però, riuscito a trovare plurali che - per ragioni solo fonetiche - hanno ancora il plurale "neutro" in "-a". Sono: puæa da pâ = paio (anche se i meno "esperti" dicono pâ anche al plurale), sentanæa da sentanâ = centinaio e migiæa da migiâ = migliaio. "Migliaia di miglia" sarebbe "migiæa de migge" perché miggiu appartiene alla classe - più ampia - dei "neutri" che hanno il pl. in "-e".
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Intervento di cambrilenc »

U magister aveva parlato di questi plurali in -ae in un testo nella sua web. Potrei aggiungere il link ma Ippogrifo ne ha fatto un buon riassunto.

se qualcuno/a vuola sentire queste e aperte, un giovane di Campomon (Campomorone) ha appena pubblicato una canzone dove ghe n´é un muggio:

http://www.youtube.com/watch?v=9uIjEI918FI
ippogrifo
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PLURALI ET C.

Intervento di ippogrifo »

cambrilenc ha scritto:U magister aveva parlato di questi plurali in -ae in un testo nella sua web. Potrei aggiungere il link ma Ippogrifo ne ha fatto un buon riassunto.
Grazie, Cambrilenc, delle sue gentili parole.
Ma lei s'interessa sempre al genovese? Se è così, le "dedico" un ulteriore contributo - non proprio sintetico, ma molto ricco :wink: -, certo che lei potrà trovarci cose interessanti - che, per altro, non si trovano da nessun'altra parte -.

La saluto cordialmente
ippogrifo
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Re: [LIJ] Formazione del plurale in ventimigliese e genovese

Intervento di ippogrifo »

u merlu rucà ha scritto:Sing. masch. con sillaba tonica terminante in –n (-àn, .én, -òn, -ùn,-ün); plur. sostituendo alla –n una –i atona: can/cai; frén (freno)/frei; tròn (tuono)/troi; balùn (pallone)/balui; śaśün (digiuno)/śaśüi.
Questi plurali si sono formati per anticipazione della –i dei plurali in –ni, -ri, -li nella sillaba precedente, sia in vent. sia in genovese dando origine a forme càin, patrùin. In genovese il ditt.-ai si è monottongato, come –ei , e nel ditt. –ùi l’accento è passato sulla –i. In vent. invece i dittonghi si sono mantenuti provocando però la caduta della –n. In genovese abbiamo, quindi: can/cæn; fren/fren; balùn/baluìn; ; śaśün (digiuno)/śaśüìn.

Sing. masch. e femm. in –ìn; plur. invariato: murìn (mulino)/murìn; fin/fin
Lo stesso in genovese.

Sing. femm. in –ùn, - ün, plur. Invariato: pasciùn (passion)/pasciùn; cumün (Comune)/cumün.
In genovese anche nel femm. vi è anticipazione della –i: cansùn (canzone)/cansuìn.
Nel vent. è assente ma è presente in altri dialetti occ.: cansùn/cansùi (Bordighera).

û equivale ad una ü lunga
æ equivale ad una e aperta e lunga
ś equivale a –s- sonora
Leggendo, mi sono reso conto di un tratto caratteristico del genovese che non sembra risultare molto evidente:

1) i sostantivi in “-un”/ [-‘uη] - come correttamente scritto - fanno in genovese il plurale in “-uin” / [-‘wiη] - ad es., “balun/baluin” - [ba’luη]/[ba’lwiη] = pallone/-i - ;

2) ma quelli in “ün”/[-‘yη] - come, ad es., zazün / [za’zyη] = digiuno/-i - NO.

Provo a illustrarlo nel modo meno complicato possibile facendo ricorso all’analogia. “Bignamizzando” : l’[y] non è altro che un’, sia pure “labializzata” e - in quanto tale - “va bene” per denotare il plurale così com’è. E non è seguita da alcuna .
L’analogia che intendo segnalare si verifica tra la classe dei sostantivi del tipo di mű(ŕ) / [’my:(ŕ)] = mulo/-i - oggi, mű [‘my:] senza più [ŕ] e invariabile - e quella cui appartiene zazün / [za’zyη] = digiuno/-i.
Al plurale non compare nessuna “i”. In nessuna delle due classi di vocaboli.
Come sopra evidenziato, mű(ŕ) / [’my:(ŕ)] è oggi semplicemente mű / [’my:].
Senz’ “ŕ” e, comunque, senz’alcuna “i” al plur. - sostantivo invariabile - .
Identicamente per i sostantivi in [-‘yη]. Invariabili anch’essi.
Si realizza, cioè, un’analogia “fonetica” tra le due classi dei sostantivi che terminano in [‘y] - rispettivamente in [-‘y:ŕ] o in [-‘yη] - .
Se aiuta, ci si potrebbe anche rappresentare zazün / [za’zyη] come [za’zỹ] - un “tentativo” di connotare mediante l’accento circonflesso la nasalizzazione di “y” in contrasto coll’attuale terminazione in sola vocale lunga [‘y:] - v., ad es., mű e cű - dei sostantivi della classe che ebbe - anticamente - l’esito [-‘y:ŕ] .
Se - invece - si pensa a una potenziale analogia coi sostantivi in “-un”/[-‘uη] si sbaglia.
Infatti, l’ “-u” o “-‘un”/ [-‘uη] NON può rappresentare un plurale e, in questo caso, si avrà “-uin / [-‘wiη] - balun/baluin - [ba’luη]/[ba’lwiη] = pallone/-i, cansun, cansuin = canzone/-i et c. - .
Mentre “ű”/[‘y:], come anche “ê”/[‘e:] - camê = cameriere/-i - e “ő”/[‘ø:] - figiő = bambino/-i - sono accettati per rappresentare sing. e plur. in sostantivi maschili invariabili.
Non siamo lontanissimi - anche se con un modello evolutivo ben diverso - dall’esito dell’italiano attuale che ha sostantivi quali “virtù” et c. invariabili al plurale.
Solo che in genovese l’invariabilità rispetto al numero è patrimonio dell’”y”, ma non di “u”.
E, nel caso del vocabolo corrispondente a “virtù”, si ha “virtü”/[vir’ty] - invariabile - .

Ma, allora, il plurale in “üin”/[-‘yiη] - in questo caso [y] è approssimante - non esiste proprio?
Al contrario, esiste :wink: !

E’ il plurale dei sostantivi in “-jun”/ [-‘juη] quale stasiun = stazione et c. che - al plurale - hanno solamente [sta’syiη]. Nonostante grafie del tipo di “stasioin” o “stasiuin” “tentino” di “mascherare” l’effettivo fenomeno fonetico.
E nonostante il fatto che i “cultori” - che, a differenza dei locutori genuini, si basano sulle grafie per mancanza di conoscenza diretta - si sforzino di pronunciare [sta’sjwiη] o qualcosa di simile. Pronuncia inesistente in vero genovese in cui i tratti di [j] e [w] successivo si sono “fusi” in [y] approssimante. Da qui [sta’syiη] per stazioni e similmente in tutti i vocaboli appartenenti alla stessa “classe fonetica”.
Il plurale di u liun/ [‘ljuη] - monosillabo - = il leone è i lüin/[‘lyin] - anch’esso monosillabo perché qui “y” è approssimante - = i leoni.
Non [’ljwiη] o qualcosa di simile - impronunciabile per un vero genovese - come, invece, le grafie - “pigre e infedeli” - “si ostinano” a rappresentare mediante “lioin” o “liuin”!
E’ solo “lüin” nel parlato genuino (gli “hobbisti” - ovviamente - possono parlare come preferiscono :wink: !) !
Ma - al plurale - solo “zazün” / [za’zyη] - esattamente come al singolare e come nel caso dei vocaboli invariabili mű o virtü citati in precedenza - nell’accezione di “digiuni”!

P.S. :
i vecchi che parlavano il linguaggio più popolare distinguevano benissimo - scherzandoci sopra - tra “sinquanta muin [‘mwiη]” = 50 mattoni (in realtà, anche mulini!) e “50 müin[‘myiη]” = 50 milioni (di lire). :wink: Infatti, “mun/[’muη]” = mattone fa - regolarmente - al plurale “muin/[‘mwiη]” che coincide esattamente con “muin/[‘mwiη]” - invariabile - = mulino/-i. Oggi, però, si dice solo “miliun/milüin/[mi’ljuη/mi’lyiη]”. Il vocabolo “miun/müin”/[’mjuη/’myiη]” appartenente al registro meno italianizzato è - ormai - uscito definitivamente di scena.

Infine, si può osservare che il sostantivo u cumün /[ku’myη] = il comune, collegato a usi “amministrativi”, è - oggi - scalzato dall’italianismo u cumüne/[ku’my:ne] e si ha anche il relativo plurale i cumüni/[ku’my:ni] modellato sull’italiano.
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