[LIJ] «Pitelli» (etimologia e pronuncia)

Spazio di discussione su questioni di dialettologia italiana e italoromanza

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Animo Grato
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Re: [LIJ] RE: PITELLI

Intervento di Animo Grato »

ippogrifo ha scritto:Faccio, inoltre, presente l’illogicità del binomio rappresentato dalle denominazioni ufficiali di “Albissola marina” e “Albisola superiore”, anche se sono state ratificate mediante decreto. Lasciamo pure andare l’etimo e la pronuncia locale - ovviamente, identica nei due casi!
È una questione che m'ha sempre incuriosito. La spiegazione che me ne sono dato parte proprio dalla pronuncia, che è con s sorda in entrambi i casi (per la grafia con la geminazione questo era ovvio). Ora, se questo conserva un tratto già presente nella pronuncia del toponimo dialettale (Arbisöa - resa grafica copiata da Wikipedia, non sia troppo severo! :wink: ), è però in contrasto con la tendenza dell'italiano locale, che predilige una s intervocalica indiscriminatamente sonora. Da qui, secondo il mio ragionamento, la scelta unilaterale (nel senso di "fatta su una sola sponda del Sansobbia") di raddoppiare la s per "non indurre in tentazione" i forestieri. Che infatti, se settentrionali e totalmente ignari, non di rado di fronte alla grafia colla scempia (quella adottata sull'altra sponda) pronunciano "Albìsola", ritraendo l'accento e sonorizzando la s, come se fosse una "bianca isola". Entrambe le opzioni (geminata vs scempia con rischio di sonorizzazione) rappresentano una forzatura (potenziale, nel secondo caso), ma probabilmente ad Albissola Marina si è pensato che una geminata fosse più accettabile di una sonora. E comunque anche loro, in genere, pronunciano Albisola, con s scempia e sorda. Preciso "in genere" perché non è mai detto che qualcuno, sedotto dalla grafia, non sia così scrupoloso da pronunciarle entrambe.
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ippogrifo
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[LIJ] ALBISSOLA

Intervento di ippogrifo »

Gent.mo Animo Grato,
ho molto apprezzato il suo intervento - scritto, tra l’altro, molto bene - per due aspetti fondamentali:

1) non fa ricorso a riferimenti eruditi e libreschi sulle etimologie, anche perché non occorrono;


2) perché, sostanzialmente, lei è già arrivato da sé alla soluzione del caso.

Mi spiego.

A) Ovviamente, la forma locale riflette “fedelmente” e in modo attendibile l’origine del toponimo. Chiaramente in base alle “regole” del sottosistema linguistico locale, non in base a quelle dell’italiano “ufficiale” o all’italiano dei decreti. Che sono venuti dopo.

B) Il toponimo è - logicamente - uno solo, lo stesso. E, anche se si è totalmente liberi di utilizzarlo pure al plurale, ciò non implica assolutamente che si tratti di due nomi diversi.
Si tratterà - semplicemente - del plurale di una stessa voce.

Bene. Procediamo proprio come ha fatto lei. Il nome locale è Arbisőa. Quello desunto da Wikipedia va, in realtà, benissimo e io ho solo inteso indicare la pronuncia lunga di ö tonica in sillaba aperta. Per mera “pedanteria” !. Ai nostri fini è del tutto inessenziale. Il nome è sempre stato inteso come femminile e - occorre essere chiari! - “tutt’attaccato”. Infatti, non è ipotizzabile Arbi sőa perché Arbi confliggerebbe colla “Gestalt” dei vocaboli femminili.
Dunque, Arbisőa. Benissimo! Sappiamo, inoltre, che la pronuncia dell’ s non è sonora. E qui sta la “semplice” chiave di soluzione del busillis. Se l’s di Arbisőa derivasse da parola con -s- originaria (come - molto acutamente - lei stesso fa osservare) si avrebbe ora Arbizőa. Mi avvalgo della grafia tradizionale che rende con “z” l’s sonora. Ma così non è. E perché, quindi, l’s è rimasta non sonora? Semplicemente perché la struttura del sistema linguistico locale prevede che le doppie originarie “protoniche” - che si trovano, cioè, immediatamente prima dell’accento - vengano pronunciate semplici. Pur mantenendo la loro sonorità o assenza di sonorità esattamente come nella voce originaria.Tutto qui! :wink: Solo le doppie originarie postoniche vengono pronunciate come tali. Abbiamo concluso. Non occorre nemmeno conoscere precisamente l’etimologia, il latino, il turco, avvalersi di consulenti, compulsare trattati, scervellarsi. Questi rischiano di essere gli alibi di chi non ha le idee chiare sulla struttura - per altro, banale - del sistema linguistico locale.

Concludo con un esempio banale che qualsiasi vecchio di Albissola o di altre località potrà - a richiesta - tranquillamente e pienamente confermare: in gattu = un gatto, in gatin = un gattino e non “in gadin”. L’originaria geminazione - ancora ben avvertibile in postonia (gattu) - ha impedito la sonorizzazione anche quando l’accento cade sull’i (gatin) e - di conseguenza - la consonante si pronuncia - ormai - semplice. Non c’è altro . . .

Ciò implica solo che la degeminazione in protonia (gatin) è avvenuta abbastanza tardi, quando l'effetto della sonorizzazione non era più attivo. Mentre la geminazione postonica (gattu) riesce a manifestarsi tranquillamente anche ai nostri giorni . . .

Le parole "parlano" - è un'ovvietà - , ma occorre saperle ascoltare . . . :wink:

Cordialità
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u merlu rucà
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Intervento di u merlu rucà »

ippogrifo ha scritto:
S’è già scritto che il fonema ö - “o turbato”- alla Spezia non esiste proprio. E nemmeno a Pitelli. Ammiccante / Wink Infatti - per citare solo alcuni esempi esplicativi - la Spezia risponde con “èvo”, “fègo”, “nèvo, “rèza”, “i pè” e “i vè” alle forme genovesi ”ővu” = uovo, “főgu” = fuoco, “nővu” = nuovo, “rőza” = rosa, “u pő”(masch.) = può e “u vő” (masch.) = vuole et c. . La Spezia mantiene, però, l’ü -“u turbato”- e “mezűa” = misura vale, ad es., tanto per Genova quanto per la Spezia - prescindendo dalla quantità vocalica che richiederebbe “mezűa” per Genova e “mezüa” per la Spezia -.
Non esiste ora ma, probabilmente, esisteva in passato. Anche a Pigna e nella frazione Buggio (Liguria occ.) c'è lo stesso passaggio ö > e (a cui si aggiunge ü > i).
Largu de farina e strentu de brenu.
ippogrifo
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[LIJ] DA PITELLI AL CONFINE OCCIDENTALE

Intervento di ippogrifo »

Probabilmente . . .

Il Devoto, però, fu di diverso avviso. Scrisse di “refrattarietà , non rifiuto pregiudiziale, ma inquadramento (1) nelle serie di “e” e “i”. Cioè incapacità involontaria di accogliere il tipo genovese.” Cose analoghe anche per la Spezia, anche se, in un intervento precedente, è stato chiarito che ü - ma non ö - arriva fino alla Spezia inclusa. Ma non riesce a procedere oltre. L’autore citato non chiarisce ulteriormente, ma si può pensare che avesse in mente “ipotesi di sostrato”. Non sostrati “mitici” come quelli di alcune teorie non condivisibili. Ma, più semplicemente, il sostrato considerato come la precedente situazione storica - non “mitica” - di territori che non possedevano determinati fonemi e li hanno successivamente accolti in seguito alla propagazione di un modello linguistico più prestigioso. Una specie di teoria “eliocentrica” che considera Genova il centro propulsivo innovatore dal quale promanano le innovazioni linguistiche - tra cui ö e ü - le quali si propagano lungo il territorio. Come se, ad es., la Spezia avesse precedentemente avuto condizioni molto simili a quelle delle varietà linguistiche della Lunigiana (2) e Pigna o, ad es., Briga/la Brigue (3) - in val Roia, all’estremo occidentale del dominio linguistico ligure - provenissero da una struttura linguistica precedente priva dei fonemi in questione. Pigna, ad es., ha “cève” = piove (proprio come alla Spezia) e “frita” = frutta, che si oppongono ai “tipi” liguri “normali”: “ciőve” e “frűta”. Mentre Briga conosce ö, ma ö non vi si trova presente in tutte le occorrenze in cui si può - invece - riscontrare nei dialetti liguri meno “eccentrici”. Infatti, ad es., Briga “risponde” con “roa” = ruota, “foŕa” = fuori, “noŕa” = nuora e “soŕa” = suola et c. ai “tipi” panliguri “rőa”, “fő(ŕ)a”(4), “nő(ŕ)a”, “ső(ŕ)a” et c. . . . Tutte forme con ŏ originaria in sillaba aperta (5).

Si tratta di una teoria ancora accettabile “in toto” alla luce dei più recenti sviluppi delle scienze linguistiche? Qualcosa di vero potrebbe pur esserci.

Per altro, ammesso che la questione possa mai interessare a qualcun altro oltre a noi che scriviamo - del che dubito :wink: -, non credo si potrà mai giungere a ottenere una prova provata. Di queste parlate “marginali” - geograficamente - non esistono, tipicamente, documentazioni antiche. Ma, se anche esistessero, potremmo essere davvero certi dell’attendibilità delle grafie riportate?


(1) a Pigna, ad es., in luogo di “ö” e “ü” - nota dello scrivente - ;

(2) Praticamente tutte le parlate del “mosaico” lunigianese - anche quelle che si trovano all’interno dei confini amministrativi della Liguria - non conoscono né ö né ü. Fanno eccezione i territori di solo 4 comuni: Pontremoli, Filattiera, Mulazzo e Zeri, situati a Nord, al confine coll’Emilia. E, per quanto riguarda Pontremoli, Filattiera e Mulazzo, nemmeno in tutta l’estensione dei rispettivi territori comunali;

(3) dal 1947 Francia;

(4) (ŕ) indica semplicemente che ŕ non è più pronunciata - ŕ = 0 - nelle varietà liguri più “innovative” - ad es., nel genovese - ;

(5) lo stesso fonema originario - ŏ - fornisce, in sillaba tonica aperta, “uò” in italiano e “ő” nei dialetti liguri. Si può generalizzare e schematizzare il fenomeno dell’evoluzione linguistica semplificando un po’ i processi e il contesto coinvolti e scrivere che una stessa forma originaria - “nŏra(m)” - inserita in ingresso (“input”) a diversi sistemi linguistici produce “esiti” differenti: nuora, “noŕa”, “nő(ŕ)a”(4)
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u merlu rucà
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Intervento di u merlu rucà »

ippogrifo ha scritto:Probabilmente . . .

Il Devoto, però, fu di diverso avviso. Scrisse di “refrattarietà , non rifiuto pregiudiziale, ma inquadramento (1) nelle serie di “e” e “i”. Cioè incapacità involontaria di accogliere il tipo genovese.” Cose analoghe anche per la Spezia, anche se, in un intervento precedente, è stato chiarito che ü - ma non ö - arriva fino alla Spezia inclusa.
Nel ponente ligure sarebbero refrattari solo Pigna e Buggio...mi sembra abbastanza difficile.
Largu de farina e strentu de brenu.
ippogrifo
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REFRATTARIETA'

Intervento di ippogrifo »

Che dirle? A levante esiste effettivamente un ampio territorio contiguo privo di ö e ü (Lunigiana) e ipotizzare un "sostrato" originario simile anche per il territorio dello spezzino potrebbe pure essere ritenuto accettabile. Relativamente al ponente, non conosco così bene l'evoluzione linguistica delle varietà provenzali contigue da riuscire a formarmi un'opinione che possa convincermi. Rimane, per altro, il problema che, se non s'accetta l'idea di una "propagazione" che non sia riuscita ad attecchire e abbia manifestato, di conseguenza, esiti "imperfetti" o "meticciati", non è che si siano fatti molti passi avanti. Mi spiego: rimarrebbe, allora, da spiegare perché solo in questi 2 "punti" e non altrove sia avvenuta la transizione da ö e ü a "e" e "i" e si ricadrebbe in una spiegazione "ad hoc". Che - sostanzialmente - non spiega e non può avere valore scientifico. Perché, allora, ö e ü in tutti gli altri "punti" sono rimasti? E non si saprebbe come giustificarlo . . . Credo che il Devoto abbia proposto la sua ipotesi anche per non dover incorrere in questo tipo di contraddizioni, attribuendo l' "eccezioni" - dato che si riscontrano in contesti "di confine" - a "interferenze" - termine mio che, in realtà, il Devoto non usa - con sistemi linguistici diversi e di più ampia estensione originaria. Il fatto, poi, che oggigiorno possano sussistere soltanto punti isolati di un antico dominio continuo di "resistenza" all'innovazione - successivamente quasi totalmente "sommerso" - rappresenta tutt'altro che un "unicum" nel vasto panorama dei fenomeni di evoluzione linguistica.
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