«Ci»

Spazio di discussione su questioni di carattere sintattico

Moderatore: Cruscanti

PersOnLine
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Intervento di PersOnLine »

Probabilmente abbiamo un concetto diverso di ipercorrettismo.
Ivan92
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Intervento di Ivan92 »

Per ipercorrettismo intendo la sostituzione di una forma corretta creduta errata con una forma scorretta creduta giusta. Esemplifico, a proposito del ci/ce, citando anche quel che disse il nostro Marco: "È probabile che molti parlanti rifuggano dal ‘ci/ce’ perché lo riconducono agli usi familiari di «ci ho una fame» e simili". Capita che molti parlanti, peccando d'ipercorrettismo, facciano volentieri a meno del ci/ce quando invece risulta essere necessario. Però, nel caso di Sí, l'ho, non penso si possa parlare d'ipercorrettismo, giacché la forma col solo verbo avere (preceduto dal clitico accusativo) veniva usata dai nostri autori piú incliti. Sí, l'ho non ha dunque i connotati d'una forma errata creduta giusta, dal momento che Dante stesso ne faceva uso. È solamente, secondo il mio punto di vista, una forma troppo antiquata per non ingenerare incomprensione tra i parlanti. Di qui la necessità, nel parlato, d'usare soltanto la forma Sí, ce l'ho, nonostante essa non sia il massimo della formalità.
PersOnLine
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Iscritto in data: sab, 06 set 2008 15:30

Intervento di PersOnLine »

Purtroppo, per me, nella definizione tecnica di ipercorrettismo ha ragione lei; per me la definizione dovrebbe fermarsi un po' prima, per avere un senso che non sia solo prescrittivo/proscrittivo, ma descrittivo: sostituzione di una forma (oggettivamente) corretta con una ritenuta (soggettivamente) più corretta, ma non per forza sbagliata.
In questo caso, si ha la sostituzione d'una forma perfettamente legittima (Sì, ce l'ho) con una ritenuta più corretta (Sì, l'ho), ma senza alcun fondamento logico/linguistico (ma anzi lievemente marcata per desuetudine sotto l'aspetto diacronico).
Ivan92
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Intervento di Ivan92 »

Be', il fondamento logico/linguistico è da rintracciare nel fatto stesso che autori illustri abbiano fatto uso di questo costrutto. Le ragioni vi sono. D'altro canto, è altrettanto vero che la maggior parte di coloro che dicono Sí, l'ho non sono coscienti del fatto che venisse usato in passato e che abbia — proprio per questo — una sua ragion d'essere. Allora sí che in questo caso possiamo parlare d'assenza di fondamenti, proprio perché i parlanti operano una scelta sulla base di quello che è il loro pensiero (soggettivo) senza tener conto delle ragioni storico-culturali che fanno sí che il costrutto Sí, l'ho abbia (avuto) il suo perché.
Avatara utente
Zabob
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Intervento di Zabob »

Se però abbiamo il pronome ne (in particolare nella forma non elisa) in luogo del pronome l', mi sembra che il ce si possa tranquillamente omettere senza avvertire uno spostamento del registro su un piano aulico/antiquato/formale, e tanto meno senza suscitare ilarità.
Cito con leggere modifiche un esempio di Serianni proposto in quest'altro filone (ma preferisco intervenire qui perché più produttivo e più "fresco" di contributi):
  • «Hai i biglietti?» – «Sì, ce li ho.»/«No, non ce li ho.»
    ma:
  • «Hai dei biglietti?» – «Sì, ce n'ho due, uno per te e uno per me.»/«No, non ce n'ho.»
    oppure:
  • «Hai dei biglietti?» – «Sì, ne ho due, uno per te e uno per me.»/«No, non ne ho.»
Mi pare inoltre che la scelta di aggiungere questo "ci" nel parlato sia anche in relazione con ciò che segue il verbo "avere": facilmente si ode dire «ci ho freddo», «ci ho un crampo allo stomaco», «non ci ho tempo», «non ci ho una lira»; molto meno di frequente «ci ho bisogno di riflettere» o «non ci ho niente da dirti».
Oggi com'oggi non si sente dire dieci parole, cinque delle quali non sieno o d'oltremonte o nuove, dando un calcio alle proprie e native. (Fanfani-Arlìa, 1877)
Ivan92
Interventi: 1416
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Intervento di Ivan92 »

Be', penso che il fenomeno vari da regione a regione. Qui, nella provincia d'Ancona, si sente spesso dire ci ho bisogno di riflettere o non ci ho niente da dire. A ogni modo, trovo che sia l'elisione del pronome clitico a ingenerare incomprensione. Se scrivessimo o pronunciassimo invece la forma per esteso, il rischio di fraintendere o d'essere fraintesi diminuirebbe. "Hai i biglietti?" - "Sí, li ho" non suona male e non s'avverte l'impellente necessità d'inserire un ci attualizzante che preceda il clitico accusativo.
Avatara utente
Zabob
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Iscritto in data: sab, 28 lug 2012 19:22

Intervento di Zabob »

Ivan92 ha scritto:A ogni modo, trovo che sia l'elisione del pronome clitico a ingenerare incomprensione. (..) "Hai i biglietti?" - "Sí, li ho" non suona male e non s'avverte l'impellente necessità d'inserire un ci attualizzante che preceda il clitico accusativo.
Penso che abbia colto nel segno. Sentir dire (scrivo come si pronuncia) «si(l)lò» o «si(n)nò» fa un po' strano e rende "obbligatorio" (Serianni dixit) l'aggiunta di questo 'ce', che io sento come se sostituisse un "qui con me".
Ad ogni modo, se il mio interlocutore mi si rivolgesse con un «Ci hai i biglietti?» anch'io non risponderei con un semplice «Sì, li ho» ma piuttosto con «Sì, ce li ho» o meglio ancora: «Sì che ce li ho».
Oggi com'oggi non si sente dire dieci parole, cinque delle quali non sieno o d'oltremonte o nuove, dando un calcio alle proprie e native. (Fanfani-Arlìa, 1877)
Ivan92
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Intervento di Ivan92 »

Zabob ha scritto: Ad ogni modo, se il mio interlocutore mi si rivolgesse con un «Ci hai i biglietti?» anch'io non risponderei con un semplice «Sì, li ho» ma piuttosto con «Sì, ce li ho» o meglio ancora: «Sì che ce li ho».
Certo, anche io risponderei nello stesso identico modo, per il semplice fatto che il nostro interlocutore sta usando un registro di lingua poco sorvegliato o informale. Sí, li ho è formale e non condecente a un contesto amichevole.
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