La costruzione canonica è "valere la pena fare", ma mi sembra che ormai sia ampiamente prevalente "valere la pena di fare", evidentemente perché pena è considerato soggetto (anche se non ha molto senso).
Fra l'altro, mi è capitato di sentire un "è valsa la pena fare": il femminile del participio mi pare dimostrazione di quanto facilmente pena venga considerato soggetto (da concordare) anche da chi usa ancora la forma canonica.
Voi che dite? Quale dei due usate?
Valere la pena
Moderatore: Cruscanti
Veramente, la forma «canonica», se con questo termine s’intende quella della tradizione letteraria, è proprio con la preposizione di, anche presso scrittori novecenteschi:
Per quanto riguarda la concordanza nei tempi composti, mi pare accettabile accordare sia con pena sia con l’impersonale (e[gli], non espresso). Ma qui urgono altri pareri.
Naturalmente valere la pena regge anche il complemento senza preposizione, specie nel parlato. Ma anche un dizionario dell’uso come il GRADIT riporta esempi con di:...era cosa di cui non valeva la pena di parlare. (Svevo)
...di vivere in un mondo dove vale la pena di starci. (Baldini)
Ci sono, invero, molte oscillazioni nell’uso o omissione della preposizione di.valeva proprio la pena di visitare quella città, non vale la pena di prendersela tanto...
Per quanto riguarda la concordanza nei tempi composti, mi pare accettabile accordare sia con pena sia con l’impersonale (e[gli], non espresso). Ma qui urgono altri pareri.
Ah, che cantonata ho preso. Mi sembrava di averlo letto qualche tempo fa in un vocabolario. Meglio cosí: senza quel di mi suona innaturale. Un errore in meno da correggere.Marco1971 ha scritto:Veramente, la forma «canonica», se con questo termine s’intende quella della tradizione letteraria, è proprio con la preposizione di, anche presso scrittori novecenteschi
In effetti, Serianni ne parla nel paragrafo sulle proposizioni soggettive (XIV.68), e dice "possibile con o senza di".
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