Quali pronunce errate non riuscite a correggere?
Moderatore: Cruscanti
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Come ho scritto altrove, ho imparato (da solo) a pronunciare la 'erre' a 31 anni suonati. Mi riesce tuttora più facile pronunciare la /r/ se in posizione iniziale o seguita da una consonante, meno se in sede intervocalica. Ho meno difficoltà se parlo a voce alta. Tuttora rappresentano per me uno scoglio "per irrorare" o la sequenza /-lr-/ (es. il, col, del ecc. seguiti da parole che iniziano per 'r').
Ultima modifica di Zabob in data mer, 19 nov 2014 1:03, modificato 1 volta in totale.
Oggi com'oggi non si sente dire dieci parole, cinque delle quali non sieno o d'oltremonte o nuove, dando un calcio alle proprie e native. (Fanfani-Arlìa, 1877)
- Animo Grato
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Anch'io ho imparato da solo, ma verso i due anni: si vede che ero un bambino prodigio!Zabob ha scritto:Come ho scritto altrove, ho imparato (da solo) a pronunciare la 'erre' a 31 anni suonati.

La mia pronuncia presenta i tratti caratteristici dell'italiano settentrionale, con -s- intervocalica sonora anche nei casi in cui dovrebbe essere sorda (ma con qualche eccezione, specialmente quando è facilmente individuabile un prefisso: risolvere e risorsa, ad esempio, li dico bene) e un raddoppiamento fonosintattico piuttosto tenue.
Al catalogo degli errori si aggiunge un profluvio di "e" indiscriminatamente strette, tipiche della mia zona: sempre, bene, sedia, presidente... per me sono tutte -é-. In compenso (magra consolazione), sette lo dico bene (e infatti ricordo che trasalii quando udii "sétte" da un parmigiano; e purtroppo immagino che lo stesso orrore lo suscitino in un toscano i miei niente, piede...).

Ho provato a correggermi, ma a) stare attento alla pronuncia mentre parlo mi distrae da ciò che devo dire e b) quando allargo artificiosamente le "e" che mi verrebbero naturali strette, nello "sforzo" esagero, e il risultato sembra la caricatura del milanese alle prese con sacchèèèèètto. Quindi, tra i due mali, mi sono rassegnato al minore.
Ultima modifica di Animo Grato in data mar, 18 nov 2014 18:32, modificato 1 volta in totale.
«Ed elli avea del cool fatto trombetta». Anonimo del Trecento su Miles Davis
«E non piegherò certo il mio italiano a mere (e francamente discutibili) convenienze sociali». Infarinato
«Prima l'italiano!»
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«Prima l'italiano!»
Vorrà dire che sono tutte -é-, se le pronuncia strétte.Animo Grato ha scritto:Al catalogo degli errori si aggiunge un profluvio di "e" indiscriminatamente strette, tipiche della mia zona: sempre, bene, sedia, presidente... per me sono tutte -è-.
Non ho capito: per lei il male minore fra una e un po' più larga quando ci vuole e una stretta quando non ci vuole è il secondo?
Oggi com'oggi non si sente dire dieci parole, cinque delle quali non sieno o d'oltremonte o nuove, dando un calcio alle proprie e native. (Fanfani-Arlìa, 1877)
- Animo Grato
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Certo, ha ragione: ora ho corretto.Zabob ha scritto:Vorrà dire che sono tutte -é-, se le pronuncia strétte.
Non ho capito: per lei il male minore fra una e un po' più larga quando ci vuole e una stretta quando non ci vuole è il secondo?

Comunque, è stato un errore provvidenziale perché Le farà capire perché mi sono arreso alle mie "ristrettezze": come ho sbagliato a scrivere (tutto intento com'ero a pensare "io lo direi così, però è giusto cosà, allora lo scrivo come penso che lo direi se fosse giusto dirlo sbagliato..." --> fumo dalle orecchie), così mi capita di ingolfarmi anche quando parlo, e alla fine di questo travaglio emetto una -è- che non è solo "un po' più larga": è proprio sguaiata. Mi creda, passa molto più inosservata la mia -é- naturale!

P.S. Forse non ero stato io a sbagliare, perché ora ho visto che il correttore automatico tende a modificare in grave l'accento sulle "e" isolate. In ogni caso, il travaglio che ho descritto, e le sue conseguenze, sono reali.
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- u merlu rucà
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Be', diciamo che, se la parola è d'uso comune, non vi sarà alcun problema per il parlante (magari ci si ricorda di quel che s'è imparato a scuola). Ma, per esempio, un termine come scansare verrà scritto colla z da un parlante che non abbia una buona conoscenza della lingua. E questo perché la s viene pronunciata come una vera e propria affricata (dunque non indebolita. Ma si sa, molto dipende dalla zona, ché le Marche hanno miriadi di dialetti.)valerio_vanni ha scritto:Una persona che conosco (delle Marche) ha a volte dubbi su quale lettera scrivere, tra "s" e "z". Ho capito che il problema sorge solo tra "n" e "i": "senso" non darebbe dubbi, ma "tensione" e "dimensione" sì.
La mia proposta è stata "prova a dirla, e senti cosa ci metti" ma non ha aiutato perché la realizzazione fonetica è coerente col dubbio di scrittura (una sorta di affricata indebolita).
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Probabilmente l'indebolita è un tentativo di correzione, che però rimane a metà strada.Ivan92 ha scritto:Ma, per esempio, un termine come scansare verrà scritto colla z da un parlante che non abbia una buona conoscenza della lingua. E questo perché la s viene pronunciata come una vera e propria affricata (dunque non indebolita. Ma si sa, molto dipende dalla zona, ché le Marche hanno miriadi di dialetti.)
Sicuramente. Soltanto una precisazione: chi tenta di correggere la pronuncia è consapevole d'essere in errore (e grazie al cavolo, dirà Leivalerio_vanni ha scritto:Probabilmente l'indebolita è un tentativo di correzione, che però rimane a metà strada.

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Io, al contrario, riesco a pronunciarli come voi toscaniCarnby ha scritto:Il problema maggiore che incontro è evitare la deaffricazione in socio, ragione (ma per la sonora ho qualche difficoltà in meno).

Quando imitano la pronuncia romana, i calabresi in genere lo pronunciano come se fosse scritto froscio! Forse esiste come variante, ma il fatto è che per un calabrese ci può essere solo /ʃʃ/ in posizione intervocalica

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Evidentemente in quella zona la deaffricazione di "c" non è presente.fiorentino90 ha scritto:Quando imitano la pronuncia romana, i calabresi in genere lo pronunciano come se fosse scritto froscio! Forse esiste come variante, ma il fatto è che per un calabrese ci può essere solo /ʃʃ/ in posizione intervocalica
A livello fonematico, in Italia centrale, quel [ʃ] vale (ed è sentito come) /tʃ/. Ma il fonema /ʃ/ rimane auto-geminante come giù da voi [ʃʃ].
Nell'imitazione, a volte, si va ad applicare due trasformazioni in serie: la prima, quella della parlata imitata, che però non si capisce fino in fondo dato che non ci appartiene; la seconda, quella spontanea della propria parlata.
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Tèmo d'aver generalizzato un po' troppo. In alcune zone della Sicilia (quasi sicuramente a Catania) s'ha la deaffricazione di /ʧ/ in posizione intervocalica. E, ora che ci penso, forse anche nell'italiano regionale calabrese parlato nella città (ma non nella provincia) di Règgio Calabria.valerio_vanni ha scritto:Evidentemente in quella zona la deaffricazione di "c" non è presente.fiorentino90 ha scritto:Quando imitano la pronuncia romana, i calabresi in genere lo pronunciano come se fosse scritto froscio! Forse esiste come variante, ma il fatto è che per un calabrese ci può essere solo /ʃʃ/ in posizione intervocalica
A livello fonematico, in Italia centrale, quel [ʃ] vale (ed è sentito come) /tʃ/. Ma il fonema /ʃ/ rimane auto-geminante come giù da voi [ʃʃ].
In alcuni dialetti dell'Alta Italia c'è nativamente /s/ in cosa e così (scritti nelle ortografie regionali cossa, cussì ecc.).u merlu rucà ha scritto:Curiosamente io non ho nessun problema a usare la s sorda intervocalica parlando spagnolo, mentre non riesco a farlo parlando italiano...
- Ferdinand Bardamu
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Confermo. Dalle mie parti però non si dice cussí, bensí cosita, una curiosa duplicazione sinonimica col latino ita (se non ricordo male).Carnby ha scritto:In alcuni dialetti dell'Alta Italia c'è nativamente /s/ in cosa e così (scritti nelle ortografie regionali cossa, cussì ecc.).
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