«Appropriarsi... di»?

Spazio di discussione su questioni di carattere sintattico

Moderatore: Cruscanti

Avatara utente
Infarinato
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Intervento di Infarinato »

domna charola ha scritto:Questo secondo me è un argomento - interessantisismo - di discussione a sé stante; forse varrebbe la pena estrarlo e svilupparlo.
In realtà, la questione della «norma [linguistica]» è stata ampiamente dibattuta in questa piazza: basta fare una rapida ricerca. Qui mi limito a rimandare a questo filone (e ai rimandi ivi contenuti).
Avatara utente
u merlu rucà
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Intervento di u merlu rucà »

domna charola ha scritto:[M]i sono sempre chiesta anch'io: dov'è il limite tra naturale evoluzione e sciatteria linguistica? Fino a che punto far fede sugli autori di tre secoli prima, quando persino i luminari moderni hanno calato le braghe?
Braghe? Attenzione domna, i toscani insorgeranno contro questa forma settentrionale... :wink:
Largu de farina e strentu de brenu.
domna charola
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Intervento di domna charola »

Non è colpa mia se i miei cromosomi Sudici sono solo un quarto del corredo: sicuramente prevalgono quelli veneziani e valsabbini, e l'impronta ligure... :roll:
domna charola
Interventi: 1624
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Intervento di domna charola »

Infarinato ha scritto:
domna charola ha scritto:Questo secondo me è un argomento - interessantisismo - di discussione a sé stante; forse varrebbe la pena estrarlo e svilupparlo.
In realtà, la questione della «norma [linguistica]» è stata ampiamente dibattuta in questa piazza: basta fare una rapida ricerca. Qui mi limito a rimandare a questo filone (e ai rimandi ivi contenuti).
Ricrodavo qualcosa del genere ma non riuscivo a trovarlo. Grazie per averci reindirizzato tutti nelll'apposita sezione.
Teo
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Intervento di Teo »

Vedo comunque che nessuno di coloro che sono intervenuti ha realmente affrontato il problema più spinoso che ponevo, che - insisto - è di carattere sociolinguistico (ed anche normativo, nella misura in cui la norma dipende anche dalle convenzioni sociali; cfr. "Norma linguistica", in Enciclopedia dell'italiano).
Lo ripeto con alcune modifiche:
se è vero che nella coscienza comune il costrutto transitivo sarebbe addirittura considerato, nel migliore dei casi, arcaico, e, nel peggiore, erroneo, è opportuno che insegnante o un docente universitario continuino invece ad insegnare che tale costrutto è quello preferibile, pur sapendo che in tal modo i suoi studenti rischiano di venir ipercorretti al momento di affrontare esami e concorsi con commissioni composte non sempre da persone di competenze filologiche e glottologiche profonde? Ovviamente queste pseudocorrezioni potrebbero procurare conseguenze nefaste al candidato, impedendogli ad esempio di conseguire il 100/100 all'esame di maturità, di superare un concorso pubblico, ecc.
Come comportarsi in questi casi? È davvero opportuno continuare ad insegnare ciò che è tramandato da una certa tradizione, ma ormai non è più considerato come la forma "corretta" dalla maggioranza dei parlanti e anche degli utenti colti della lingua?
Ultima modifica di Teo in data ven, 21 ago 2015 9:10, modificato 1 volta in totale.
Teo Orlando
Avatara utente
Marco1971
Moderatore
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Intervento di Marco1971 »

Secondo me, caro Teo, lei si crea un falso problema, e mi ripeto anch’io: praticamente nessuno sa di questo costrutto corretto fra chi insegna, quindi nessuno può insegnare che sia preferibile. Se poi un candidato che usi una forma tradizionalmente considerata corretta viene penalizzato, siamo messi proprio male, e viene da chiedersi quale valore possa avere l’insegnamento dell’italiano in Italia.

Il costrutto è comunque lungi dall’essere arcaico e sussistono ancora persone che lo adoperano, anche nelle risposte a articoli apparsi negli ultimi anni sui grandi quotidiani. Non ho tempo per esemplificare in maniera abbondante, ma ho trovato questo esempio, attualissimo :

Questo tipo d’intervento potrebbe aiutare gli ustionati, i mutilati o le vittime di un tumore facciale, ma gli psichiatri sottolineano il lungo lavoro psicologico di chi cambia volto: «Bisogna superare lo choc della perdita di un’identità e appropriarsi il nuovo volto». (Corriere della Sera, 01.08.2015)

E, se non erro, sempre a proposito di appropriarsi transitivo, c’è un articolo da qualche parte di Ornella Castellani Pollidori.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Fausto Raso
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Intervento di Fausto Raso »

Faccio mio l'intervento di Marco.
«Nostra lingua, un giorno tanto in pregio, è ridotta ormai un bastardume» (Carlo Gozzi)
«Musa, tu che sei grande e potente, dall'alto della tua magniloquenza non ci indurre in marronate ma liberaci dalle parole errate»
Teo
Interventi: 165
Iscritto in data: dom, 16 apr 2006 9:47
Località: Roma

Intervento di Teo »

Gentile Marco1971 (e Fausto Raso), mi permetto di esprimere le mie perplessità riguardo al Suo intervento, perché mi sembra che stia in realtà eludendo il problema che io ponevo, in nome di una certa intransigenza normativa e di difesa della tradizione, che però in questo contesto non rappresentano l'autentico punto focale della questione. Io NON intendo affatto mettere in discussione che la forma transitiva sia quella tradizionalmente considerata corretta e neppure che esistano molte persone che adoperano il costrutto, sicché è ben lungi dall'essere veramente arcaico. Non voglio nemmeno sostenere che oggi la forma intransitiva, in quanto molto più diffusa, sia quella più corretta, da un punto di vista stricto sensu normativo. Insisto nel dire che le mie considerazioni sono squisitamente sociolinguistiche: io intendo semplicemente sostenere che per le ragioni esposte in precedenza la forma intransitiva è quella da preferire nella prassi corrente e che un insegnante che suggerisse di utilizzare il costrutto transitivo esporrebbe i suoi studenti ai rischi che ho citato.

Forse alcuni di voi, non operando nel mondo della scuola e abitando anche fuori dall'Italia, sottovalutano sia la preparazione media degli insegnanti (anche se lei, Marco1971, sembra esserne sconsolatamente consapevole), sia le conseguenze di eventuali ipercorrezioni. Considerate che quasi nessuno dei miei colleghi di italiano e latino conosceva il significato del verbo denunciare nel lessico diplomatico (dove denunciare un accordo, un trattato vuol dire dichiararli nulli, come calco sul francese dénoncer), e molti credevano che l'aggettivo foriero derivasse dal latino fero e volesse dire portatore, mentre deriva dal'antico francese fourrier e vuol dire "ciò che precede annunciando" (paraetimologie frequenti). E se considerate, come ho detto prima, che le commissioni dei concorsi a cattedra sono composte da insegnanti di scuola media e di ITIS, non SCELTI, ma sorteggiati in base alla mera anzianità, potrete trarne le conclusioni del caso.

Peraltro, in certi casi non si può rimanere intransigenti e coerenti come quando si scrive su questo forum. Ad esempio, si può benissimo, insegnando, raccomandare di sostituire computer con elaboratore o calcolatore, ma sarebbe poco opportuno suggerire di scrivere sporte, barre o filme al posto di sport, bar o film (al limite si può raccomandare pellicola al posto di film, ma i primi due termini ormai non sono neppure più percepiti come forestierismi), solo per essere coerenti con il sistema fonotattico italiano che non vorrebbe terminazioni in consonante. Ma come ci sono altre eccezioni (ad es. i nomi dei punti cardinali, est, ovest, nord, sud, o sostantivi come alcol, su cui si ricorda una memorabile disputa tra Migliorini e De Mauro), così nei casi pratici non si può non fare eccezione anche per questi sostantivi. Altrimenti si rischia soltanto di apparire ridicoli e di compromettere la "buona causa".
Ultima modifica di Teo in data ven, 21 ago 2015 14:09, modificato 1 volta in totale.
Teo Orlando
Avatara utente
Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Mi permetto d’intervenire anch’io, perché la questione mi sta a cuore. Per evitare d’apparire presuntuoso — non sono un insegnante e non ho l’autorevolezza per consigliare niente a nessuno —, assumo il punto di vista del discente: a prescindere dal livello medio di conoscenza della lingua, che nel nostro caso, purtroppo, non è alto, mi piacerebbe che il mio professore m’insegnasse a distinguere tra usi differenti; in questo caso, tra un costrutto piú raro ma tradizionale e un altro costrutto innovativo ma piú comune.

Certo, per il timore di rendere un cattivo servizio allo studente, si dovrebbe consigliare la forma piú nota, se non altro in contesti in cui si presume che l’interlocutore non abbia una grande conoscenza della lingua, oppure per una questione di «quieto vivere», per evitare cioè che, come ha sottolineato lei, in futuro il ragazzo o la ragazza venga (iper)corretto da una commissione esaminatrice poco competente. Tuttavia, il costrutto transitivo, non potendo dirsi ancora morto, dovrebbe essere noto allo studente. Scrittori e giornalisti che sanno tenere la penna in mano e hanno una conoscenza non superficiale della nostra tradizione se ne trovano ancora; di conseguenza, frasi come quella riportata sopra da Marco (tratta da un articolo recentissimo!) si possono incontrare ancora.

Credo che il problema che lei pone abbia talune affinità con alcune regole fantasma: per esempio, che le ragioni a sostegno della legittimità di «a me mi piace» sfuggano a molti non è un buon motivo per censurare questo costrutto ogni volta che uno studente l’usa in un tema.
Avatara utente
Animo Grato
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Intervento di Animo Grato »

Entro in punta di piedi in questo filone che ha già visto persone molto più preparate di me esprimere la propria opinione, corroborandola per giunta con una dovizia di argomenti che io manco mi sogno.
Ma se Teo insiste nel sottolineare il carattere eminentemente pratico del suo rovello ("un insegnante deve incoraggiare l'uso [più] corretto ma minoritario o quello più diffuso, largamente accettato e già avviato, con ogni probabilità, alla piena legittimazione?"), credo che la risposta più ragionevole consista nell'eliminare il lato "aut autistico" ( :wink: ) della questione. Ovvero, basta che l'insegnante non si limiti a dire «si fa così» o «si fa cosà», ma dia l'informazione completa: «Cari studenti, la costruzione più corretta sarebbe - anzi, è - questa (per quanto ignorata dalla stragrande maggioranza delle persone, anche di cultura medio-alta), quella più diffusa (e probabilmente usata da voi stessi) è quest'altra. In circostanze in cui non potete far valere le vostre ragioni di fronte a un'eventuale obbiezione (caso tipico: un curriculum messo nero su bianco e spedito a un destinatario ignoto), scegliere la prima forma può esporvi al rischio di passare - ingiustamente - per ignoranti, anche se esiste la remota possibilità che un lettore particolarmente raffinato possa apprezzare la vostra proprietà di linguaggio; la seconda forma vi mette al riparo da questo rischio, ma d'altra parte perdete l'[improbabile, ahimè!] occasione di impressionare favorevolmente quel minoritario cultore del bello stile. Quando invece avete la possibilità di replicare (un colloquio di lavoro o anche una semplice conversazione), potete usare la forma corretta senza esitazione e, se il vostro interlocutore dovesse strabuzzare gli occhi, non lesinategli una delucidazione».
A questo punto credo che lo studente avrebbe tutte le informazioni per scegliere "responsabilmente" (come dicono le pubblicità che invitano al consumo di bevande psicotrope ed epatotossiche :wink: ).
«Ed elli avea del cool fatto trombetta». Anonimo del Trecento su Miles Davis
«E non piegherò certo il mio italiano a mere (e francamente discutibili) convenienze sociali». Infarinato
«Prima l'italiano!»
Avatara utente
Ferdinand Bardamu
Moderatore
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Iscritto in data: mer, 21 ott 2009 14:25
Località: Legnago (Verona)

Intervento di Ferdinand Bardamu »

Concordo appieno con Animo Grato.
PersOnLine
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Intervento di PersOnLine »

Non capisco perché dite che la forma transitiva sia «più corretta», oramai sono entrambe corrette: una d'uso comune e l'altra d'uso «intenzionale» (per usare un termine canepariano).
Avatara utente
Marco1971
Moderatore
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Intervento di Marco1971 »

Lo diciamo perché appropriarsi di, nonostante la sua diffusione e la sua consacrazione, rimane, dal punto di vista puramente grammaticale, un barbarismo quali sarebbero (se il processo d'analogia avesse funzionato in senso opposto) *impadronirsi qualcosa, *impossessarsi qualcosa. ;)

Questo, ripeto, dal punto di vista strettamente grammaticale. Poi l'assuefazione finisce con l'ottundere la percezione, e il barbarismo viene avvertito come normale.

Sulle considerazioni di Teo intendo ritornare in seguito. :)
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Avatara utente
Sixie
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Intervento di Sixie »

Teo ha scritto:Forse alcuni di voi, non operando nel mondo della scuola e abitando anche fuori dall'Italia, sottovalutano sia la preparazione media degli insegnanti (anche se lei, Marco1971, sembra esserne sconsolatamente consapevole), sia le conseguenze di eventuali ipercorrezioni. Considerate che quasi nessuno dei miei colleghi di italiano e latino conosceva il significato del verbo denunciare nel lessico diplomatico (dove denunciare un accordo, un trattato vuol dire dichiararli nulli, come calco sul francese dénoncer), e molti credevano che l'aggettivo foriero derivasse dal latino fero e volesse dire portatore, mentre deriva dal'antico francese fourrier e vuol dire "ciò che precede annunciando" (paraetimologie frequenti). E se considerate, come ho detto prima, che le commissioni dei concorsi a cattedra sono composte da insegnanti di scuola media e di ITIS, non SCELTI, ma sorteggiati in base alla mera anzianità, potrete trarne le conclusioni del caso.
Sono pur sempre - i colleghi della scuola secondaria di primo e secondo grado 'sorteggiati' per formare le commissioni d'esame - degli insegnanti, laureati e abilitati, suppongo, all'insegnamento negli istituti di ogni ordine e grado, oltre che nei licei.
Il problema, gentile Teo, non è tanto se sappiano riconoscere le etimologie dalle para-etimologie ma, a mio parere, se sono in grado di rendere operativi, nello svolgimento della loro professione, i modelli teorici appresi all'università o ai corsi di perfezionamento.
Mi riferisco a termini quali curricolo, modulo, unità didattica, unità di apprendimento che dovrebbero ormai essere entrati nel linguaggio comune degli operatori della scuola, ma così non è.
Si continua con un insegnamento/apprendimento di tipo trasmissivo con buona pace dei sostenitori e divulgatori della nuova didattica (quella della scuola umanistica, tanto per dirla con parole renziane).
Tornando alla domanda da lei posta, direi che nella scuola non si avverte tanto il bisogno di 'regolarizzare' ma di 'spiegare', di tornare a dare un 'senso' all'insegnamento e all'apprendimento.
Penso alla mancata occasione di introdurre finalmente l'Educazione linguistica negli insegnamenti e al rispetto delle mete educative comuni che l'Europa ci chiede, completamente disatteso.
No, direi di no: la questione della transitività o intransitività di appropriarsi non è proprio prioritaria. :(
We see things not as they are, but as we are. L. Rosten
Vediamo le cose non come sono, ma come siamo.
Avatara utente
Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Teo ha scritto:…io intendo semplicemente sostenere che per le ragioni esposte in precedenza la forma intransitiva è quella da preferire nella prassi corrente e che un insegnante che suggerisse di utilizzare il costrutto transitivo esporrebbe i suoi studenti ai rischi che ho citato.
E su questo possiamo anche essere d’accordo (si vedano le considerazioni fatte sopra da Ferdinand e da Animo Grato, che ringrazio).
Teo ha scritto:Peraltro, in certi casi non si può rimanere intransigenti e coerenti come quando si scrive su questo forum. […] Altrimenti si rischia soltanto di apparire ridicoli e di compromettere la "buona causa".
Il discorso pedagogico relativo alla scuola è un conto, e sarebbe comunque un bene che gli alunni avessero a disposizione docenti veramente competenti che conoscano benissimo la lingua (e non solo l’italiano dell’ultimo minuto) e sappiano indirizzare i discenti verso scelte ragionate e ponderate secondo i diversi contesti comunicativi. E questo l’ho ripetuto all’infinito.

Ma d’altro canto qui siamo in un foro di discussione dedicato alla lingua italiana, e chi magari qui scrive sporte o alcole (peraltro forme attestate) o occasionalmente usa gli adattamenti castellaniani norde, sonde, este, gueste non lo farebbe di certo in un contesto molto formale o ufficiale (e nella prosa scientifica il Castellani ricorre[va] di solito a settentrione, mezzogiorno, oriente, occidente).

Veniamo infine alla questione della norma. L’insegnamento dell’italiano nella scuola non è certo agevolato dall’odierna tendenza di lessicografi e grammatici a voler ripudiare ogni residua scoria di prescrittivismo; i dizionari hanno fatto piazza pulita d’ogni possibile «buon consiglio» e mettono tutte le forme sullo stesso piano, senza indicare un’eventuale preferibilità perché credono che la loro mission sia soltanto quella di fotografare lo stato attuale della lingua.

Come docente, io sono confrontato a questo problema di quale lingua insegnare, ma il mio compito è agevolato dal fatto che insegno ormai soltanto il francese, e i dizionari francesi – in particolar modo quelli a uso scolastico – non si peritano certo di scrivere «Après que je sois est fautif», o «Malgré que est un emploi critiqué», ecc. Io sento come mio dovere informare gli alunni che va benissimo nel parlato Après que vous soyez parti ma che in una lettera formale dovranno scrivere Après que vous êtes parti. Se si perde il senso del rigore, delle distinzioni di registro, delle sfumature, e ci si fa contaminare dalla malattia del ventunesimo secolo – che è quella del puro descrittivismo – ci si rende complici dell’appiattimento espressivo e di conseguenza anche dell’impoverimento riflessivo, e si lascia che il fiume della lingua rompa gli argini in nome della venerata dea Evoluzione (come se qualsiasi cambiamento fosse di per sé un bene prezioso da incoraggiare a tutti i costi).

Ecco, dunque, per me, in assenza di spinte e controspinte, si rompe l’equilibrio che ha sempre caratterizzato la crociera delle lingue nel corso dei secoli, e si incentíva un processo sbrigliato d’illutamento delle cui irreversibili ripercussioni culturali lascio giudici i miei lettori.
Ultima modifica di Marco1971 in data ven, 21 ago 2015 18:40, modificato 1 volta in totale.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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