Ne propongo qui una sintesi.
- Il tipo trecentesco brieve, pruova (dittongamento di è e ò in sillaba libera) passa a breve, prova.
- L’antico ragghiare, tegghia si palatalizza in ragliare, teglia.
- Le forme dea(no), stea(no) diventano dia(no), stia(no).
- I numerali aurei diece, dicessette, dicennove, milia si trasformano in dieci, diciassette, diciannove, mille.
- Domane e stamane (benché quest’ultima forma si sia conservata) si mutano in domani e stamani.
- Il tipo lo mi è soppiantato da me lo; similmente, al posto dell’antico invariabile gliele si hanno le forme glielo, gliela, ecc.
- Si abbandona la trecentesca ciriegia, che diviene ciliegia; e all’aureo pippione s’è sostituito l’argenteo piccione.
- Sopra, che nel Trecento non determinava il raddoppiamento, diventa cogeminante intorno al Quattro-Cinquecento: sopracciglio, sopraffare, sopraggiungere.
- Si monottonga uo dopo palatale: fagiolo, gioco, figliolo (anticamente fagiuolo, giuoco, figliuolo).
- La prima persona dell’imperfetto indicativo prende –o invece che –a (io era –> io ero, ecc.).
- Si sostituiscono le forme dell’imperativo di dare, fare, stare, andare con le forme corrispondenti dell’indicativo (dai/da’ in luogo di da cogeminante, che però conserva la cogeminazione con le enclitiche [dammi]).
- L’antica pronuncia delle lettere dell’alfabeto (a, be, ce, de...) passa a (a, bi, ci, di...).
- Si diffonde la costruzione noi si fa (anche presso scrittori settentrionali, come Pavese, ad esempio) per noi facciamo.