«Un viaggio nell'Italia dei dialetti»

Spazio di discussione su questioni di dialettologia italiana e italoromanza

Moderatore: Dialettanti

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Millermann
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«Un viaggio nell'Italia dei dialetti»

Intervento di Millermann »

Parliamo ancora di dialetti, argomento che mi è sempre molto caro. Questa volta ho avuto qualche dubbio sull'opportunità di aprire questo filone, ché potrebbe implicare dei riferimenti pubblicitari, ma se i moderatori sono d'accordo procederei. :)
Molti di voi avranno notato, a partire da quest'autunno, che le confezioni di un noto prodotto dolciario, sugli scaffali dei supermercati, sfoggiavano in etichetta curiose frasi dialettali. La cosa sarà sembrata, ai piú, null'altro che una stravaganza momentanea e, probabilmente, improvvisata; pochi si saranno accorti che, invece, esiste addirittura un «Manuale linguistico» di piú di 100 pagine (che reca come sottotitolo l'oggetto di questo filone) che illustra in dettaglio il "progetto", realizzato con la consulenza di un gruppo di 8 linguisti (citati in terza di copertina) coordinati dal prof. Francesco Avolio.
Il taglio è, ovviamente, rivolto a un pubblico di consumatori, quindi molto colorato e ricco d'illustrazioni, ma in ogni caso si analizzano, una per una, ben 135 «espressioni dialettali» tipiche (di ciascuna delle quali è fornita una breve spiegazione e perfino la trascrizione fonematica!).
Secondo me val la pena dargli almeno un'occhiata; e mi piacerebbe, come al solito, sentire i vostri commenti! :D
La mia opinione, stavolta, non è delle piú entusiastiche (almeno per quanto riguarda la mia zona): tra le 16 «aree linguistiche» individuate dal «team di docenti esperti in dialettologia» non figura, infatti, quella «lucana/calabrese settentrionale»! :roll:
E non è questa l'unica "semplificazione" che ho notato: ad esempio, nell'area «sarda» vedo compresa anche la provincia di Sassari.

A parte ciò, comunque, si apprezza la presenza di un'ampia varietà d'espressioni, anche molto simili fra loro (e quindi con una certa attenzione alle differenze diatopiche). Addirittura, sparse qua e là tra quelle centro-meridionali, riesco a riconoscerne quasi una decina che potrebbero benissimo far parte del mio dialetto! :)
È poco piú d'una curiosità, questo è vero, ma può anche essere interessante notare come sono stati resi i fonemi non presenti in italiano.
E voi, che cosa ne pensate? Le espressioni scelte vi sembrano davvero quelle piú rappresentative (anche) del vostro dialetto?
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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Mah… non pretendo la precisione, né chissà quale analisi approfondita, da un documento commissionato da un’impresa commerciale con l’intento di creare «contenuti virali». Mi lascia però un pochino perplesso il raggruppamento in aree: in quella che m’interessa, vedo un gran minestrone, che va dal Trentino alla zona di Trieste. Quanto alle espressioni, ci sono scelte scontate (ostregheta), e modi dire che non ho mai sentito, come ben sveja e bisú (che si dovrebbe scrivere bixú).
Ivan92
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Intervento di Ivan92 »

Neanche la mia area è presente. Comunque, concordo con Ferdinand: hanno fatto un minestrone! Non capisco perché abbiano accorpato Ancona alla zona emiliano-romagnola.
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Sixie
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Intervento di Sixie »

Sono perplessa : non trovo l'espressione da bon - "davvero", "sul serio", usatissima da noi in Veneto (e, a quanto pare, anche ad Aosta).
Le altre, a parte come xéa e la solita ostregheta, nemmeno le riconosco come espressioni venete, mi sembrano molto italianizzate, a dire il vero.
Le mie sei alternative :
come sémo?
da bòn
drio man
de paca
de fora via
àra-che-ben
òro-benon :D
Ultima modifica di Sixie in data mar, 22 dic 2015 18:51, modificato 1 volta in totale.
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Carnby
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Intervento di Carnby »

Trascrizione fonematica «a quel modo»: era meglio mettere le [] e segnare gli allofoni. Ho molti dubbi a considerare /ʒ/ un «fonema» del toscano. Ma certo, /ke bbi'ʤu/ non rendeva l'effetto...
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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Sixie ha scritto:Sono perplessa : non trovo l'espressione da bon - "davvero", "sul serio", usatissima da noi in Veneto (e, a quanto pare, anche ad Aosta).
Qui da me è dal bon. A quanto pare, è una locuzione che si ritrova anche in altre aree del Settentrione.
Sixie ha scritto:Le altre, a parte come xéa e la solita ostregheta, nemmeno le riconosco come espressioni venete, mi sembrano molto italianizzate, a dire il vero.
Ostregheta è un eufemismo venetissimo, ma è come dire schei: è una parola veneta stranota, stereotipa. Come xea? — da me com’ela? — invece sí, non mi pare proprio tipicissima, sembra una dialettizzazione di un’espressione italiana.
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Carnby
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Intervento di Carnby »

Hanno «addolcito» (e come potevano non farlo se sono quelli che producono la Nutella?) l'intera faccenda per fare un prodotto da famiglia. Ma i dialetti sono di per sé volgari, viscerali, vissuti: il sorbole bolognese è l'italianizzazione eufemistica di un'espressione diffusissima che non potevano mettere sui barattoli. E un livornese senza boia dé! non è livornese.
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Sixie
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Intervento di Sixie »

Ferdinand Bardamu ha scritto:Ostregheta è un eufemismo venetissimo, ma è come dire schei: è una parola veneta stranota, stereotipa. Come xea? — da me com’ela? — invece sí, non mi pare proprio tipicissima, sembra una dialettizzazione di un’espressione italiana.
Dal bòn ? :D
Come xé-la ?, o come dice lei, com'ela ?, corrisponde a un come va ? in italiano, secondo lei?
Secondo me, no.
ostregheta, come schei, è una di quelle espressioni che non si usano più in Veneto, o solo per "fare i Veneti".
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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Sixie ha scritto:Come xé-la ?, o come dice lei, com'ela ?, corrisponde a un come va ? in italiano, secondo lei?
Secondo me, no.
In italiano dico spesso com’è? per come va?. Quanto al significato, come vala? e com’ela? sono la stessa cosa, non percepisco differenze di sorta (se non una minuta, irrilevante sfumatura), cosí come non ne percepisco tra com’è? e come va?; ora che mi ci fa pensare, però, è piú facile che il mio com’è? in italiano sia un dialettismo che viceversa.
Sixie ha scritto:ostregheta, come schei, è una di quelle espressioni che non si usano più in Veneto, o solo per "fare i Veneti".
Non direi proprio che schei non si usa piú in Veneto, anzi! Sarebbe come dire che non si adoperano piú le bestemmie a mo’ d’intercalare o non si dice piú mona, nel noto duplice senso. Mi stupirei se sentissi un dialettofono che chiama i soldi soldi. Davvero lei non dice piú schei? :shock: Forse ostregheta è un po’ datato — l’usa occasionalmente mia madre, che non è piú una giovincella — ma nemmeno questa è una parola in completo disuso, almeno per la mia esperienza.
valerio_vanni
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Intervento di valerio_vanni »

Carnby ha scritto:il sorbole bolognese è l'italianizzazione eufemistica di un'espressione diffusissima che non potevano mettere sui barattoli.
Di quale espressione?
L'unica che ci somiglia vagamente può essere «(e)'ssocc'mel», ma non mi pare che riesca a richiamarla.
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Carnby
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Intervento di Carnby »

valerio_vanni ha scritto: L'unica che ci somiglia vagamente può essere «(e)'ssocc'mel», ma non mi pare che riesca a richiamarla.
Mi riferivo proprio a quella. :)
domna charola
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Intervento di domna charola »

A Venezia mi sembra che schei sia ancora ben vivo, così come òstrega, che però non è il diminutivo (sarà colpa dell'inquinamento, per cui sono cresciute?...)

Mi sembra comunque una mediocre operazione commerciale, per sfruttare l'onda della ricerca di radici e cose simili.
Per le aree che conosco (Lombardia e Veneto) mi sembra siano state prese espressioni abbastanza scontate e banali, mettendo assieme quelle di più dialetti diversi senza indicazioni per ricollocarle geograficamente. Ad esempio, fra milanese e bergamasco o bresciano ci sono differenze abbastanza sensibili, e se si voleva fare un'operazione anche culturale andavano secondo me distinte.

Che siano banali, del resto, era inevitabile, perché molte delle espressioni più caratteristiche delle lingue locali sono di fatto "non riproducibili su un prodotto per minori".
Insomma, secondo me potevano tranquillamente farne a meno; certo le lingue locali non ci guadagnano nulla.
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Millermann
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Intervento di Millermann »

Vi ringrazio per le interessanti osservazioni e i commenti, belli gli scambi d'opinione! :)
domna charola ha scritto:Che siano banali, del resto, era inevitabile, perché molte delle espressioni più caratteristiche delle lingue locali sono di fatto "non riproducibili su un prodotto per minori".
Insomma, secondo me potevano tranquillamente farne a meno; certo le lingue locali non ci guadagnano nulla.
Sono pienamente d'accordo con lei sulla sua prima considerazione; un po' meno riguardo alla seconda: io ho invece l'impressione che iniziative come queste non possano che giovare alla salvaguardia dei dialetti e delle lingue locali.
Occorre tener conto, infatti, che questa operazione (pubblicitaria, certamente) raggiunge le famiglie, e in particolare bambini e ragazzi: coloro che, in genere, vengono tenuti lontani il piú possibile dai dialetti, quasi che questi potessero "contaminare" le loro giovani menti!
Invece la presenza delle scritte dialettali sulle etichette di un prodotto che, anche nella considerazione dei "grandi", gode da sempre di una certa approvazione, in qualche modo "legittima" l'uso del dialetto anche da parte dei piccoli. Non ne ho le prove, ma immagino che chissà quante domande siano state rivolte dai bimbi ai nonni, leggendo quelle buffe espressioni, e chissà quante risposte avranno ricevuto.
Magari a qualcuno di loro, per una volta, sarà stato perfino consentito di tenere —per gioco, certo!— un'intera conversazione in dialetto...
Lo so, sono un po' esagerato, ma il fatto è che sono stufo di vedere i vicini di casa rivolgersi ai loro bambini sempre e rigorosamente in italiano, anche quando fra adulti parlano in dialetto spesso e volentieri. Il risultato sarà una generazione perfettamente in grado di capire il dialetto, visto che vi sono comunque esposti passivamente, ma non di parlarlo, non avendone acquisito gli automatismi.
Ai miei tempi i bambini erano dapprima dialettofoni, poi passavano naturalmente all'italiano ascoltando la tv, la scuola e, perché no, i grandi nelle mille occasioni in cui lo parlavano. E conoscere il dialetto era utile anche a capire meglio l'italiano: ad esempio a distinguere più facilmente a/e/o dalle forme verbali omofone (ha/è/ho), che in dialetto non lo erano.
Perciò io, nel complesso, vedo positivamente iniziative come questa; pazienza se non sono scientificamente precise, basta che abbiano la potenzialità di far capire alla gente che i dialetti non vanno dimenticati, e che, contrariamente a quel che si crede, non sono... "pericolosi" per i bambini. :)
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domna charola
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Intervento di domna charola »

Sì, concordo dal punto di vista della ricaduta come immagine positiva. Un dialetto sdoganato da una nota marca commerciale diviene sicuramente più appetibile del vecchio dialetto bacchettato a scuola.

Però, nella forma proposta, il rischio è quello dell'appiattimento: una serie di espressioni da adottare - come tutte le frasi pubblicitarie, che poi tracimano nel linguaggio gergale - indistintamente, e poi magari abbandonare all'uscita di un altro prodotto.

Insomma, il contentino così i dialettofoni si sentono curati, una pittata di territorialità per rispondere alle accuse di omologazione sui gusti medi internazionali, e alla prossima edizione passiamo allo slang americano o alle onomatopee di Walt Disney.

Mi sembra tutto troppo appiattito.
Le frasi buttate lì al posto del nome del prodotto non hanno attinenza col prodotto stesso, quindi non appaiono "spiegate", traducibili, e soprattutto, graficamente ricalcano - ovvio - il nome originario: questo perché è dimostrato che l'occhio percepisce un marchio innanzitutto come forma e colore, e vi riconosce comunque quel marchio noto, indipendentemente dalla scritta reale (è il fenomeno per cui molti acquistano accesori e vestiariio contraffatti anche nel nome, ma senza accorgersi della differenza di contenuto dei due marchi).

Sarebbe stato molto diverso - e molto più provocatorio - se, ad esempio nel sottotitolo o negli ingredienti, a fianco della scritta in italiano si fosse inserita anche quella in un dialetto. Ma una cosa del genere avrebbe avuto poca risonanza in termini di immagine, proprio perché troppo legata a un messaggio concreto.

Nutella è un marchio internazionale, così internazionale e così affermato che, anche se scrive sull'etichetta "ostrga" o "vaff...", la gente leggerebbe sempre e comunque "nutella".
Insomma, alla fine diviene la dimostrazione della forza della globalizzazione: non si ha paura a usare altri idiomi, perché tanto sono innocui, non possono incidere sul nome internazionale del prodotto e sulla sua fama.
Cosa del resto evidente già se si pensa che il marchio è entrato nel linguaggio comune come sinonimo di crema alle nocciole.
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Sixie
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Intervento di Sixie »

[quote="Ferdinand Bardamu"
Sixie ha scritto:
Sixie ha scritto:ostregheta, come schei, è una di quelle espressioni che non si usano più in Veneto, o solo per "fare i Veneti".
Non direi proprio che schei non si usa piú in Veneto, anzi! Sarebbe come dire che non si adoperano piú le bestemmie a mo’ d’intercalare o non si dice piú mona, nel noto duplice senso. Mi stupirei se sentissi un dialettofono che chiama i soldi soldi. Davvero lei non dice piú schei? :shock: Forse ostregheta è un po’ datato — l’usa occasionalmente mia madre, che non è piú una giovincella — ma nemmeno questa è una parola in completo disuso, almeno per la mia esperienza.
Peccato utilizzare una lingua così espressiva per parlare di skei o per imprecare.
A proposito di imprecazioni - se interessa - , vorrei precisare che il termine òstrega non ha nulla a che fare con il mollusco bivalve e molto con l'ostia. Si tratta, come sostiene Gianna Marcato nel capitolo dedicato a "Come imprecare", del suo Parlarveneto, di "quell'operazione linguistica con cui, per rendere meno aspra un'espressione, si sostituisce un termine con un giro di parole, o con un altro termine che gli assomigli per suono o gli sia vicino per ambito d'uso".
La sequenza riportata sarebbe :
Ostia, osti, ostion, ostiaro, ostrega, ostregheta, ostaria ... alla quale aggiungerei il mio (nostro, di uso famigliare) ostinàte. :)
Detto questo, ripeto, espressioni come mona, òstrega appartengono più all'immaginario collettivo su ciò che è percepito come tipicamente veneto, ma non è così ovviamente.
Abbiamo, per nostra fortuna, una gamma di espressioni ben più ampia per imprecare ( o per poetare).
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