«Magón»

Spazio di discussione su questioni di dialettologia italiana e italoromanza

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GBGaribaldi
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Sempre sulle etimologie

Intervento di GBGaribaldi »

u merlu rucà ha scritto:Per quanto concerne màcia, l'esito potrebbe anche essere regolare, ma partendo da una base *maccula . Nei dialetti liguri -cl- > -ʎ-/-ʤ- se è preceduto da vocale, ma se è preceduto a consonante > -ʧ- (masculu > 'maʃʧu); *maccula, con anaptissi, a sua volta deriva da *makkla che è regolare da *mak-tla; in pratica, rispetto all'etimo (normale) di macula da *mak-la cambia il suffisso, che invece del diminutivo *lo- (ovviamente qui al
femminile) sarebbe quello locativo-strumentale *-tlo- (anch'esso al femminile).
Ritorna il discorso del rispetto dei vincoli nell'ambito della ricerca e della necessaria creatività.

Se vedo un oggetto leggero fluttuare nell'aria, non sono autorizzato a ritenere miracolisticamente sospesa la legge di gravità. E' meglio che pensi all'effetto concomitante di qualche altra forza (ad es., il vento).

Non possiamo invocare categorie esplicative di 2000 anni dopo.

Maccula era la pronuncia degli ultimi anziani dialettofoni che avevano problemi oculistici e riferivano, in dialetto, dei termini medici.

Infatti, gli italianismi (non solo parole dotte, sul perché faccio un cenno nel seguito) entrano nel genovese mediante generalizzata geminazione: infatti, si dice fratte = frate, moddu = modo, patatta = patata, insalatta = insalata, broddu = brodo, veddru = vetro, vitta = vita, mattemattica = matematica.

Certo, anche in voci terzultimali. Ma, se pure in genovese si dica tittulu = titolo e abbitu = abito (verbo), non si tratta dello stesso meccanismo che (in alcune occorrenze terzultimali anetimologiche del fiorentino quali, ad es., attimo e fabbrico) venne poi anche "codificato" nella lingua italiana.

Se non si fosse "volutamente" scelto l'italianismo (mediante la "volontà" della norma e del controllo sociale) la derivazione diretta e la regolare evoluzione fonetica ci avrebbero consegnato esiti che i parlanti genovesi stessi - pur "barbari" e "remoti" rispetto a una fiorentinità limpida - avrebbero rifiutato:

titulu>tituru>tiduru>tidur>tidu>tiu;
abitu>avitu>avidu>aviu e (nel socioletto popolare in cui [-v-]>[-0-])
aviu>aiu>aiju>ajju. Entrambi ritenuti non accettabili!

In genovese quanto illustrato avvenne e avviene soltanto perché molti fonemi consonantici intervocalici vennero leniti e, poi, ridotti allo zero fonico: nell'equivalente di dito si pervenne a diu e così via. Il fonema [-t-] sotto accento, normalmente, passa a [-0-], quindi [-t-] non fa più parte del sistema linguistico e si accettano i prestiti, ma con [-tt-], semplicemente perché i fonemi geminati (sotto accento) non vennero intaccati.

L'esito regolare fræ significò soltanto fratello e, assumendo il prestito per frate, si pronunciò fratte.

Perché [-t-] non esisteva più nell'inventario fonematico del dialetto.

L'esito (regolare) mőu = modo, verso la fine del '700, parve pronuncia da buzzurri ignoranti e (come in innumerevoli altri casi, che mi e vi risparmio) si adottò l'italianismo, che non potè che essere pronunciato moddu perché [-d-] non esisteva più nell'inventario fonematico del dialetto.

Ma, a differenza del fiorentino, le voci terzultimali genovesi di derivazione diretta non manifestarono mai geminazione.

Essa si ebbe solamente nei prestiti dall'italiano o da altre lingue.

Infatti, questa modalità di geminazione non dipende dalla posizione dell'accento e si verificò anche in voci penultimali (ad es., in fratte = frate).

So benissimo che gli ultimi vecchi pronunciano spetacculu, miracculu, pericculu. Ma c'è [-kk-] solo perché si tratta di voci prese da poco dalla lingua italiana.

Fino a non molto tempo fa si poteva ancora acoltare: Nu gh'é peigu = non c'è pericolo (è escluso). Non porto ulteriori esempi (che sarebbero innumerevoli), ma ciò dimostra che (nella derivazione diretta) non c'è stata geminazione: pericuru>periguru>perigur>perigu>peìgu>péigu.

Perché, infatti, [-r-]>[-0-]. Come t, d & c..

A Ventimiglia e altrove si verificarono gli stessi processi evolutivi.
Solo che, dopo, a Ventimiglia si degeminò.
Altrimenti, neppure a Ventimiglia ci sarebbe [-t-]. Se non proveniente da [-tt-]. Si avrebbe, infatti, [-0-]<[-t-] come, appunto, in frai = fratello.

Questa è la vera spiegazione!

Sgombrato il campo dall'assurdo maccula, occorre, però, capire se qualcuna delle spiegazioni che avevo tentato di porre in campo possa avere senso.

Senza avere ancora consultato alcun testo, avevo pensato che si fosse voluta evitare la collisione con maggia nel senso di maglia.

Riflettendo che, ad es., nel caso di cubbia = coppia si è in presenza di un esito altrettanto "irregolare", cioè non condotto alle estreme conseguenze (per altro, "regolari" nella fonetica genovese).

Perché non si ebbe il "regolare" esito cuggia? Evidentemente, per evitare la collisione col termine "tabù" cuggia = testicolo. E le coppie rimasero cubbie, non cugge, termine sottoposto a "tabù".

Certamente altre parti anatomiche venivano verbalizzate, ma questo sarebbe lo spunto per un interessante articolo.

La sensibilità dell'epoca non era la nostra.

Pur senza averlo consultato prima (ma non me ne avrei a male se non mi si credesse) ho trovato un autore che la pensa come me.

Il defunto Aprosio scrive: " lat. macula (e "sbaglia" perché si parte da macla, macula avrebbe dato magua!) dovrebbe dare maggia. Maccia indica la fase più remota del passaggio, per evitare la confusione con maggia "maglia".

Non è che "two is meglio di one".

E' che si tratta di una spiegazione convincente, che rispetta i vincoli della dialettologia italiana e che trova il conforto dell'utilizzo di un analogo meccanismo di "fissazione a una fase anteriore" (al fine dell'evitamento di una collisione "spiacevole") come, appunto, si verificò per non incorrere nell'omofonia con un termine "tabù".

Evidentemente, non ci sarebbe stato alcun vincolo di tipo fonetico a ostacolare la "naturale" evoluzione di cubbia in cuggia.

O di cubbie in cugge . . .

Infatti, a doppio corrisponde duggiu e a stoppia stuggia.

L'onestà intellettuale m'impone di non porgere codesto risultato quale verità assoluta e di ritenerla, operativamente, un'ipotesi di lavoro.

Teoricamente, sono costretto ad ammettere che potrebbe anche esisterne una migliore.

Essa, però, per risultare anche soltanto accettabile non deve infrangere quanto è patrimonio acquisito della linguistica italiana - quella iberica ha le sue specificità -.

Parafrasando (dal nostro lato dello "specchio") il vecchio Probo (che non citò espressamente la voce nel suo elenco, per altro, solamente esemplificativo): macla, non macula . . . :wink:
Ultima modifica di GBGaribaldi in data sab, 02 gen 2016 17:54, modificato 2 volte in totale.
GBGaribaldi
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Etimologie e il rispetto dei vincoli

Intervento di GBGaribaldi »

u merlu rucà ha scritto:Non vedo grossi problemi per la derivazione di maguřà da maculare, tenendo conto che diversi termini in -aculu/a-iculu/a ecc. non presentano la sincope in Liguria: furmìguřa "formica" (< formicula); ferüguřa "timo" (< ferricula); brüguřa "crosta delle ferite" (< verrucula).
Qualche problema c'è invece con macia "macchia", il cui esito panligure non è regolare: da mac(u)la ci aspetteremmo maglia/magia e non macia.
Però la dialettologia li vedrebbe. E come!

Chiarisco.

Non intendo entrare in polemica, ma la spiegazione non regge.

Ci sono voci di animaletti, pianticelle (dato ben noto alla linguistica) di cui, nei dialetti, si perse il simplex e i dialetti tramandarono esclusivamente forme diminutive (a furmigua = formica può essere una di codeste occorrenze).

Ma sono forme pan-italiane. La voce "formicola" è presente anche nei dialetti meridionali.

Non è che i dialettofoni fossero mentalmente disabili e non sapessero formare regolarmente i diminutivi!

Ai dialetti pervennero, rispettivamente, sia furmiga o formica quanto i loro diminutivi. Ma solo i diminutivi vennero continuati (perché ritenuti più appropriati rispetto alle ridotte dimensioni degli "oggetti" da designarsi).

Nel caso del tutto ipotetico di maca, ai dialetti non potè giungere alcuna coppia, semplicemente perché maca non è mai esistito!

Sostanzialmente:

I) macula non è il diminutivo di un inesistente *maca*;

II) nessun esito proveniente da macula compare in nessun dialetto italiano. Nei dialetti italiani (e nel "volgare" di Firenze!) si continua macla, non macula. Non siamo nel mondo linguistico iberico!;

III) le forme meno "evolute" (ladine e "ladinoidi") sono appunto "makla".
E ciò vorrà pur dire qualcosa!

Ma codesta è mera fonetica.

Fondamentale, per altro, risulta l'ambito semantico.

Non esiste proprio nelle varietà linguistiche italiane il significato di macchiare nell'accezione di brancicare la frutta.

Men che meno in Liguria.

E anche Ventimiglia, che ha macia e macià, non può che essere partita da macla. Come Firenze e quasi tutta l'Italia.

E, comunque, un solo etimo (maculare era ed è off limits per la dialettologia italiana) non può giustificare due esiti diversi nella stessa località.

Mi spiego: chi dice furmiga è solo perché vuole provare a fare il buffone parlando genovese. Il vero dialetto conosceva soltanto furmigua. Esisteva un esito solo (anche se di tipo diminutivo).

Diverso è stato per il mondo linguistico iberico.

Mi è chiarissimo che il verbo castigliano magullar implichi contusioni e lesioni. Non conosco bene il campo sematico dell'equivalente catalano magular né se possa essere utilizzato nell'accezione di brancicare la frutta esposta. In questo significato esiste anche il provenzale maquilhar che le signore conoscono nel significato del maquillage (l'impiastricciamento senza lesioni, normalmente, del viso).

Ma l'unica forma che, foneticamente, potrebbe giustificare quella di Ventimiglia - magurà - risulterebbe quella catalana.

A condizione che il significato lo consenta e se ciò possa essere effettivamente avvenuto. In quale epoca storica?

Anche il dato che la voce non sia presente nel resto della Liguria va preso in adeguata considerazione.

Ma fa un'enorme differenza ipotizzare un possibile prestito, che non intacca dati linguistici assodati, rispetto alla pretesa di sconvolgere quanto la linguistica insegna solo per "giustificare" un caso singolo, che deve poter risultare spiegabile (magari con capacità un pochino migliori delle mie) diversamente.

Non si può invocare la sospensione delle leggi linguistiche - "miracolismo" - soltanto per trovare una spiegazione a una voce non chiara.

I vincoli posti dalla linguistica scientifica (in questo caso, quella italiana, ma il concetto vale in generale) non costituiscono affatto un ostacolo. Ci aiutano a non estenuarci su ipotesi irragionevoli.
Ultima modifica di GBGaribaldi in data sab, 02 gen 2016 18:39, modificato 2 volte in totale.
GBGaribaldi
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Etimi

Intervento di GBGaribaldi »

cambrilenc ha scritto:Eh sì, Garibaldi; proprio per questo dicevo di essere insoddisfatto, e intendevo soprattutto la parte etimologica. Prendiamo, ad esempio, il dizionario Alcover-Moll (http://dcvb.iecat.net/), vero capolavoro della romanistica: in 4 righe vediamo chiaramente... che tutto rimane poco chiaro:
Etim.: incerta. La forma cast. peca ha estat relacionada amb pecar en el sentit de ‘excedir o predominar un humor en les malalties’; però la forma catalana amb i sembla oposar-se a aquesta explicació. Segons Coromines DECast, iii, 707, cal considerar piga com a pertanyent a la família del verb picar. Sembla que realment piga podria esser un simple femení de pic, per analogia de casos com amic amiga.
E invece sull'edizione in Rete del dizionario della lingua catalana:
s. XV; del ll. pīca 'garsa', d'on també el sentit de 'taca pigmentària de la pell' per les taques i colors de la garsa (cf. picar)
Quindi, secondo questa versione, si tratterebbe di una origine diversa -c´è ancora di mezzo secondo loro il verbo picar, ma ora forse scompaiono le geminate-.., ci sarebbe insomma un rapporto con la garsa, e cioè con questo:

Immagine Pica
Rispondo per correttezza, ma, ovviamente, non posso offrire un contributo in merito al mondo catalano.

Segnalo solamente la diversa sensibilità della società odierna rispetto al
mondo immaginativo dei dialettofoni.

Noi, normalmente, pensiamo al colore.

Però, per quanto riguarda un acino d'uva pigau (secondo i ponentini),
un genovese avrebbe detto pittetou e avrebbe chiamato pitette le macchioline.

Non c'è alcuna derivazione dal lat. pingo, -is, pinxi, pictum &c.. La voce pitetta deriva da pitâ = beccare, becchettare e, in un registro linguistico ritenuto molto volgare(?), "in bun pittu" = una buona beccata equivale a un buon pranzetto.

Quindi, gli antichi, i dialettali non badavano tanto al differenziale cromatico, quanto all'aspetto dinamico, al modesto impulso meccanico che, ad es., uno spruzzo di liquido poteva determinare.

Come quello dei monelli di un tempo che, colla bocca piena di liquidi più o meno colorati e innocui a mo' di "trogloditi" (così ipotizzano gli archeologi), imbrattavano pareti appena imbiancate.

Creando pitette come quelle bianche (su fondo di altro colore) degli spruzzi del pennello dell'imbianchino.

Del resto, si ha picchiettato anche in italiano. Il verbo parla dell'azione in sé (da picchiare) anche se l'effetto prodotto è cromatico.

Esattamente come nel dialetto genovese.

Il verbo picchiare è esclusivamente onomatopeico? C'è una relazione col picchio? Non me ne sono mai occupato . . .

Ciò che affermano gli accademici catalani non risulta per nulla suffragato dalla sensibilità degli ultimi dialettofoni.

Essi, in riferimento alla gazza dell'immagine, parlerebbero soltanto di voci equivalenti a macchie, liste, strisce, chiazze & c..

Escluderebbero decisamente qualsiasi riferimento alla livrea della gazza mostrata in riferimento al termine pitette e alle azioni di spruzzo o d'imbrattamento relative, perché (nell'immagine) si tratta di colori ben delineati.

Si parlerebbe "tecnicamente" di pitette in riferimento, ad es., alle penne del pavone, se non esistesse già il termine dialettale codificato corrispondente a occhi.

Ma i dialettofoni non escluderebbero il riferimento all'istinto dell'animale di beccare, "trafugare" (se l'è beccato lui significa questo anche in italiano) anche oggetti di cui non dovrebbe occuparsi.

Infatti, è detta ladra.

Quindi, anche se il nome latino pica = gazza, "formalmente" femminile di picus = picchio, non ha avuto continuazione in catalano, un termine dal significato di "gazzata" (per altro, inesistente), "azione di quella ladra della gazza" e simili non risulterebbero, a priori, incompatibili colla sensibilità dialettale di un ambiente, per altro, estraneo al mondo catalano.

Infatti, si fa sempre riferimento all' "impressione" dinamica. L'effetto cromatico risultante non viene mai direttamente verbalizzato.

Piccola digressione: una maccia, inoltre, è più larga di una pitetta . . .,
mentre una pitetta piccolissima è una schitta, come quella lasciata dalle mosche o come le deiezioni del pollame e di piccoli animaletti.

E pensare al picchio (i vocabolari danno anche pigot colla sonorizzazione)?

Lui è più corretto, si dedica esclusivamente al legno, ma l'azione del becco è confrontabile.

A mia conoscenza, non ritengo che in un confronto tra il mondo catalano e quello linguistico della Liguria del tempo andato, a meno di idee nuove, si riesca ad andare molto oltre. Almeno, per le voci considerate.
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u merlu rucà
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Intervento di u merlu rucà »

La sincope, in latino, non è, un fenomeno fonetico che si sia fissato una volta per tutte fin dalla fase preletteraria. Oltre alle sincopi avvenute in periodo preistorico (per es. pono da *pos(i)no, corona da *coron(e)la) se ne sono aggiunte altre nel latino arcaico (per es. balneum da balineum) ed infine le sincopi volgari il cui numero si accresce sensibilmente in bassa epoca nel latino tardo. Perciò le sincopi si distribuiscono nelle diverse tappe del latino dal periodo preletterario fino alla fase romanza. Le sincopi sorte in seguito sono poi caratterizzate dalla persistenza per un periodo più o meno lungo della forma ridotta accanto a quella non ridotta. Alcuni di tali doppioni sono giunti fino alle lingue romanze (per es. it. macchia e fr. maille da macla di fronte a port. magoa da macula).
I) macula non è il diminutivo di un inesistente *maca*;
II) nessun esito proveniente da macula compare in nessun dialetto italiano. Nei dialetti italiani (e nel "volgare" di Firenze!) si continua macla, non macula. Non siamo nel mondo linguistico iberico!;
III) le forme meno "evolute" (ladine e "ladinoidi") sono appunto "makla".
E ciò vorrà pur dire qualcosa!
I) *maca è una forma ricostruita, non attestata ma non necessariamente inesistente
II) nel ligure non si continua macla, che darebbe maglia/maggia. Pensare che l'evoluzione fonetica si sia fermata a una fase precedente per evitare collisioni omofoniche con maggia mi sembra un po' azzardato. Tra parentesi, siamo sicuri che l'evoluzione a -ʧ- sia la fase precedente? Se così fosse dovremmo avere anche un'evoluzione oculu > öciu > öggiu e la forma lig. occ. ögliu dove la mettiamo?
III) le forme ladine potrebbero derivare anche da macula, con sincope romanza
Largu de farina e strentu de brenu.
Ivan92
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Intervento di Ivan92 »

valerio_vanni ha scritto:l termine l'ho sentito anche nelle Marche.

Sí, confermo: da noi si dice magó. :)
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Sixie
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Màcia

Intervento di Sixie »

Màcia, nella variante polesana, potrebbe significare anche 'maglia' della rete da pesca: Reda a màcia larga/streta.
Leggo sul DIR che il " Lat. macula(m), che in italiano ha dato anche la voce dotta macula, con lo stesso significato... già in lat. macula, con una forte estensione semantica, ebbe il significato di "spazio in un intreccio di fili", divenuto col tramite del provenz. mahla, in it. maglia."
Màcola per noi non è voce dotta; significa piccola macchia, leggera e poco appariscente, però ben visibile su un tessuto pulitissimo, ad esempio.
We see things not as they are, but as we are. L. Rosten
Vediamo le cose non come sono, ma come siamo.
GBGaribaldi
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Un ulteriore iberismo - magullar ?- nei dialetti liguri ?

Intervento di GBGaribaldi »

Desidererei poter esordire con un - apparente - "fuori tema". Gli etimi di cui si tratta sono contrassegnati - nel testo che li riferisce, "L'evoluzione dei dialetti liguri" (in realtà, si tratta prevalentemente del mondo intemelio e non tutto è generalizzabile, ma non vorrei aprire un altro fronte) - da un circoletto.

In merito al circoletto - alla pag. XXI – l'autore stesso scrive: "Le mie proposte etimologiche, pur essendo compatibili col sistema fonetico del dialetto e col significato delle basi indicate - e su alcune, in realtà, ci sarebbe da discutere N. d. R. -, mancano del corredo di documentazione storica e di una sufficiente comparazione con altri esiti romanzi ed hanno perciò il carattere di semplici ipotesi di lavoro, che richiedono un approfondito controllo".

Ho citato letteralmente.

E' l'autore stesso che c'invita a non "jurare" "talebanicamente" "in verba magistri", ammesso che qualcuno intenda considerarlo "maestro".

E' l'autore stesso che c'invita a non soggiacere alla pigrizia intellettiva in base alla quale tutto è già stato scoperto, chiarito e a noi non rimarrebbe se non una vita colma d'inesauste ripetizioni di affermazioni che gli autori stessi ritenevano, al contrario, tutt'altro che dogmatiche . . .

Ho approfittato del fine settimana per interpellare persone molto anziane, una delle quali originaria di Savona.

"Ma, a Genova, magurà esisteva - se fosse vivo tuttora, lo saprei anch'io -? Sì. Ah, e che cosa significava? Nulla! Come nulla? Intendo dire quand'ancora si usava. Beh . . ."

Insomma, viene fuori che maguâ [ma'gwa:] - questa era la pronuncia genovese - è stato sottoposto a una specie di tabù, di "rimozione sociale". Indago e apprendo che ciò fu dovuto a due motivi fondamentali. Infatti, il verbo aveva (come accezione primaria) un significato crudele: "ti pesto fino a spaccarti le ossa e a produrti non ferite, ma lesioni interne". Era 1) il verbo delle minacce: " 'Mîa che te magûu" - bada (letteralm. guarda!) che ti pesto (ma nel modo critico riferito) e 2) delle bastonature (frequentemente con esiti mortali) inferte da gruppi di picchiatori ad avversari politici all'epoca del fascismo. Significava - per traslato ironico - anche brancicare, ma - in quest'accezione - magnüscâ (da mano) risultava molto più usato. Per i contadini indicava gli effetti della grandine estiva sul raccolto. Assimilati al pestaggio di un umano - una gragnuola di botte -.

L'anziano originario di Savona conferma.

Il commento - extralinguistico - dei vecchi risulta unanime: certo, ci sarà stata meno istruzione, meno cultura, ma, in quanto a cattiveria d'animo - non a loro specificamente, sia chiaro -, non ci mancava proprio nulla . . .

Ora - se si possiede motivazione e tensione veritativa, altrimenti, tutto è inutile – molti dubbi risultano chiariti.

All'epoca del fascismo - storicamente, non così remota - si pronunciava ancora [ma'gu:u] da [ma'gu:ru]. Ciò esclude senz'altro una - per altro, impossibile - derivazione diretta da macula, ma anche - se proprio si volessero tentare tutte - da un inesistente macùla. Un etimo in u accentata - breve o lunga non cambia nulla - avrebbe fornito, in genovese, un esito in [y]. Ma si diceva [ma'gu:u] non [ma'gy:u], quindi quanto supposto si dimostra impossibile . . .

In Italia si continua solo macla, ciò è indubbio.

Basti pensare che l'imperatore Augusto - non una persona "qualsiasi" - si prende la briga di far sapere a un proprio nipote quanto - sebbene formalmente corretta - lui trovi antipaticamente pedante la pronuncia "calidus" del giovane. Già all'epoca di Augusto un parlato non leziosamente ridicolo richiedeva "caldus,-a,-um". E' ovvio che ciò consente di inferire il livello di generalizzazione di queste pronunce, tramandate dal grammatico Probo, se pure - almeno, nelle sue intenzioni - come realizzazioni da evitarsi nel linguaggio scritto.

Ovviamente il metodo ci guida a presupporre macla per tutti gli esiti italiani di derivazione diretta. Ciò non significa che dialetti - quali il veneto, a quanto riferito - non possano praticare un uso non dotto di un vocabolo di origine dotta.

Sembra una sottigliezza, ma è fondamentale.

I dialetti italiani - e quelli liguri non fanno eccezione - sono stracolmi di voci, espressioni di origine dotta, devozionale, religiosa et c. - anche usate in senso metaforico o ironico -.

L'uso, chiaramente, non è dotto, ma l'origine della voce, come spesso la struttura stessa della voce ci fa comprendere, è dotta, proviene dalla lingua dotta, non dal livello di lingua parlata che dette calda, macla & c..

Uso e origine di una voce non si corrispondono necessariamente.

Mi sia consentito un solo esempio. La parlata plebea genovese prevedeva l'uso - un po' ridanciano - di "nommine Patri" per fronte, aborrito e, addirittura, ritenuto quasi blasfemo da chi aveva tratti meno popolareschi.

L'uso apparteneva - socialmente - alle classi più infime, ma la derivazione linguistica era chiaramente dotta . . .

Il veneto macola può benissimo rappresentare un livello di lingua colloquiale, ma l'origine è indubbiamente dotta. Non si tratta di conoscere specificamente un determinato dialetto. E' un'oggettiva questione di metodo.

D'altronde, gli atlanti linguistici ci forniscono "macia" per i veneti e "magle" per i "furlans". Indubbiamente, entrambe da macla.

Da macia il diminutivo maceta - proprio come Genova ebbe macetta - & c.. Come in tutt'Italia.

Torniamo a magurà. S'è visto, non torna la parte fonetica e non torna neppure la parte semantica - quella fondamentale -. Il macchiare come immagine di far nero di botte con lividi e contusioni interne non fa parte del dominio semantico italiano né di quello originariamente ligure.

Ora, però, sappiamo che il termine non risulta esclusivo dell'area intemelia. Esiste nell'area savonese ed esisteva anche a Genova, dove brutte vicende storiche e sociali hanno fatto sì che si sia preferito rimuoverlo dalla coscienza linguistica. Ma sarebbe bastato indagare . . . La pigrizia intellettiva di chi ha raccolto vocaboli e lo struggente desiderio di una verità già scritta che possa - finalmente - esimerci dallo sforzo d'interrogarci ancora hanno fatto il resto.

Altrimenti, la presenza nel savonese e a Genova del verbo e la coincidenza del dominio semantico col castigliano magullar - proveniente dalla precedente forma "magular" - avrebbero dovuto indicare e illuminare la direzione. Gl'iberismi nel genovese - dati i contatti dell'epoca - sono molto più frequenti di quanto normalmente si ritenga.

Infatti, termini meno "evoluti" e modalità derivazionali specifiche quali quella di magullar (precedentemente, magular) - come ben sanno gli studiosi - risultano del tutto ammissibili per il "provinciale" mondo iberico, ma risulta completamente assurdo proporli quali evoluzioni dirette locali per la Liguria, a cui - dal "bel mondo romano" che desiderava, ormai, potersi esprimere "scioltamente" e senza pedanteria, ma anche dalle classi popolari - pervennero, molto prima rispetto alle "province", "innovazioni" quali caldu, macla & c., di cui gli esiti dialettali attuali costituiscono testimonianza e conferma.

Si tratta di un comportamento linguistico facilmente generalizzabile.

La Liguria, nell'ambito dell'impero di Augusto, era ancora Italia . . .

In Liguria magurà da magular non può che esser venuto dal mare . . .

Non sempre, per altro, si riesce a discriminare se il prestito sia stato assunto nella versione catalana o castigliana - a meno che non si tratti di voci distinte - e a ciò, purtroppo, concorre - mediamente - una minore conoscenza del catalano da parte di chi si occupa di questi aspetti linguistici.

La motivazione veritativa è limpida e la libertà di pensiero praticata nell'indagare riempie il cuore, ma, individualmente, le si può sempre preferire il dogmatismo.

La storia degli uomini e dei popoli e la vita di ogni singolo uomo non fanno altro che descrivere e mettere continuamente in scena la dialettica tra codesti due poli.
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u merlu rucà
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Intervento di u merlu rucà »

Perché non si ebbe il "regolare" esito cuggia? Evidentemente, per evitare la collisione col termine "tabù" cuggia = testicolo. E le coppie rimasero cubbie, non cugge, termine sottoposto a "tabù".
In effetti non saprei, nei dialetti occidentali, dato che testicolo si dice cuglia e non cugia, quindi nessuna omofonia.

Per quanto riguarda l'eventuale prestito dal catalano di maguâ/magurà,
anche ammettendolo, non cambia nulla per l'origine. Ecco cosa riporta il dirae: (Diccionario Inverso de la Real Academia Española)

magular.
(Del lat. maculāre, manchar, tocar).
1. tr. desus. magullar.

magullar.
(De magular, quizá por cruce con abollar).
1. tr. Causar a un tejido orgánico contusión, pero no herida, comprimiéndolo o golpeándolo violentamente. U. t. c. prnl.

manchar1.
(Del lat. maculāre).
1. tr. Poner sucio algo, haciéndole perder en alguna de sus partes el color que tenía. U. t. c. prnl.
2. tr. Deslustrar la buena fama de una persona, familia o linaje. U. t. c. prnl.
3. tr. Pint. Ir metiendo las masas de claro y oscuro antes de unirlas y empastarlas.
Largu de farina e strentu de brenu.
GBGaribaldi
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Linee evolutive seriali e parallele

Intervento di GBGaribaldi »

u merlu rucà ha scritto:I) *maca è una forma ricostruita, non attestata ma non necessariamente inesistente
II) nel ligure non si continua macla, che darebbe maglia/maggia. Pensare che l'evoluzione fonetica si sia fermata a una fase precedente per evitare collisioni omofoniche con maggia mi sembra un po' azzardato. Tra parentesi, siamo sicuri che l'evoluzione a -ʧ- sia la fase precedente? Se così fosse dovremmo avere anche un'evoluzione oculu > öciu > öggiu e la forma lig. occ. ögliu dove la mettiamo?
III) le forme ladine potrebbero derivare anche da macula, con sincope romanza
È ovvio che io non possieda la "verità". Del resto, neppure gli altri. Però, le ipotesi illogiche permangono tali. Poi, ognuno è libero di pensare come meglio ritiene. È ovvio che non siamo a scuola, ma un docente di un qualsiasi curriculum di linguistica, anche il più benevolo, se, posto uno studente di fronte alla copia della pagina dell'AIS dedicata a "macchia" e richiestane la forma di provenienza, si sentisse rispondere "macula", non potrebbe non notare la violazione del principio di parsimonia. "Macla" spiega già da sé, quindi è "macla", non "macula". In tutt'Italia. Le altre sono forme di derivazione dotta.

Di "maca" credo mai nessuno ne abbia saputo nulla.

Noto quanto scritto in merito a occhio. In genovese o in fiorentino è lo stesso. Se vanno bene "vetlu">"veclu" e "oclu" per giustificare le forme italiane e quelle liguri, non si vede perché non dovrebbe andare altrettanto bene "macla" per tutti gli analoghi esiti della penisola.

Tutti i testi di linguistica - e le stesse dispense universitarie - assumono etimi della stessa tipologia per: occhio, macchia, secchio, secchia, orecchio, specchio, ginocchio, vecchio, mucchio & c..

Hanno preso granchi tutti gli studiosi?

Su "maccia", come lei aveva, su altro, citato l'opinione dell'Azaretti, mi sono permesso di citare l'opinione dell'Aprosio. Tutto qui. D'altronde, risulta poco credibile che l'esito "cubbia" = coppia sia un prestito dal piemontese.
Potrei comprendere per un attrezzo della vinificazione o un termine relativo all'allevamento bovino, attività da sempre meno praticate in Liguria. Ma il concetto della diade non ha bisogno dell'assetto mentale piemontese... Risulta universale... Inoltre, l'evitamento della collisione con "cuggia" potrebbe avere la sua validità.

Non vorrei aprire una discussione "infinita" sulle derivazioni di "macla", "vetlu", "oclu" & c. L'unica osservazione che mi permetto di effettuare è che, ovviamente, non si tratta di processi lineari. Mi riferisco alla Liguria e intendo dire che non si tratta di un'unica linea evolutiva sulla quale alcune forme possono essere considerate come esiti più arcaici rispetto ad altre. Si sono, in realtà, avute - a seconda delle rispettive varietà dialettali - anche linee evolutive parallele a partire da un unico capostipite - la voce etimologica -.

Tornando a magurà, ho riscontrato sul Vocabolario della crusca il verbo maculare,ma, a parte il fatto che non ne conosco l'effettiva vitalità attuale e la precisa estensione semantica, non è ipotizzabile quale origine per il verbo ligure. Come si ebbe geminazione - per evitare la sonorizzazione - in spetacculu, miracculu e pericculu, si sarebbe avuto maccurâ. Conta tanto l'accento primario quanto quello secondario.
Ma da maccurâ non può derivare magurà né il genovese maguâ - l'esito sarebbe macuâ -.
Risulta, quindi, difficile ipotizzare alternative ragionevoli rispetto all'ipotesi di un prestito. A meno di non rifiutare quanto risulta consolidato nella linguistica italiana. E, personalmente, non desidererei farlo.
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u merlu rucà
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Intervento di u merlu rucà »

Io ho proposto una possibile ricostruzione per spiegare l'esito apparentemente non regolare di macia. Per cubia non trovo una possibile spiegazione, se non quella di un prestito da un dialetto settentrionale, al limite anche il piemontese, partendo dall'idea di qualcosa tipo coppia di buoi. Resta da spiegare anche veciu del ventimigliese, pure lui apparentemente irregolare. Per quanto riguarda maguřà, non capisco perché si debba rifiutare a priori l'esistenza di una forma maculare e ammettere solo maclare, considerato che esistevano forme come formicula > furmiguřa.
Largu de farina e strentu de brenu.
GBGaribaldi
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Contesto italiano e contesto iberico

Intervento di GBGaribaldi »

u merlu rucà ha scritto:
Perché non si ebbe il "regolare" esito cuggia? Evidentemente, per evitare la collisione col termine "tabù" cuggia = testicolo. E le coppie rimasero cubbie, non cugge, termine sottoposto a "tabù".
In effetti non saprei, nei dialetti occidentali, dato che testicolo si dice cuglia e non cugia, quindi nessuna omofonia.

Per quanto riguarda l'eventuale prestito dal catalano di maguâ/magurà,
anche ammettendolo, non cambia nulla per l'origine. Ecco cosa riporta il dirae: (Diccionario Inverso de la Real Academia Española)

magular.
(Del lat. maculāre, manchar, tocar).
1. tr. desus. magullar.

magullar.
(De magular, quizá por cruce con abollar).
1. tr. Causar a un tejido orgánico contusión, pero no herida, comprimiéndolo o golpeándolo violentamente. U. t. c. prnl.

manchar1.
(Del lat. maculāre).
1. tr. Poner sucio algo, haciéndole perder en alguna de sus partes el color que tenía. U. t. c. prnl.
2. tr. Deslustrar la buena fama de una persona, familia o linaje. U. t. c. prnl.
3. tr. Pint. Ir metiendo las masas de claro y oscuro antes de unirlas y empastarlas.
Come non cambia nulla? Cambia, cambia. S'è discusso finora di una questione di metodo.
Scientificamente - e l'ho già scritto - fa una grande differenza sostenere una derivazione diretta, popolare
da *macula in Liguria o nel territorio della penisola - che è semplicemente impossibile -
e ipotizzarla, invece, per il mondo iberico in merito al quale valgono modalità di derivazione differenti.

Siamo, forse, di fronte a una nuova teoria che c'imporrebbe di riscrivere paragrafi e capitoli di libri sulla lingua italiana derubricando dal concetto di prestito linguistico innumerevoli francesismi, provenzalismi, ispanismi e, perfino, anglicismi - quale, ad es., "media" - solo perché, in fondo, si risale sempre al solito latino?

Concetto davvero bizzarro!

Allora i prestiti non avrebbero più alcuna importanza linguistica?

Tutti gli studiosi hanno sempre sbagliato a occuparsene?

Meglio saperlo, una buona volta!

Questo corrisponde all'osservazione notturna dei gatti: sono tutti grigi!

O alla citazione dei filosofi tedeschi relativa a questa tipologia di "teorie":
"la notte in cui tutte le vacche sono nere"!

Non sembra proprio un grande argomento.

Certo che, nel mondo iberico, nella maggioranza dei casi si ritrovano etimi latini. Ma derivati diversamente!

Fino a poco tempo fa a Genova i vecchi popolani dicevano diccia per fortuna e desdiccia per sfortuna. Certo, derivate da dicta.

Ma erano prestiti dal castigliano. La transizione evolutiva che condusse a dicha è del castigliano. In genovese si dice dita e questa è stata l'evoluzione locale a partire da dicta, non dicha!

La voce dicha ebbe tutt'altra vicenda rispetto a dita. Nacque altrove.
Proprio come l'ebbe la voce magurà - nata altrove - rispetto alla "domestica" macià. Saperle distinguere è importante.

Non si deve, per non dover notare l'imperfezione di un autore,
che lui stesso scrisse di verificare con molta accuratezza denotandola con un simbolo apposito - un circoletto -, necessariamente invocare la teoria di "fare di tutt'erba un fascio".

Non c'è mai la necessità di "difendere" nulla né nessuno - soprattutto quando si tratta di assunti palesemente inaccettabili . E' sempre prioritario tentare di capire con la nostra testa, anche se sono in molti a seguire un'impostazione diversa.

Sostenere che, tanto, alla fine, tutto è lo stesso può suonare derisorio per chi prende queste cose sul serio - anche se nessuno più le considera tali - e desidererebbe, invece, poter soltanto capire.

Torno su maccia. Non è che l'ho pensato io - il che non conta -. E' anche l'opinione dell'Aprosio.

Non conterà neppure la sua, ma è - per altro - anche l'opinione dell'Ascoli.

Ho riscontrato, infatti, che questo era anche il pensiero dell'Ascoli - non un vecchietto della bocciofila -, che - nel merito - non avevo ancora letto: "Un esemplare classico in cui veramente si continua, pur nel ligure, lo -kj- di fase anteriore, ci offre ć: genov. maćća (mil. maǵǵa) macchia e maća pur nel sanremese, allato a ureja ecc.; maǵǵa all'incontro - all'opposto, N. d. R., cioè mia -, e rispettivamente maja, essendo la risposta ligure dell'altro continuatore di "macla", cioè dell'italiano maglia."

Certo, la sintassi è ottocentesca, ma il concetto chiaro. Risulta certamente più elegante scrivere - come fa l'Ascoli - "macla". Ma ho voluto scrivere macla per sottolineare il concetto e anche l'Ascoli, il padre della dialettologia italiana, afferma esplicitamente che derivazioni dirette - e non prestiti - da macula in Italia non risultano ammissibili.

La possibilità - da parte della "coscienza collettiva" e della norma elaborata - di evitare collisioni potrebbe benissimo applicarsi anche alla coppia genovese cubbia = coppia / cuggia = testicolo.

So bene che a Ventimiglia si diceva cuglia e - altrove - cuja. Ma ciò non autorizza necessariamente a ritenere cubia un piemontesismo.

Gli autori si guardano bene dall'illustrare la derivazione - in Liguria - di -kl-, -bl- e -pl-.

Personalmente, non conosco neppure autori che ne effettuino una trattazione ragionata per quanto riguarda il fiorentino, cioè l'italiano.

M'interesserebbe in sé, ma anche per prendere spunti per la Liguria.

Anche Ventimiglia, ad es., ha giancu ['ʤaɳku] = bianco. A che cosa dobbiamo pensare?
A un ['bʎaɳku] in cui ʎ>ʤ mentre, in altre occorrenze, ʎ è rimasto tale?
A Genova ʎ>ʤ sempre. O la derivazione va ipotizzata in una modalità ancora diversa? Chi lo sa?

Ho letto di un esito residuale ['bʤaɳk] ancora testimoniato per parlate arcaiche dei Grigioni. Costituisce un esito in qualche modo assimilabile?
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u merlu rucà
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Intervento di u merlu rucà »

Mi permetto di chiederle perché derivazioni popolari da macula/maculare sono impossibili in Liguria e possibili nella penisola iberica?
Per quanto riguarda i pareri di Aprosio e Ascoli, viene da chiedersi perché solo macla ha dato un esito diverso da quello regolare.
Largu de farina e strentu de brenu.
GBGaribaldi
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Ricercare spiegazioni convincenti (nessun autore è un dogma)

Intervento di GBGaribaldi »

u merlu rucà ha scritto:Mi permetto di chiederle perché derivazioni popolari da macula/maculare sono impossibili in Liguria e possibili nella penisola iberica?
Per quanto riguarda i pareri di Aprosio e Ascoli, viene da chiedersi perché solo macla ha dato un esito diverso da quello regolare.
Approfitto per correggere un mio errore.

La citazione era: "lat. macula - anziché *macla, N. d. R., cioè mia - dovrebbe dare maggia, maccia indica la fase più remota del passaggio, per evitare la confusione con maggia "maglia".

La citazione era stata riportata correttamente, ma, essendo l'opera dell'Aprosio, a lui l'avevo attribuita poco pratico quale sono delle modalità di "citazione" - a dire il vero un po' criptiche - di questo autore.

L'affermazione è, invece, di Giovanni Flechia. Fu professore di sanscrito a Torino nell' '800 e uno dei più eminenti studiosi del genovese antico.

E' per questo che ci tenevo a correggere una mia svista.

L'Ascoli e il Flechia non sono affatto due studiosi qualsiasi . . . per quanto concerne il dialetto genovese.

Uno potrebbe anche aver "preso" dall'altro, ma - comunque - ciò implica che due autori di quel calibro ritenevano valida la spiegazione.

E non è tanto poco.

La spiegazione risulta chiara: "per evitare una collisione". Nessuno è obbligato a crederci, però - almeno, scientificamente - occorre riuscire a formulare un'ipotesi alternativa più convincente.

In merito al mondo iberico lei mi attribuisce quanto non ho detto.

Non sono un italianista né un dialettologo né - men che meno - un ispanista. Ho solo detto un'ovvietà e cioè che - in genere - le modalità di derivazione di quel contesto linguistico possono essere differenti da quelle dell'universo delle varietà dialettali italiane. Tutto qui.

Il fatto che - nelle "province" linguistiche - possano permanere forme linguistiche più arcaiche rispetto al centro "innovatore" - macula rispetto a macla, ad es. -
e realizzarsi modalità di derivazione diverse è principio linguistico noto, ma non ho la competenza adeguata per trarne le conseguenze specifiche in quel contesto linguistico.

Per altro, che magoa o altro di simile non possa derivare da *macla mi pare ovvio.

Inoltre, non essendo assolutamente magurà un termine dotto - gli italianismi quali spetacculu, miracculu, pericculu et c. mantennero l' -l-, "irregolare" nei dialetti liguri -, risulta altamente illogico ipotizzare solo per Ventimiglia un esito bifido - macià e magurà -. Ad es., le voci maculare e maculato della Crusca sono chiaramente termini di derivazione dotta - non sto parlando dell'uso -. Identicamente negli altri dialetti italiani.

Poi, se tutto si riduce a difendere a oltranza ciò che ha scritto l'Azaretti - il quale, per altro, consigliò, lui stesso, estrema cautela nei confronti di questo tipo di etimologie -
contro ogni evidenza della linguistica italiana ricercando giustificazioni "creative", liberi tutti . . .

A me non preme di difendere nessuno, ma - men che meno - m'interessa sovvertire la linguistica e la dialettologia italiana con ipotesi strampalate
escogitate al solo fine di giustificare un caso singolo che si spiega benissimo - come molte altre voci - quale prestito o sostenere - contro ogni evidenza -
l'ipotesi formulata da un singolo autore il cui testo dovrebbe essere considerato una specie di dogma indiscutibile.

Mentre è l'autore stesso a negare decisamente codesta interpretazione "dogmatica" della sua opera.

Mi permetto di farle notare che non ha risposto sul fatto - più interessante di queste diatribe - della derivazione dai rispettivi etimi di voci dialettali quali giancu - in questo caso, *blank - et c..

Non è che io ne faccia carico a lei. Lei può anche riferire - se ritiene - che non ci sono dati disponibili perché gli autori non ne trattano.
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u merlu rucà
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Intervento di u merlu rucà »

L'eventuale esistenza di una forma macula in ligure può essere supportata dall'esistenza di altre forme che presentano -cul-, in cui la vocale atona non cade (formicula > furmìguřa, verrucula > brüguřa).
L'esito 'arcaico' macia fermato nel tempo, per evitare un'omofonia che in buona parte della Liguria occidentale non esiste, non spiega niente. Tra l'altro definire arcaico/antico un esito -kl- > ʧ in posizione interna non attestato, che io sappia, mi sembra vagare sulle sabbie mobili. Nel ligure la documentazione riporta -kl- >ʎ per l'occidente e > ʤ per il genovese. Macia esiste in tutta la Liguria, la spiegazione deve essere valida dappertutto. Quella che ho fornito io permette di definire macia come esito regolare.
Per quanto concerne i gruppi iniziali pl-bl-kl, la palatalizzazione estrema è la regola in quasi tutta la Liguria, con eccezioni nella zona appenninica nella Liguria orientale (arcaismo o influenza dei dialetti confinanti?). La documentazione storica presenta compattamente il mantenimento dei gruppi iniziali fino all'XI secolo, mentre dal XII cominciano ad apparire le palatalizzazioni estreme, senza una vera e propria tappa intermedia (cioè la fase dell'italiano attuale). Credo che nessuno (potrei sbagliare) si sia posto il problema di quando possa essere avvenuta questa evoluzione. Se si esaminano i prestiti germanici, possiamo essere abbastanza sicuri che la palatalizzazione non è iniziata prima del IX secolo, dato che i prestiti dal franco, i più tardivi, hanno partecipato all'evoluzione (blao > giàgiu "smorto, sbiadito"; giava "biada" < lat. mediev. blada, plur. collettivo di bladum «prodotto dei campi», voce di origine franca; Treccani in linea) cosa che non sarebbe avvenuta se il fenomeno si fosse già esaurito. Infatti i prestiti più recenti dal
francese, per esempio, mantengono il gruppo consonantico: plenta "battiscopa", plafùn "soffitto".
Largu de farina e strentu de brenu.
GBGaribaldi
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Dialettologia ligure

Intervento di GBGaribaldi »

u merlu rucà ha scritto:L'eventuale esistenza di una forma macula in ligure può essere supportata dall'esistenza di altre forme che presentano -cul-, in cui la vocale atona non cade (formicula > furmìguřa, verrucula > brüguřa).
L'esito 'arcaico' macia fermato nel tempo, per evitare un'omofonia che in buona parte della Liguria occidentale non esiste, non spiega niente. Tra l'altro definire arcaico/antico un esito -kl- > ʧ in posizione interna non attestato, che io sappia, mi sembra vagare sulle sabbie mobili. Nel ligure la documentazione riporta -kl- >ʎ per l'occidente e > ʤ per il genovese. Macia esiste in tutta la Liguria, la spiegazione deve essere valida dappertutto. Quella che ho fornito io permette di definire macia come esito regolare.
Per quanto concerne i gruppi iniziali pl-bl-kl, la palatalizzazione estrema è la regola in quasi tutta la Liguria, con eccezioni nella zona appenninica nella Liguria orientale (arcaismo o influenza dei dialetti confinanti?). La documentazione storica presenta compattamente il mantenimento dei gruppi iniziali fino all'XI secolo, mentre dal XII cominciano ad apparire le palatalizzazioni estreme, senza una vera e propria tappa intermedia (cioè la fase dell'italiano attuale). Credo che nessuno (potrei sbagliare) si sia posto il problema di quando possa essere avvenuta questa evoluzione. Se si esaminano i prestiti germanici, possiamo essere abbastanza sicuri che la palatalizzazione non è iniziata prima del IX secolo, dato che i prestiti dal franco, i più tardivi, hanno partecipato all'evoluzione (blao > giàgiu "smorto, sbiadito"; giava "biada" < lat. mediev. blada, plur. collettivo di bladum «prodotto dei campi», voce di origine franca; Treccani in linea) cosa che non sarebbe avvenuta se il fenomeno si fosse già esaurito. Infatti i prestiti più recenti dal
francese, per esempio, mantengono il gruppo consonantico: plenta "battiscopa", plafùn "soffitto".
La ringrazio per la risposta sugli esiti liguri. Quindi, anche lei mi conferma che nessun autore chiarisce i passaggi intermedi da - kl - (che dovrà ben essere passato a - kʎ -) a - ʤ - né i corrispondenti intemeli. Né gli autori hanno tentato confronti con esiti "alpini". Risulta molto insoddisfacente, ma - evidentemente - non si sono mai sentiti sicuri di poter formulare alcunchè. Peccato davvero che gli studi sui dialetti liguri si siano arenati sul banale folclore e gli autori non riescano a formulare alcuna ipotesi genetica in merito ai fenomeni fonetici più caratteristici. Capisco quanto lei scrive, ma pare che - implicitamente - si sia assunto - ʧ - quale stadio precedente a - ʤ -, che non ne sarebbe che la sonorizzazione. O - forse? - ʧ - potrebbe rappresentare - in genovese - un possibile esito parallelo per evitare la collisione? L'evitamento della collisione - mediante il ricorso a esiti "anteriori" o "paralleli" - sembrerebbe l'unica spiegazione valida. Le altre - francamente - non possono risultare credibili. L'ipotesi di Graziadio Isaia Ascoli, padre della dialettologia italiana, - condivisa dal Flechia - spiega coppie quali cubbia e cuggia e maccia e maggia (coppia/testicolo & macchia/maglia) come determinate dall'evitamento della collisione cui gli esiti regolari - al posto degli "irregolari" cubbia e maccia - avrebbero condotto. Si potrebbe spiegare così anche il veciu, esito "irregolare"di Ventimiglia, che non avrebbe motivo di essere se non per evitare la collisione di vecchia = vecia anziché veglia con la veglia = riunione intorno al fuoco dell'epoca dei trisavoli. E' lei stesso quindi, a portare acqua al mulino di questi autori. Magari non credendo all'ipotesi dell'evitamento, ha però "dimostrato" la possibilità dell'esito - ʧ - (ad es., macia) in territorio di - ʎ -(ögliu)! Che è quanto sostengono gli autori anche se esemplificano relativamente al caso di - ʧ - (come in maccia) nel territorio di - ʤ - (come in öggiu, esito genovese) - il differenziale è lo stesso -. Non possono essere tutti piemontesismi. E senza ragione! Una mente intemelia articola benissimo il concetto di diade e d'invecchiamento! Che bisogno ci sarebbe mai stato di assumere concetti tali dal Piemonte? Il discorso non sta assolutamente in piedi. Diverso potrebbe essere stato per un termine specifico della cultura materiale! Non ho nessuna intenzione di proseguire sulla polemica relativa a maccia & c.. Osservo solo - a beneficio di chi potesse avere un minimale residuo interesse sugli esiti liguri - che sostenere una derivazione diretta per il verbo ventimigliese magurà - che dimostrai essere esistito anche a Genova e a Savona - implicherebbe "credere" che a Ventimiglia possano essere mai esistite le forme veduru per vecchio (<vetulu), öguru per occhio (<oculu), sedura per secchia (<situla) e altre simili che non riferisco perché non risultano d'immediata comprensione per chi non conosce i dialetti liguri. Ma queste forme non sono mai esistite a Ventimiglia così come la dialettologia non ha mai riscontrato forme analoghe - vètolo & c. - in nessuna parlata italiana. A Ventimiglia esistono veciu = vecchio, ögliu = occhio e seglia = secchia oltre a macia = macchia &c.. Tutti esiti perfettamente conformi alla dialettologia ligure e a quella italiana cui la prima appartiene. Inoltre, mentre esiste la coppia macia = macchia e macià = macchiare, andrebbe posta attenzione sul fatto che al verbo magurà non corrisponde né ha mai corrisposto il sostantivo *màgura* - inesistente -. E ciò dovrebbe allertare le meningi. Il percorso definibile quale dialettale ebbe come genitori diretti forme quali vetlu, non del tipo di vetulu & c., già "eliminate" dal percorso evolutivo - i veri diminutivi rappresentano un discorso diverso -. Altrimenti, ciò implicherebbe il fatto che eminenti studiosi per più di due secoli non abbiano capito nulla e che tutti gli atlanti linguistici siano sbagliati! Quando un esito - quale, ad es., il verbo magurà - non segue le "regole" di derivazione del dominio linguistico di appartenenza (nello specifico quello ligure, ma - in generale - quello italiano), mentre in loco già esiste un altro esito - l' "autoctono" macia -, e non possiede il sostantivo corrispondente - *màgura* -, risulta d'immediata correttezza metodologia ipotizzare - non sto scrivendo "imporre" - un prestito linguistico. E' così che s'individuano i prestiti linguistici. E come altrimenti? L'aspetto relativo alla mancanza del sostantivo corrispondente rimanda alla gestione del campo semantico e risulta quasi più importante delle analisi fonetiche. Esiste - al contrario - perfetta corrispondenza semantica e fonetica tra macià = macchiare e il sostantivo macia = macchia. E' caratteristico dei prestiti l'assunzione - da una lingua straniera - di uno solo dei due elementi. Altra evidenza che parla in favore di un prestito. Credere che possa essersi verificato a Ventimiglia un miracolo ingiustificato - che non è accaduto in nessun altro sito ligure o italiano - e che - in effetti - non si è mai verificato a Ventimiglia stessa per voci linguisticamente appartenenti alla stessa categoria ripugna non solo metodologicamente, ma a tutte le menti laicamente allineate al rispetto dei valori scientifici della ricerca linguistica. Questo è un discorso limpido - di portata generale - che può essere immediatamente compreso anche da chi non conosce o non risulta minimamente interessato alla dialettologia ligure.

Si può stare certi che a Ventimiglia - e nella rimanente parte della Liguria, dal momento che sono riuscito ad accertare la diffusione antica del verbo in questione - non si è mai verificata alcuna "sospensione miracolistica" delle leggi di derivazione che hanno condotto dal cosiddetto latino volgare agli idiomi dialettali.

Si è solo trattato di una proposta di etimologia improvvida proposta da un autore - un nobilissimo e colto dilettante, ma pur sempre un dilettante -,
il quale, per altro, ebbe la consapevolezza di chiarire che si sarebbe resa necessaria un'ulteriore e ben accurata verifica.

E della difesa a oltranza - a posteriori - di questa pretesa etimologia e di un inevitabile confronto che non deve, però, essere trasferito sul piano personale.

Anche perché la difesa di un assunto assurdo implica la necessità di dover ricorrere a "ipotesi difensive" ancora più "strabilianti" dell'assunto stesso:
u merlu rucà ha scritto: . . . *makkla che è regolare da *mak-tla; in pratica, rispetto all'etimo (normale) di macula da *mak-la cambia il suffisso, che invece del diminutivo *lo- (ovviamente qui al
femminile) sarebbe quello locativo-strumentale *-tlo- (anch'esso al femminile).
- ? ! ? -

Non oso commentare la citazione: *makkla ? Derivato da *maktla?
Locativo-strumentale *tlo !!

Non stiamo trattando di varietà linguistiche finniche !!

La realtà è molto più semplice!

Purtroppo, va anche detto che il campo delle etimologie permane tuttora - e non soltanto ad opera dei dilettanti - uno dei meno dotati di affidabilità nell'ambito della linguistica. Non è infrequente che gli autori "confondano" una seria indagine etimologica con accozzamenti vari di suoni, cioè assonanze, non etimologie. Invocando spesso lingue e varietà dialettali di cui non conoscono letteralmente nulla. E non tenendo conto dei vincoli che lo stesso edificio linguistico è riuscito a costruire. Se questo può anche creare qualche appassionato, provoca in altri indignazione.
Perché si tratta - in definitiva - di una regressione, per quanto io non voglia ritenerla consapevole, a una situazione "prescientifica" della linguistica. In un mondo in cui le scienze e le loro applicazioni si avvalgono proprio dei "vincoli del problema" per poter riuscire a identificarne la soluzione specifica.
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