«Whitewashing»

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Teo
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«Whitewashing»

Intervento di Teo »

https://it.wikipedia.org/wiki/Whitewashing

Il whitewashing è una pratica dell'industria cinematografica in cui un attore bianco ottiene il ruolo di un personaggio storicamente di un'altra etnia col fine di renderlo più appetibile al grande pubblico.

Cfr. anche: https://en.wikipedia.org/wiki/Whitewashing_in_film

E whitewashing nel senso della censura:
https://en.wikipedia.org/wiki/Whitewashing_(censorship)

Ovviamente c'è anche il blackwashing:
https://en.wiktionary.org/wiki/blackwashing

Mi domando però quanto queste espressioni siano penetrate in italiano. A occhio, molto poco, sicché non so se valga la pena di proporre dei traducenti opportuni.
Teo Orlando
Avatara utente
G. M.
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Re: «Whitewashing»

Intervento di G. M. »

Teo ha scritto: mer, 26 ott 2016 4:49 Mi domando però quanto queste espressioni siano penetrate in italiano. A occhio, molto poco, sicché non so se valga la pena di proporre dei traducenti opportuni.
Ultimamente, vista la diffusione "sistematica" del blackwashing nelle produzioni cinematografiche statunitensi nel campo del fantastico (col consueto strascico di polemiche), mi trovo spesso a discutere di questo concetto con gli amici, e per indicarlo mi viene difficile evitare l'anglicismo.

Whitewashing al momento sembra reso, nelle lingue sorelle, con parole simili alla nostra sbiancamento: spagnolo blanqueamiento, portoghese embranquecimento, catalano blanquejament.

Mi chiedo se, come abbiamo avuto lavaggio del cervello (e analogamente nelle lingue sorelle: spagnolo lavado de cerebro, francese lavage de cerveau, portoghese lavagem cerebral) calcando l'inglese brain washing (a sua volta calco del cinese trad.洗腦 / sempl.洗脑 xǐnǎo), tutti questi -washing non possano essere resi con locuzioni della forma "lavaggio/lavare + qualcosa", secondo uno schema ripetibile (invento: lavare in bianco, lavaggio in nero, ecc.).

Noto inoltre uno slittamento semantico: dove il whitewashing veniva indicato nei filmi più vecchi, mi pare che esso consistesse in molti casi nell'avere attori bianchi che si truccavano per impersonare fenotipi (?) differenti, ovvero era bianco l'attore ma non il personaggio; nel caso del blackwashing odierno, invece, non c'è alcun trucco o travestimento, e si fa diventare nero direttamente il fenotipo del personaggio nel mondo fittizio raccontato dall'opera.
brg
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Iscritto in data: mer, 12 gen 2022 20:53

Re: «Whitewashing»

Intervento di brg »

G. M. ha scritto: mer, 14 set 2022 18:58 Mi chiedo se, come abbiamo avuto lavaggio del cervello (e analogamente nelle lingue sorelle: spagnolo lavado de cerebro, francese lavage de cerveau, portoghese lavagem cerebral) calcando l'inglese brain washing (a sua volta calco del cinese trad.洗腦 / sempl.洗脑 xǐnǎo), tutti questi -washing non possano essere resi con locuzioni della forma "lavaggio/lavare + qualcosa", secondo uno schema ripetibile (invento: lavare in bianco, lavaggio in nero, ecc.).
Non mi pare una soluzione acconcia in quanto, come ho già avuto modo di accennare nella discussione per "greenwashing", qui il lavaggio non c'entra. Dice il Merriam-Webster, alla voce "wash":
7
  1. to cover or daub lightly with or as if with an application of a thin liquid (such as whitewash or varnish)
  2. to depict or paint by a broad sweep of thin color with a brush
---
G. M. ha scritto: mer, 14 set 2022 18:58 Noto inoltre uno slittamento semantico: dove il whitewashing veniva indicato nei filmi più vecchi, mi pare che esso consistesse in molti casi nell'avere attori bianchi che si truccavano per impersonare fenotipi (?) differenti, ovvero era bianco l'attore ma non il personaggio; nel caso del blackwashing odierno, invece, non c'è alcun trucco o travestimento, e si fa diventare nero direttamente il fenotipo del personaggio nel mondo fittizio raccontato dall'opera.
Non è uno slittamento, è proprio tutta un'altra cosa.
È chiaro che "whitewashing" è una di quelle parole mal definite e peggio ancora interpretate, che si prestano ad essere usate solamente in un linguaggio che comunica sul piano emotivo, la celeberrima "pancia", e mai su quello intellettivo. Non vorrei passare per borioso, ma ritorno ancora su quanto avevo già scritto nel filone di "kinkshaming".

Ora mi pare che il punto sia che il cosiddetto "whitewashing", cioè l'impiego di attori europoidi per interpretare personaggi non europei, si verifichi per due ragioni principali: la prima è la mancanza di attori della razza adatta, cosa vera soprattutto in passato ed in alcuni casi inevitabile, la seconda sono le ragioni di "botteghino", ovvero la tendenza ad impiegare attori che abbiano molto richiamo sul pubblico. Io personalmente non vedo niente di fondamentalmente sbagliato in nessuna delle due ragioni, d'altra parte il mestiere dell'attore consiste proprio nell'interpretare qualcun altro. Anzi, l'attore è necessariamente qualcun altro rispetto al personaggio. A parer mio, insomma, l'accusa di "whitewashing" basa molta della sua carica di indignazione su una visione distorta di ciò che è la recitazione, ricollegandola con un altro concetto, per me quasi completamente aberrante, che è l'"appropriazione culturale".
Quello che ella chiama "blackwashing", termine che mi pare tutt'altro che accettato, è un tentativo politicizzato di riequilibrare i presunti danni di questa supposta "appropriazione culturale" riducendo lo spazio agli attori europoidi a favore di quelli di razze "svantaggiate". È sostanzialmente l'applicazione dell'affirmative action, cioè dell'uso di quote rosa, nere, arcobaleno, al cinema. Il suo occhio è stato colto dal nero, ma se aguzza la vista vedrà che il mondo dell'intrattenimento americano, in primis, anglosassone, in secundis, e poi l'europeo occidentale tutto applica con regola rigorosa un sistema di quote rosa, nere, arcobaleno e via discorrendo.
Va detto che, dove finisca la propaganda politica ed inizi la propaganda commerciale, nessuno è in grado di dirlo. L'inclusività è (anche) una moda e come tale l'industria dell'intrattenimento evidentemente la tratta. Sotto questo aspetto quindi si può fare un parallelo tra il "suo" "blackwashing" ed il "whitewashing" motivato dalla seconda ragione che ho presentato: entrambi hanno motivazioni commerciali. Come ella ha notato, però, si manifestano in maniera differente. Ciò deriva dalle differenti ragioni per cui i due fenomeni promettono il successo commerciale: nel caso del "whitewashing" il successo commerciale è assicurato dalle capacità interpretative o dall'avvenenza dell'attore e comunque dalla sua popolarità, che vengono trasferite al personaggio, nel secondo caso dall'appartenenza a questa o quell'altra categoria, caratteristica che non può essere trasferita al personaggio senza cambiarlo. Perciò nel primo caso si trucca l'attore per immergerlo nel ruolo; nel secondo caso ci si bada bene dal farlo, ché ciò andrebbe a sminuire la carica identitaria che è la ragione prima per cui quell'attore è stato scritturato.

Mi scuso per la lunghezza delle argomentazioni da me presentate, ma, per farvi tirare un sospiro di sollievo, vi assicuro che avrei potuto scrivere dieci volte tanto...

P.S. fenotipo e razza non sono per niente intercambiabili, a meno di non voler semplificare oltre il lecito e l'opportuno la questione.
Luke Atreides
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Iscritto in data: gio, 16 dic 2021 23:26

Re: «Whitewashing»

Intervento di Luke Atreides »

Forse meglio questo traducente: scambio etnico, no?
domna charola
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Iscritto in data: ven, 13 apr 2012 9:09

Re: «Whitewashing»

Intervento di domna charola »

Che sia commerciale, non vi è dubbio, almeno in senso lato. Che debba essere sempre stigmatizzato per questo, è un altro discorso.
Fuori tema
Di fatto, gli improbabili attori bianchi in ruoli di altra etnia, nelle pellicole del passato, nascono non tanto dalla disponibilità di grandi attori solo fra i bianchi, ma dal desiderio/necessità del pubblico di identificarsi con l'eroe.
Un racconto "vende" se, mentre lo guardo, mi consente di staccare dal quotidiano, di uscire per un'ora dai miei panni del paperino sfigato per immedesimarmi in una storia e in un'ambientazione luminosa.

Per immedesimarsi, il protagonista deve avere in sé all'ennesima potenza le caratteristiche che sono considerate il massimo nella scala dei valori del momento.
Alto, biondo e con gli occhi azzurri è lo stereotipo della "razza ariana", nato non a caso in un periodo in cui ideologicamente iniziavano a formarsi i germi di quella che poi sarebbe stata una teoria anche politica.
E' rimasto nelle favolo per lungo tempo, anche se nel cinema passati questi venti, si è sdoganata definitivamente qualsiasi sfumatura di pelo, sempre però su fondo bianco.
Se si fosse ammirato l'eroe nero, o giallo, o rosso, il cinema avrebbe allevato una schiera di grandi attori di quelle etnie, ovvero, li avrebbe lasciati emergere, in mezzo a un numero maggiore di aspiranti, richiamati dalla possibilità di fare carriera. Il fatto che tutti i grandi attori dell'epoca fossero chiari, è solo il risultato delle tendenze di mercato. Se l'attore colorato avesse venduto, le scuole di recitazione avrebbero sfornato il prodotto giusto in quantità e tempi congrui.

Di contro, l'immedesimazione in uno stereotipo è un fenomeno che si autoalimenta: sinché il cinema propone una certa immagine di successo, di vincitore, essa sarà percepita come il "modello inarrivabile" a cui tendere - o in virtù del quale sentirsi irrimediabilmente frustrati - elemento questo che si presta sempre anche a un uso politico, al veicolare un'ideologia, oltre che a trainare i consumi nel caso dei beni materiali legati all'eroe di turno.

Si tratta di un quadro complesso quindi, e non completamente sovrapponibile all'opposto fenomeno attuale, del proliferare di pellicole multietniche.
Il dato di fatto è che il pubblico, o meglio, il bersaglio dei venditori, è cambiato. Una pellicola, e tutti gli oggetti da essa trainati, hanno come acquirenti realmente un pubblico multietnico, che per sentirsi gratificato e abboccare all'amo del "commerciale" deve potersi identificare.
E' comunque diverso dalle quote rosa. Le quote rosa postulano l'equivalenza fra essere donna e essere capace di svolgere un determinato ruolo nel mondo reale, senza tenere conto che su cento donne e cinque uomini, può essere che l'unico in grado di governare/operare/fare qualcosa sia uno dei pochi uomini presenti. Cioè, si pretende di infilare una percentuale di persone in base al genere, in un campo in cui la scelta viene normalmente operata in base alle competenze, che sì, sono equamente distribuite - in potenza - fra i generi, ma che non è detto che siano presenti al momento della scelta fra i candidati in eguale proporzione.

Viceversa, una pellicola si rivolge a tutti quelli che possono guardarla, postulando che essi entrino per un breve periodo nello spazio dell'irrealtà, che stiano al gioco. E nel non-reale, tutti possono sognare di divenire re, papa, grande chirurgo o donna fatale. Quindi, se la platea è fatta di bianchi, neri e gialli in varia proporzione - e questo sarà sempre più il dato di fatto, oggettivo, con cui confrontarsi - nel mucchio dei coprotagonisti deve esserci la rappresentanza di ognuno di questi gruppi etnici, altrimenti si perde una fetta di spettatori, e anche di mercato.
I bambini neri che guardavano i vecchi filmati di Disney ricevevano il messaggio negativo di non poter mai divenire/essere l'eroe della storia; i bambini neri di oggi finalmente potranno identificarsi per un momento nei personaggi più fantastici, persino immaginare di avere una coda di pesce, e questo è un messaggio positivo, dato che esistono, sono integrati nel nostro mondo - che, per inciso, ai tempi se li è portati a casa, almeno per quanto riguarda l'America - e quindi hanno diritto anche loro alla loro fetta di fiabe, sogni, fantasia.

Per questo
...guardo con sospetto tutte le insofferenze verso i nuovi eroi colorati: perché nascondono spesso una voglia di girarsi indietro verso il passato, anziché riconoscere che il mondo è cambiato e che siamo tutti una variopinta unica umanità. E' giusto adattare la narrazione fantastica al pubblico che ne fruirà di volta in volta, insomma, senza insensate accuse di "blackwashing" per questo.
Ben diverso è l'altro fenomeno, per cui Aida e Cleopatra divenivano candide e cotonate, mentre per Otello si tirava fuori il lucido da scarpe, essendo lui il "cattivo" della situazione...
Avatara utente
Carnby
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Re: «Whitewashing»

Intervento di Carnby »

domna charola ha scritto: gio, 15 set 2022 9:40 Ben diverso è l'altro fenomeno, per cui Aida e Cleopatra divenivano candide e cotonate, mentre per Otello si tirava fuori il lucido da scarpe, essendo lui il "cattivo" della situazione...
Fuori tema
Ma non è in fondo un po' la stessa cosa? Nel senso: avete voluto il melting pot? Ora ve lo beccate con tutte le conseguenze del caso. Differente sarebbe il caso di un filmetto ambientato negli anni ’50 in un paesino toscano con neri e cinesi, quando nessuno qui li aveva mai visti. C’è da dire comunque che gli abitanti, dalle foto in bianco e nero, erano tutti piuttosto «abbronzati» per gli standari americani, quindi avrebbero dovuto «nigrizzarli» almeno un po’ (che ne so, facendoli interpretare da attori ebrei o di origine mediorientale).
Tornando in tema, nigrizzazione mi pare acconcio, così come bianchizzazione, mentre sbiancamento mi dà più l’idea di qualcosa di odontoiatrico.
brg
Interventi: 488
Iscritto in data: mer, 12 gen 2022 20:53

Re: «Whitewashing»

Intervento di brg »

Non volevo alimentare troppo i fuori tema, per questo io ho cercato di limitare le mie considerazioni a ciò che fosse più strettamente attinente alla definizione dei vari fenomeni. Rimango dell'idea che parlare di "quote" sia la soluzione migliore, tranne che per il "whitewashing", che ha origine diversa. Se qualcuno pensa che parlare di "quote" in questo contesto possa essere offensivo, si ricordi che i vari "washing" sono termini, in un certo senso, offensivi.
Fuori tema
Ora qualche rapida considerazione per inquadrare meglio alcune questioni.
domna charola ha scritto: gio, 15 set 2022 9:40 Di fatto, gli improbabili attori bianchi in ruoli di altra etnia, nelle pellicole del passato, nascono non tanto dalla disponibilità di grandi attori solo fra i bianchi, ma dal desiderio/necessità del pubblico di identificarsi con l'eroe.
Considerato che spesso il non-bianco era l'antagonista, questo mi pare un non-argomento. Poi, per inciso, l'eroe è quasi sempre europeo, perché il racconto o l'immaginario da cui è tratto è europeo, non per qualche congiura particolare. Detto ciò, non è che Cristopher Lee interpretava il cattivissimo cinese Fu-Manchu o il faraone della mummia, non è che Sean Connery faceva l'emiro marocchino perché la gente voleva immedesimarsi con un mafioso cinese o con un pirata marocchino, peraltro intabarrati in modo da essere giusto riconoscibili. Figuriamoci! Era proprio una questione di disponibilità di attori di livello e di richiamo per quei dati ruoli. Se poi si vuole discutere delle diverse opportunità di diventare attore, quello è un altro discorso, che non cambia il problema della disponibilità.
domna charola ha scritto: gio, 15 set 2022 9:40 Se si fosse ammirato l'eroe nero, o giallo, o rosso, il cinema avrebbe allevato una schiera di grandi attori di quelle etnie, ovvero, li avrebbe lasciati emergere, in mezzo a un numero maggiore di aspiranti, richiamati dalla possibilità di fare carriera. Il fatto che tutti i grandi attori dell'epoca fossero chiari, è solo il risultato delle tendenze di mercato. Se l'attore colorato avesse venduto, le scuole di recitazione avrebbero sfornato il prodotto giusto in quantità e tempi congrui.
Ma in realtà, quando c'era, si è sempre usato. Nell'Italia fascista e nell'America segregrazionista spopolava il soprano Tamaki Miura nel ruolo di Cio-Cio-San della Madama Butterfly, seppure la Miura fosse riconosciuta come un soprano mediocre con una voce deboluccia. Yul Brinner, che sulla sua (presunta) origine meticcia ci ha sempre giocato, si accaparrava tutti i ruoli esotici messi a disposizione da Hollywood. Non dimentichiamo, poi, che Hollywood predilige la presa diretta, cioè non doppia tutto il doppiabile come facciamo noi, e quindi gli attori devono generalmente sapersi esprimere in inglese fluente.
domna charola ha scritto: gio, 15 set 2022 9:40 Ben diverso è l'altro fenomeno, per cui Aida e Cleopatra divenivano candide e cotonate, mentre per Otello si tirava fuori il lucido da scarpe, essendo lui il "cattivo" della situazione...
Ma Otello non è il cattivo e Cleopatra non era colorata. Cleopatra era greca, non lavorava nei campi ed usava la cipria: certo che era palliduccia! E qui ribadisco un punto che ho già espresso, ovvero che spesso è inevitabile impiegare attori di origine diversa rispetto ai personaggi: gli antichi abitanti d'Egitto non esistono più, è impossibile avere un attore o attrice che li rappresenti "fedelmente".

La differenza che trovo fondamentale tra questi fenomeni, lo ribadisco, è che in un caso si è cercato di immedesimare l'attore nel personaggio, truccandolo ed abbigliandolo a modo, negli altri si piega il personaggio all'attore. Facendo ciò si tradisce lo spirito della recitazione, che è diventare il personaggio, in nome di una rivendicazione politica dalle basi traballanti. Carmelo Bene si sarebbe sparato a vedere certa roba.
Avatara utente
G. M.
Interventi: 2265
Iscritto in data: mar, 22 nov 2016 15:54

Re: «Whitewashing»

Intervento di G. M. »

Luke Atreides ha scritto: mer, 14 set 2022 23:29 Forse meglio questo traducente: scambio etnico, no?
Non manifesta in che direzione avviene il fenomeno, che è inevitabilmente un elemento importante.
Fuori tema
Per il resto, trovo il tema interessante e mi piacerebbe discuterne, ma come già osservato andremmo purtroppo fuori fòro. In generale mi sembra di condividere diverse osservazioni di brg. Commento solo una frase di Domna Charola perché mi sembra rilevante per il punto centrale:
domna charola ha scritto: gio, 15 set 2022 9:40 [Per questo] ...guardo con sospetto tutte le insofferenze verso i nuovi eroi colorati: perché nascondono spesso una voglia di girarsi indietro verso il passato, anziché riconoscere che il mondo è cambiato e che siamo tutti una variopinta unica umanità. E' giusto adattare la narrazione fantastica al pubblico che ne fruirà di volta in volta, insomma, senza insensate accuse di "blackwashing" per questo.
Attenzione: l'elemento che definisce questo fenomeno non è l'esistenza di nuovi eroi colorati, ma il "colorare" i vecchi eroi. Per questo mi sembra strano parlare di «accuse»: il fatto è palese, tanto ai critici quanto a chi lo mette in atto, che spesso anzi lo rivendica con orgoglio come cosa giusta da fare. Magari questi non useranno proprio il termine blackwashing se in inglese ha una connotazione negativa, ma il concetto è quello.
brg ha scritto: mer, 14 set 2022 21:25 Non mi pare una soluzione acconcia in quanto, come ho già avuto modo di accennare nella discussione per "greenwashing", qui il lavaggio non c'entra. Dice il Merriam-Webster, alla voce "wash":
7
  1. to cover or daub lightly with or as if with an application of a thin liquid (such as whitewash or varnish)
  2. to depict or paint by a broad sweep of thin color with a brush
Ma lavare ha comunque un'accezione pittorica più o meno simile:
Il Vocabolario Treccani, s.v. «lavare» ha scritto:In pittura, sfumare qualche parte di un disegno ad acquerello passandovi sopra il pennello bagnato d’acqua o di colore molto diluito.
Dato l'uso metaforico (quindi senza necessità di grande precisione terminologica), mi sembra che potrebbe esprimere il concetto altrettanto bene.

Parlare di quote è una possibilità, ma rende il fatto di cambiare la razza dei personaggi un fatto implicito e non del tutto evidente. Per esempio, se dico: «Il recente adattamento di Dune ha applicato le quote etniche», o qualcosa del genere, non è chiaro se sia stata cambiata la razza di qualche personaggio dell'opera originale, o se ne siano stati introdotti di nuovi ad hoc. Inoltre, come per la proposta di Luke sopra, non rende chiaro in che direzione avviene il cambiamento.

PS. Correggo l'ultima frase: circa questo punto, ovviamente basta parlare di quote nere/bianche, ecc. Scusate la sbadataggine, sono un po' stanco. :oops:
Avatara utente
Ferdinand Bardamu
Moderatore
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Re: «Whitewashing»

Intervento di Ferdinand Bardamu »

Scusate se intervengo in qualità di moderatore, ma davvero, evitiamo tutto ciò che non è attinente al tema, perché mi pare che i fuori tema siano piú corposi della discussioni nel merito linguistico del forestierismo, e si stiano protraendo eccessivamente.
brg
Interventi: 488
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Re: «Whitewashing»

Intervento di brg »

G. M. ha scritto: gio, 15 set 2022 18:14 Ma lavare ha comunque un'accezione pittorica più o meno simile:
Il Vocabolario Treccani, s.v. «lavare» ha scritto:In pittura, sfumare qualche parte di un disegno ad acquerello passandovi sopra il pennello bagnato d’acqua o di colore molto diluito.
Dato l'uso metaforico (quindi senza necessità di grande precisione terminologica), mi sembra che potrebbe esprimere il concetto altrettanto bene.
Mi pare che ci sia almeno una differenza importante: "colour wash" significa dare una mano di pittura, mentre "lavare" indica una particolare tecnica pittorica che consiste nel diluire il colore dato. In un caso, quello inglese, si copre qualcosa di pittura, nell'altro si lasciano intravedere gli strati di colore.
Senza dimenticare una cosa che avevo già detto per "greenwashing": whitewash in inglese è specificatamente la pittura a calce. Quindi il concetto richiama l'idea dell'imbianchino che copre le pareti con una bella mano di intonachino (nello specifico: calce, cemento, sale e qualche additivo). È un'immagine ben diversa dal tipo bohémien che se ne sta sulla rive gauche a sfumare gli acquerelli di una veduta della Senna.
Fuori tema
Ferdinand Bardamu ha scritto: gio, 15 set 2022 20:31 Scusate se intervengo in qualità di moderatore, ma davvero, evitiamo tutto ciò che non è attinente al tema, perché mi pare che i fuori tema siano piú corposi della discussioni nel merito linguistico del forestierismo, e si stiano protraendo eccessivamente.
Indubbiamente, ma converrà che, senza aver deciso prima di che cosa si sta parlando, non si potrà giungere ad una denominazione condivisa. Il problema deriva dalla fumosità dell'argomento. Se si parlasse di clipper o di praho, avremmo un oggetto ben definito e pure ben connotato, ma qui si parla di "qualcosawashing", la cui stessa definizione sfugge anche a chi s'è inventato il termine.
Avatara utente
Ferdinand Bardamu
Moderatore
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Iscritto in data: mer, 21 ott 2009 14:25
Località: Legnago (Verona)

Re: «Whitewashing»

Intervento di Ferdinand Bardamu »

Fuori tema
brg ha scritto: sab, 17 set 2022 13:22[C]onverrà che, senza aver deciso prima di che cosa si sta parlando, non si potrà giungere ad una denominazione condivisa. Il problema deriva dalla fumosità dell'argomento. Se si parlasse di clipper o di praho, avremmo un oggetto ben definito e pure ben connotato, ma qui si parla di "qualcosawashing", la cui stessa definizione sfugge anche a chi s'è inventato il termine.
D’accordo, ma un conto è fornire le informazioni di contesto necessarie a trovare il traducente migliore (o a non trovarlo affatto), un altro è dilungarsi in fuori tema niente affatto attinenti al merito linguistico, che ci fanno perdere di vista il tema. Se si continua a divagare, meglio allora chiudere il filone. Il mio è un appunto che riguarda esclusivamente il modo migliore per condurre la discussione.
Quote [nere, asiatiche, LGBT, ecc.] [1] mi sembra un traducente corretto, soprattutto alla luce della recente decisione dell’Accademia delle arti e delle scienze cinematografiche d’introdurre norme volte a favorire la «diversità»:
Il New York Times ha scritto:Per rispettare le norme di rappresentanza sul grande schermo [«onscreen representation standard»], almeno uno dei protagonisti o un importante comprotagonista deve provenire da un gruppo etnico o razziale sottorappresentato: asiatico, ispanico, nero, indigeno, nativo americano, mediorientale, nordafricano, nativo delle Hawaii o di un’altra isola del Pacifico.

In alternativa, si può fare in modo che il trenta percento di tutti gli attori in ruoli secondari o minori provenga da una di queste categorie: donne, LGBTQ, gruppi razziali o etnici sottorappresentati, persone con disabilità cognitive o fisiche. Oppure la linea narrativa principale deve concentrarsi su di un gruppo sottorappresentato.
La cinematografia contemporanea molto spesso segue già queste norme, e nel realizzare un’opera tiene già conto di questo complesso equilibrio di rappresentanza.

Non mi pare, però, che il blackwashing (intendendo con black una sorta di sineddoche per tutte le cosiddette minoranze) sia dettato principalmente da ragioni commerciali. Non di rado, infatti, le pellicole o le serie televisive che scritturano attori o inventano personaggi soltanto per incasellarli in una delle suddette categorie ottengono scarsi risultati al botteghino, tanto che qualcuno ha coniato il detto «get woke, go broke», se aderisci all’ideologia «guocca» vai sul lastrico.

__________
[1] Io riassumerei in quota minoranze.
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