Dal 2014 lauree magistrali in inglese a Milano

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PersOnLine
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Intervento di PersOnLine »

Infarinato ha scritto:
PersOnLine ha scritto:(perdonate la mancanza di un aggancio puntuale, ma "l'azienda che lo ha realizzato" non cj ha pensato!)
E invece (almeno a quello :roll:), . ;)
Sì, ma se uno non sa scartabellare tra l'html come fa a trovarlo? Qui, almeno basta cliccare sull'icona dell'"Inviato".
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Infarinato
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Re: Dal 2014 lauree magistrali in inglese a Milano

Intervento di Infarinato »

Zop
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Re: Dal 2014 lauree magistrali in inglese a Milano

Intervento di Zop »

Buongiorno. Mi dispiace portare cattive nuove, ma vorrei aggiungere ciò che è accaduto dopo la "buona notizia" della pronuncia della Corte Costituzionale del 2017 che aveva sancito la possibilità di insegnare non SOLO in inglese, ma ANCHE e solo mantenendo il “primato” dell’italiano nei corsi che avrebbero dovuto essere distribuiti tra italiano e inglese secondo un principio di “ragionevolezza” e di “proporzione”. Alla luce di quanto stabilito, il Consiglio di Stato, nel rispondere all’iniziale ricorso al Tar del 2015, ha perciò nel 2018 confermato quanto espresso dalla Corte Costituzionale. Tutto sembrava finito bene, ma poiché il Politecnico di Milano ha continuato a erogare corsi prevalentemente in inglese, i professori del ricorso al Tar hanno promosso “giudizio di ottemperanza” visto che l’ateneo non aveva adempiuto a quanto indicato nella sentenza.
Purtroppo, l’ultima sentenza dell’11 novembre 2019 del Consiglio di Stato ha rigettato il loro ricorso, e ha ribaltato sia quanto decretato nel 2018 sia quanto sancito dalla Corte Costituzionale nel 2017.
Il Politecnico è perciò legittimato nella sua strada, e anche se è risultato

“che su un totale di 40 corsi di laurea magistrale 27 sono in inglese, 4 sono in italiano e 9 sono in italiano e in inglese”

e anche se

“risulta che su un totale di 1.452 insegnamenti, 1.046 sono in inglese, 400 in italiano e 6 sono duplicati in italiano e in inglese”,

cito dalla sentenza:

“In particolare, risulta un numero adeguato di corsi di lingua italiana che consente di ritenere che sia stata effettuata una scelta amministrativa che rappresenta l’esito di un proporzionato bilanciamento di interessi, di rilevanza costituzionale, sottesi alle esigenze di internalizzazione dell’offerta formativa e a quelle di dare la giusta rilevanza alla lingua italiana.”

In pratica: anche se non è possibile passare esclusivamente e “per intero” all’insegnamento in inglese (i corsi non possono essere “solo” in inglese, ma devono essere “anche” in italiano), nella pratica basta erogare pochi corsi in italiano, magari quelli di minore rilevanza, non fondamentali e opzionali (come sta accadendo), per essere formalmente a posto. Dunque, in quest’ultima interpretazione del Consiglio di Stato, visto che il “principio di ragionevolezza” nella distribuzione dei corsi è soggettivo e lasciato alla discrezione degli atenei, il Politecnico ha avuto ragione.

Viene da chiedersi come i numeri riconosciuti nella sentenza siano compatibili con il “primato” dell’italiano” e il principio di “ragionevolezza e proporzione”... E soprattutto bisognerà vedere cosa accadrà nelle tante altre università che guardavano al caso del Politecnico di Milano come un esempio da emulare, ma che erano frenati solo dai precedenti delle altre sentenze.
Un saluto a tutti.
domna charola
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Re: Dal 2014 lauree magistrali in inglese a Milano

Intervento di domna charola »

Sostanzialmente è il cedimento di qualsiasi diga all'irrompere dell'itanglese.
Se imparo una materia in inglese, la "penso" in quella lingua e, soprattutto, conosco tutti i termini tecnici, con la loro precisione di sfumatura, SOLO in quella lingua, senza più nemmeno pormi il problema di "come si traduce" in italiano. Da qui al dilagare dei termini stranieri, il passo è unico.
Me ne accorgo anche di persona: i termini del "geologichese" appresi sulla letteratura anglosassone mi viene spontaneo non solo usarli, ma anche pensarli intimamente aggregati all'oggetto a cui si riferiscono: a quell'oggetto, in pratica, associo inconsciamente e istintivamente, quel "primo suono" con il quale ne ho imparato l'esistenza.
Idem per la storia medievale: letteratura in francese, e termini specifici che si collegano a precise immagini mentali, ma che fatico a indicare con la medesima precisione in italiano.
Per non parlare della sartoria storica… dal punto di vista pratico, ho imparato tutto dalla nonna e dalle sue sorelle. Da quello teorico, i libri di archeologia del costume sono in inglese. Risultato: gli occhi strabuzzati delle sarte che mi sentono parlare un misto tecnico di veneziano e inglese, assolutamente incomprensibile a loro. Ma se nessuno mi dice come si indica in italiano un certo tipo di cucitura, come farò mai a pensare di chiamarla così?
Ecco, questo è quello che può succedere con tanti begli ingegneri anglofoni: all'inizio, i sottoposti non capiranno, e le aziende avranno qualche rallentamento nel lavoro, poi anche le scuole superiori tecniche si adegueranno, facendo corsi in inglese. E così via...
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Carnby
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Re: Dal 2014 lauree magistrali in inglese a Milano

Intervento di Carnby »

E se con il nuovo ordine europeo che si avrà con l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea (sempre che avvenga, naturalmente) l’inglese perdesse parte del suo prestigio tecnico a favore di tedesco o francese? Avete pensato quanto è limitato l’orizzonte di queste iniziative che vorrebbero essere «moderne»?
Zop
Interventi: 17
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Re: Dal 2014 lauree magistrali in inglese a Milano

Intervento di Zop »

Sono d'accordo con lei, Domna Charola, credo che abbia centrato e sintetizzato meravigliosamente il punto. Anche perché il linguaggio non ha solo un aspetto comunicativo, ma ha appunto anche quello formativo del pensiero, come aveva colto Von Humboldt, ma anche per Dante "ragionare" e "parlare" erano sinonimi, in fin dei conti. Il fatto è che c'è una strategia internazionale che vuole imporre l'inglese in tutto il globo. Il linguista tedesco Jürgen Trabant lo chiama “globalese” e spiega che è tutto il contrario del plurilinguismo come viene talvolta contrabbandato. Si tratta di un disegno "colonialistico" che vuole portare ogni Paese sulla via del bilinguismo basato sull'inglese, dove la varietà delle lingue locali non è vista come ricchezza, ma come un ostacolo all'inglese globale per la comunicazione internazionale. Recentemente, però, proprio nei Paesi dove questo progetto si è praticamente concluso, primo l'Olanda, ma anche altri del Nordeuropa, si sta sviluppando un dibattito critico. L'inglese delle università e della scienza non si è rivelato qualcosa di "additivo" che si aggiunge e arricchisce, bensì un processo "sottrattivo" e di regressione della lingua nativa. E proprio mentre all'estero emerge il problema, noi stiamo invece accelerando per andare verso una via distruttiva.

I tre fronti dove l'italiano andrebbe difeso, a mio avviso, sono dunque la lingua di insegnamento, l'Europa e la regressione lessicale interna che ci sta portando verso l'itanglese. Questi tre aspetti sono tra loro fortemente connessi. Ma purtroppo anche sul fronte dell'Europa l'italiano sta cessando di essere lingua del lavoro, dove si impone nella prassi quasi sempre l'inglese, e secondariamente il francese e il tedesco. L'italiano sta scomparendo, e Giorgio Pagano lotta, anche attraverso una petizione, proprio per difenderlo all'interno della Comunità Europea. Eppure in Italia, per partecipare ai bandi di concorso dobbiamo usare l’inglese persino per il finanziamento dei progetti universitari e di ricerca di interesse nazionale (PRIN). Per questi motivi, anche se di fatto l'inglese sarà presto una lingua "extracomunitaria", a parte il caso di Malta che lo ha indicato come lingua nazionale, non credo che cesserà di essere la lingua del lavoro in Europa, anche se Francia e Germania di sicuro potrebbero rafforzare le loro lingue. Potrebbe essere l'occasione di rafforzare anche l'italiano, ma viste le premesse, il contesto storico e l'anglofilia dei nostri politici... sono pessimista di fronte all'ipotesi ventilata da Carnby. Ma spero di sbagliarmi. Un saluto.
valerio_vanni
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Re: Dal 2014 lauree magistrali in inglese a Milano

Intervento di valerio_vanni »

Carnby ha scritto: mer, 20 nov 2019 18:27 E se con il nuovo ordine europeo che si avrà con l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea (sempre che avvenga, naturalmente) l’inglese perdesse parte del suo prestigio tecnico a favore di tedesco o francese? Avete pensato quanto è limitato l’orizzonte di queste iniziative che vorrebbero essere «moderne»?
Non credo che la cosa sia così legata alla Gran Bretagna... l'inglese ha una diffusione notevole anche fuori dall'Europa.
Avatara utente
Carnby
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Iscritto in data: ven, 25 nov 2005 18:53
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Re: Dal 2014 lauree magistrali in inglese a Milano

Intervento di Carnby »

Zop ha scritto: mer, 20 nov 2019 23:38...ma anche per Dante "ragionare" e "parlare" erano sinonimi, in fin dei conti.
Per tutti i toscani, in realtà, almeno fino a poco tempo fa, ragionare era la voce popolare e parlare quella dotta. :wink:
domna charola
Interventi: 1624
Iscritto in data: ven, 13 apr 2012 9:09

Re: Dal 2014 lauree magistrali in inglese a Milano

Intervento di domna charola »

Carnby ha scritto: mer, 20 nov 2019 18:27 E se con il nuovo ordine europeo che si avrà con l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea (sempre che avvenga, naturalmente) l’inglese perdesse parte del suo prestigio tecnico a favore di tedesco o francese? Avete pensato quanto è limitato l’orizzonte di queste iniziative che vorrebbero essere «moderne»?
Non è questo il punto.
L'inglese è la lingua universale scientifica perché la maggior parte delle pubblicazioni scientifiche sono in inglese. Togliendo la porzione - recente - di quelle che devono esserlo per forza di cose, e che si riconoscono spesso proprio perché pensate in italiano e scritte quindi con costruzioni innaturali per un madrelingua, resta il fatto che i paesi anglofoni sono grandi produttori di ricerca scientifica - se non altro per numero o superficie, e per potere economico che consente la ricerca stessa - superando come "massa" scritta gli altri idiomi.

Se prendo invece un ambito piuttosto di nicchia, quale la ricerca medievistica, essa per ragioni storiche "parla francese". Non solo perché gli Stati Uniti non hanno Medioevo - nel senso corrente - ma perché Block, Pirenne, Braudel e gli altri padri della moderna storiografia medievistica erano francesi e hanno scritto le loro rivoluzionarie opere in francese. Di fatto, in università ti fanno capire che, se vuoi fare il medievista, devi sapere il francese.

Un piccolo esempio per evidenziare come quello che pesa sia l'importanza di una scienza e il volume di opere prodotte in una certa lingua entro essa.
L'ambito delle scienze fisiche continuerà a parlare l'inglese, anche quando come Atlantide la perfida Albione scomparirà tra i flutti dell'Artico disgelato, perché tutti i ricercatori dovranno per lo meno essere in grado di leggere gli autori precedenti.
L'ambito dei medievisti si convertirà all'inglese, man mano che nuovi ricercatori anglofoni si incammineranno nel solco tracciato inizialmente dai francesi, rendendo obsolete le opere ormai vecchie di un secolo...

...e pensare che ai tempi della tesi in paleontologia, avevo la bibliografia ottocentesca in tedesco, ed era comprensibile perché poneva l' *abstract, chiedo scusa… la periocha, in latino!
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