«Diapason»

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G. M.
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«Diapason»

Intervento di G. M. »

Dal Treccani:
dïàpaṡon s. m. [dal gr. διὰ πασῶν (χορδῶν) «attraverso tutte (le corde)»; lat. diapāson]. – 1. Nella terminologia musicale greca, l’intervallo di ottava. 2. L’estensione dei suoni che una voce o uno strumento musicale può percorrere dal più basso al più alto, spec. in comparazione con altre voci o altri strumenti: il d. dell’oboe va dal si bem. 1 al sol 5. In senso fig., raggiungere un alto d., un d. elevato, lo stesso che tono (per es., di una discussione o sim.); ha toccato il d. dell’entusiasmo, il massimo. 3. a. Strumento atto a dare con notevole purezza un suono determinato; è costituito da una sbarretta di acciaio a forma di forchetta a due rebbî che, colpiti meccanicamente, vibrano producendo un suono di frequenza determinata che dipende dalle dimensioni dello strumento e dalle caratteristiche elastiche dell’acciaio. Si usa, oltre che per esperienze di acustica, nella pratica musicale, per dare il la ai cantanti o agli strumenti (la nota data è il la3, corrispondente a un suono di 440 vibrazioni al secondo, sul quale, per convenzione internazionale, si accordano gli strumenti dell’orchestra: ed è questo il cosiddetto d. normale); di qui, nel linguaggio com., l’espressione dare il d., meno frequente però che dare il la, dare la giusta intonazione, anche in usi fig. (dare il d. a una conversazione, a una discussione, ecc., dare il giusto avvio). b. D. elettromagnetico, tipo di diapason in oscillazione permanente, controllata da dispositivi elettromagnetici; d. elettronico, diapason analogo al precedente, che utilizza tubi termoelettronici o transistori, adoperato anche in alcuni tipi di orologi ad alta precisione (orologi a diapason).
Per il significato 3.a, si veda corista.
In generale, si potrebbe italianizzare come diapasone? Ne trovo solo qualche rara attestazione in Google Libri, ma sarebbe in linea col derivato diapasonico e con le lingue sorelle (in spagnolo diapasón, in portoghese diapasão, in catalano diapasó, in gallego diapasón; e anche l'esperanto diapazono).
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Re: «Diapason»

Intervento di Freelancer »

In tutta serietà, non mi è chiaro cosa significhi italianizzare diapason, visto che i dizionari mi dicono che questa parola esiste e sussiste nella lingua italiana da prima del 1525.
Ultima modifica di Freelancer in data sab, 08 gen 2022 19:38, modificato 1 volta in totale.
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Marco1971
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Re: «Diapason»

Intervento di Marco1971 »

Quel che dice Roberto è vero. E le terminazioni in vocale + l/m/n/r sono ammesse in italiano, nel migliore dei casi non in fin di frase (tranne in poesia). Tuttavia, un adattamento inappariscente come diapasone sarebbe stato perfettamente possibile.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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G. M.
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Re: «Diapason»

Intervento di G. M. »

Freelancer ha scritto: dom, 20 dic 2020 18:32 In tutta serietà, non mi è chiaro cosa significhi italianizzare diapason [...]
Io credo invece che la sua sia un po' una domanda polemica, visto che lei è membro di questo fòro da molto più tempo di me. :wink: Comunque, chiarisco: per italianizzare, qui, intendo 'sistemare il termine dandogli forma compiutamente italiana', forma che al momento non ha, visto che in italiano (esclusi i troncamenti) i sostantivi non finiscono per -n. Il fatto che questo termine sia rimasto a lungo così non inficia —almeno a parer mio— la regola generale, non essendo questo un elemento autoctono bensì un termine straniero conservato pressoché invariato.

PS. Marco mi ha preceduto di qualche minuto mentre scrivevo, ma lascio la mia risposta così, credo che valga per entrambi. :)
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Millermann
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Re: «Diapason»

Intervento di Millermann »

Anch'io, sinceramente, non sento il bisogno di italianizzare questo tipo di parole, d'antica origine (greca o latina) e la cui terminazione non presenta particolari problemi.
Volendo comunque provarci, preferirei in questo caso la forma *diàpaso, che presenterebbe il vantaggio di non spostare l'accento (e non sembrerebbe un accrescitivo ;)).
Altri termini d'origine greca sono italianizzati in questo modo (ad esempio neon, argon, pentathlon...); la [rara] forma aggettivale diapasonico sarebbe comunque giustificata dell'etimologia, giusto? :)
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Re: «Diapason»

Intervento di Freelancer »

G. M. ha scritto: dom, 20 dic 2020 20:04 [...]in italiano (esclusi i troncamenti) i sostantivi non finiscono per -n.
Certo che in italiano esistono sostantivi che finiscono per -n, per esempio, diapason.

Ma veramente senza alcuna polemica. Dicevo tanto per cercare di inquadrare, per l'ennesima volta, e magari a beneficio di nuovi arrivati, la questione perenne. Esiste un ristretto gruppo di italiani che la pensa così: qualunque parola che non termini in vocale non è italiana (dei motivi alla base di questa convinzione, ne abbiamo discusso a iosa). Esiste un gruppo enorme di italiani che la pensa (la maggior parte inconsapevolmente) così: se è una parola è diffusissima nell'uso, allora è italiana. E a maggior ragione se viene usata da oltre cinque secoli, direi io.
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Millermann
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Re: «Diapason»

Intervento di Millermann »

Sempre in tono non polemico, potrei dire che io, ad esempio, ho sempre considerato sufficientemente "italiana" una parola se
a) si legge come è scritta (secondo le regole dell'italiano)
b) non contiene sequenze consonantiche estranee all'italiano.
Per cui quella di cui si parla qui non mi può dar problemi. :)
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G. M.
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Re: «Diapason»

Intervento di G. M. »

Freelancer ha scritto: dom, 20 dic 2020 23:04 Esiste un ristretto gruppo di italiani che la pensa così: qualunque parola che non termini in vocale non è italiana [...]. Esiste un gruppo enorme di italiani che la pensa (la maggior parte inconsapevolmente) così: se è una parola è diffusissima nell'uso, allora è italiana.
Secondo me si tratta di una banale confusione terminologica. Usiamo la stessa parola per intendere due significati diversi, e per questo poi non riusciamo a metterci d’accordo. Cerco di spiegarmi.
  1. Se diamo all’aggettivo italiano il significato di ‘usato dalle persone che vivono in Italia’, allora sicuramente diapason è una parola «italiana»; come sono «italiane» tutte o quasi tutte le parole discusse in questa sezione del fòro. Se diamo questo significato alla parola italiano, io sono d’accordo con una frase del genere: «Diapason, computer, first lady e équipe sono parole italiane».
  2. Se diamo all'aggettivo italiano il significato di ‘conforme alle strutture linguistiche generali della lingua italiana (oltre eventuali corpi estranei non adattati)’, allora ai miei occhi diventa assai più discutibile il fatto che diapason sia una parola «italiana». Dando questo significato alla parola italiano, non sono d’accordo con la frase che ho appena scritto: «Diapason, computer, first lady e équipe sono parole italiane».
Allo stesso modo, credo che la maggior parte della gente, dopo aver ragionato un po', giungerebbe alla conclusione che computer (per esempio) è «italiano» nel primo significato, ma non nel secondo. (Penso anzi che a moltissimi appaia ovvio, senza bisogno di pensarci...).
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G. M.
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Re: «Diapason»

Intervento di G. M. »

Millermann ha scritto: dom, 20 dic 2020 23:30 Sempre in tono non polemico, potrei dire che io, ad esempio, ho sempre considerato sufficientemente "italiana" una parola se
a) si legge come è scritta (secondo le regole dell'italiano)
b) non contiene sequenze consonantiche estranee all'italiano.
Per cui quella di cui si parla qui non mi può dar problemi. :)
Ma anche la posizione delle sequenze consonantiche (o delle singole consonanti) all'interno della parola (all'inizio, in mezzo, alla fine...) è importante. O per lei una parola —invento— come rgento sarebbe italiana? :wink:
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Marco1971
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Re: «Diapason»

Intervento di Marco1971 »

Mi permetto, in punta di piedi, di ricordare le combinazioni ammesse in italiano scrio scrio. :)

La variante possibile diàpaso mi pare elegante. Ma qui discutiamo in un mondo parallelo, perché in quello reale diapason rimarrà tale e quale... E non è proprio drammatico, considerando le cose gravi che, linguisticamente, succedono oggi.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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G.B.
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Re: «Diapason»

Intervento di G.B. »

G. M., Lei è coerente, ma diapason, di contro ad altre brutture moderne, è veramente innocuo: è di origine classica, è antico, finisce in -n posvocalica e ha un uso ristretto all'àmbito musicale. In ogni caso, preferirei anch'io *diàpaso a diapasòne e mi chiedo come mai si sia affermata questa accentazione, quando in latino si ha diapāson.
G. M. ha scritto: dom, 20 dic 2020 23:35 [...] credo che la maggior parte della gente, dopo aver ragionato un po', giungerebbe alla conclusione che computer (per esempio) è «italiano» nel primo significato, ma non nel secondo.
Questo Suo ottimismo poggia su dati empirici? Ché, se è vero che siamo in pochi a pensarla cosí, chi Le dice, caro Roberto, che se i «nostri» motivi fossero maggiormente conosciuti (e meno stereotipati), non saremmo forse di piú? e forse la maggioranza? La distinzione tra italiano sociolinguistico e strutturale mi sembra ancora ragionevole (nonostante qualche iniziale [e minima] crepa), a prescindere dalla scuola di pensiero (e da come si parla realmente).
G.B.
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G. M.
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Re: «Diapason»

Intervento di G. M. »

G.B. ha scritto: lun, 21 dic 2020 10:20 [...] diapason, di contro ad altre brutture moderne, è veramente innocuo [...]
Se facciamo una scala dell’accettabilità in italiano, naturalmente concordo con voi che diapason si trova molto in alto; diapason è meglio di gap, sport, film, card, big bang, stress; i quali forse sono a loro volta meglio di computer, mouse e baguette, che non si scrivono come si pronunciano.
Diapason è «più italiano» (relativamente, in scala) di altri forestierismi, ma (almeno a parer mio) non è ancora «italiano» (e quindi innocuo) in senso assoluto. :wink: Ragion per cui lo scriverei in corsivo come gli altri forestierismi, come slogan, spoiler, bipartisan, barman, cardigan, blister, eccetera, termini che si leggono come si scrivono e hanno uscite consonantiche analoghe (-Vn, -Vr).
Sotto questo punto mi sento molto castellaniano, e tengo particolarmente alle nostre terminazioni vocaliche.
G.B. ha scritto: lun, 21 dic 2020 10:20 Questo Suo ottimismo poggia su dati empirici?
Poggia inevitabilmente solo sulla mia esperienza personale. Mi interesso a questo tema ormai da anni, e ne ho discusso con molte persone, sia di idee simili alle mie sia di idee diverse, sia di persona sia attraverso le reti sociali. Quanto alle persone che frequento in carne e ossa, ho osservato con piacere una progressiva sensibilizzazione e un lento ma consistente avvicinamento alle mie (nostre) idee: dalla derisione e l'alzata di spalle al dirmi «Ma sai che da quando me ne parli ho iniziato a farci caso e non hai così torto...?». Quanto alle frequentazioni virtuali, molto più brevi e dov'è più difficile capirsi, ho avuto spesso l'impressione che ci fosse questo equivoco di fondo sul significato di un'espressione come parola italiana. Distinti chiaramente i due significati, mi sento ottimista circa le capacità di comprensione della popolazione. :wink: Però non ho i mezzi per fare un grande sondaggio nella popolazione prima e dopo aver fatto questo chiarimento...
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Millermann
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Re: «Diapason»

Intervento di Millermann »

G. M. ha scritto: dom, 20 dic 2020 23:46Ma anche la posizione delle sequenze consonantiche (o delle singole consonanti) all'interno della parola (all'inizio, in mezzo, alla fine...) è importante. O per lei una parola —invento— come rgento sarebbe italiana? :wink:
Risposta rapida: no, naturalmente. La sequenza ‹rg› a inizio di parola, infatti, è estranea all'italiano.
Risposta piú ponderata: in fondo... perché no? Anche *rgento all'interno di una frase potrebbe essere accettabile! ;)
Avrebbe un articolo (immagino lo *rgento) o una preposizione precedente (di *rgento), e se questa dovesse produrre una sequenza inaccettabile, la tradizione italiana suggerisce che si potrebbe inserire una i prostetica (in *irgento).

Se ci pensa, è proprio quello che avveniva, tradizionalmente, con le parole inizianti per s impura (da sempre accettate in italiano, a differenza delle lingue sorelle, "costrette" ad aggiungervi una e iniziale). ;)
In ogni caso converrà che la terminazione in consonante semplice (che sia l, m, n, r) non può essere considerata estranea all'italiano, altrimenti anche articoli e preposizioni diverrebbero inaccettabili.
Chiedo scusa per la leggera divagazione. :)
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Re: «Diapason»

Intervento di G. M. »

Millermann ha scritto: lun, 21 dic 2020 11:50 [...] se questa dovesse produrre una sequenza inaccettabile [...]
Questo è il punto che a cui volevo condurla con la mia domanda "provocatoria". La sequenza diventa accettabile… se si fanno certe modificazioni, se si mettono in pratica certe misure. Il problema di diapason (e dei termini analoghi che ho citato) è appunto che questo non si fa, e ci si ritrova nella situazione similmente non accettabile di un enunciato chiuso da una l, m, n o r fuor di poesia.
Millermann ha scritto: lun, 21 dic 2020 11:50 In ogni caso converrà che la terminazione in consonante semplice (che sia l, m, n, r) non può essere considerata estranea all'italiano, altrimenti anche articoli e preposizioni diverrebbero inaccettabili.
Ne convengo, e infatti non ho affermato il contrario. :wink: C'è però da fare una precisazione importante: queste uscite consonantiche sono pienamente lecite, non ci piove, ma a patto che siano rispettate anche le altre condizioni: quelle per cui si può dire «Anna ha un bel viso» ma non «Anna ha un viso bel». (Sempre fuor di poesia, beninteso).

PS. Ho modificato leggermente la prima parte di questo intervento, per rendere più chiaro il mio pensiero.
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