Questa invece è la voce del Lessico del XXI secolo (2013):paywall s. m. inv. Nei siti Internet di giornali, pubblicazioni accademiche e simili, sistema che limita l'accesso a determinati contenuti, fruibili soltanto a pagamento; usato anche in funzione di agg. ◆ Dalla modalità paywall, che blocca l'accesso all'area di un sito riservata agli abbonati a un servizio a pagamento, all'hashtag di Twitter, il cancelletto (#) anteposto a una frase o una parola che permette la ricerca di post in argomento. (Massimo Arcangeli, Repubblica.it, 15 dicembre 2009, Spettacoli & Cultura) • [tit.] Sun e Telegraph online a pagamento: il "paywall" scatta dopo i venti articoli. (Repubblica.it, 28 marzo 2013, Tecnologia) • Dall’11 giugno prossimo il sito della Bild - uno dei più importanti quotidiani tedeschi nonché uno dei più venduti d’Europa - introdurrà un paywall per una serie di contenuti online. Soltanto una parte degli articoli e dei servizi del sito saranno a pagamento, mentre altri continueranno a essere consultabili gratuitamente, come per esempio le notizie principali. (Post.it, 28 maggio 2013, Media).
Dall'ingl. paywall, a sua volta composto dal v. (to) pay ('pagare') e dal s. wall ('muro, barriera').
Il paywall si presenta a volte come una barriera quasi fisica all'interno della singola pagina, della quale è visibile solo l'inizio, mentre il resto si trova «oltre il paywall»: un esempio sul sito della Repubblica (lo vedete se non siete abbonati).paywall <pèiuaal> s. ingl., usato in it. al masch. – Sistema che blocca l’accesso a contenuti online con una schermata di richiesta di pagamento, che può verificarsi a priori o dopo un certo numero di pagine liberamente sfogliate. In Internet ne fanno generalmente maggiore uso i siti di periodici, riviste o quotidiani per favorire il pagamento delle edizioni online, di frequente a fronte di un’insufficiente raccolta pubblicitaria. Negli Stati Uniti, nel 1996, il primo quotidiano a introdurre questo sistema è stato il Wall street journal. Le iniziative basate sulla tecnica del p. sono diversificate: alcuni editori – per es. il Financial times e l'Economist – hanno preferito fornire a pagamento soltanto alcune aree di approfondimento; altri inseriscono lo sbarramento per la fruizione di contenuti aggiuntivi; altri ancora – come il Washington post e, in Italia, la Repubblica – valorizzano l’attività di condivisione dell'utente al fine di personalizzare la relazione del lettore con il mezzo di informazione.
Garzanti Linguistica traduce paywall con... «paywall», definendolo poi tra parentesi «accesso a pagamento ai contenuti di un sito».
Il Picchi invece lo traduce con un interessante barriera di pedaggio.
Nella IATE sono presenti le traduzioni francese e spagnola, rispettivamente verrou d'accès payant e barriera de pago.