Marco1971 ha scritto:Perfettamente d’accordo. E spero che riuscirà a farci approfittare dell’articolo.
Eccolo qua, è apparso nel 1940 su
Lingua Nostra.
PER LA NOMENCLATURA SCIENTIFICA
VARIANZA
Fin dall’inizio, Lingua nostra si è proposta di studiare, d’accordo con gli specialisti delle varie discipline, i problemi che sorgono nelle singole nomenclature tecniche. Siamo lieti di pubblicare in questo numero, con qualche riga di commento, una lettera in cui il dott. G. Barbensi presenta a noi e ai nostri lettori un quesito sulla possibilità dell’introduzione in italiano di un termine concernente la biometria e più in generale la statistica. Il termine biometria, da principio adoperato con vari significati, da quello più vasto di indagine quantitativa sul vivente a quello più ristretto di capitolo della demografia che studia la durata della vita di una popolazione come misura del suo benessere (Colajanni), ha oggi assunto il significato specifico di studio statistico dei fenomeni biologici (Boldrini), di studio cioè dei fenomeni biologici di massa allo scopo di indagare le leggi che li regolano.
Il dott. G. Barbensi, domandandoci se sia lecito ed opportuno introdurre nella terminologia biometrica il termine di varianza, c’informa sulla questione nei seguenti termini.
“II metodo originale della analisi della varianza (analysis of variance) fu introdotto da R. A. Fischer nel 1923. Egli distingue nella nomenclatura biometrica la source of variation dalla analysis of variance: le due parole variation e variance rispondono a due concetti differenti, il primo indicando la conseguenza naturale della variabilità dei caratteri, l’altro precisamente il quadrato dello scarto quadratico metrico medio (standard deviation) - o indice di variabilità - per cui, essendo quest’ultimo indicato con il simbolo σ, la variance si indica con il simbolo V = σ². La terminologia del Fischer è stata adottata da G. W. Snedecor, che ha importanti studi sull’argomento, e da altri biometristi.
Non sembra dunque possibile, per esprimere in italiano questa quantità, ricorrere ai termini consueti variazione o variabilità, che rispondono a concetti differenti, cosicché è desiderabile, se non vi si oppongano regole generali di derivazione della nostra lingua, poter adoperare un altro termine, se possibile coincidente con l’inglese variance”.
Questa interessante lettera del dott. Barbensi pone con un esempio concreto il problema della collaborazione fra le varie discipline speciali e la linguistica (o, se si vuole, la linguistica applicata o glottotecnica).
Vediamo di precisare la parte che in questa collaborazione spetta ai tecnici e quella che spetta a noi. In primo luogo bisogna valutare se la nuova nozione che essi vengono fermando (si tratti d’uno strumento, o d’un procedimento, o d’un concetto scientifico) sia così importante da meritare d’esser designata con un termine nuovo. In parecchi casi è indizio favorevole all’opportunità di accogliere un termine nuovo il fatto che nelle omologhe terminologie straniere la diversa nozione sia espressa con termini diversi. Ma è di rigore un’indagine per vedere se già in italiano esistano termini che siano stati adoperati a questo scopo. Gli specialisti che hanno le più vaste nomenclature, cioè i botanici e gli zoologi, hanno formulato, per i loro termini binomi latini, rigorosissime regole di “priorità”; e un’indagine analoga, sia pure non altrettanto rigorosa, è utile per tutte le discipline.
Fin qui la ricerca spetta in linea principale allo specialista, che è al corrente con la bibliografia della propria materia.
Il linguista può utilmente intervenire nella fase seguente: nel saggiare il termine che lo specialista vorrebbe introdurre in circolazione esaminando se è coniato bene, se risponde alla struttura della lingua; oppure nel consigliare un termine che risponda a questi requisiti.
Vediamo un momento la nostra varianza. Diamo per accettata la opportunità di un termine che esprima quella determinata quantità e che non sia il generico variazione o variabilità (qui, se mai, saranno gli specialisti di statistica o di biometria a elevare obiezioni). Varianza è di conio ottimo. Già latino (Lucrezio parlava della variantia rerum), il termine è stato poi adoperato dal Salviati nella polemica tassesca, e più tardi dal Salvini, sempre in significato generico di variazione. Ora, giacché la lingua comune ha lasciato disponibile il termine, la lingua tecnica ha evidentemente diritto a prenderlo per sé dandogli un senso speciale, e il linguista più severo non esiterà a dare il nulla osta. Mette conto osservare che in questo caso, come in tanti altri, il parallelismo con 1’inglese si è potuto così facilmente mantenere perché l’autore della voce si è attenuto a un termine latino, il cui radicale e il cui suffisso sono vivi nell’uso scientifico europeo (cfr. il mio articolo “Contatti recenti fra il lessico italiano e il lessico europeo”, in Romana, gennaio 1940).
Resta ancora un punto da esaminare che concerne il suffisso. Dando a varianza un significato quantitativo preciso non c’è il rischio di mettersi in disaccordo con altri nomi in -anza, a cui altri specialisti abbiano attribuito significati diversi? P. es. il rapporto fra induzione e induttanza? L’obbligo di tener conto di tali precedenti è tanto meno stretto quanto più lontane sono le discipline di cui si tratta. Ma non ci si può disinteressare del problema, anche se purtroppo qui la competenza dello specialista e quella del linguista rischino d’essere insufficienti, e occorra il concorso d’altri specialisti.
In altri casi, s’intende, il problema si porrà diversamente (è più opportuno foggiare un composto o basta un aggettivo che accompagni il sostantivo? quale dev’essere la forma del verbo derivato? ecc.). Ci basti, intanto, l’avere dimostrato quanto vivamente desiderabile sia una collaborazione fra linguisti e tecnici dei più diversi rami, e quanto fruttuosa essa possa diventare.
BRUNO MIGLIORINI.