Accettabilità della finale consonantica nei cultismi

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Carnby
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Accettabilità della finale consonantica nei cultismi

Intervento di Carnby »

Se ne parlava qui; è opportuno far notare che anche Dante (Dante!) usava parole con terminazione consonantica nei cultismi (Cleopatràs, Semiramìs, orizzòn...) quindi era meno «purista» di quello che si pensa comunemente; non voglio negare che le parole terminanti in vocale siano più «eleganti» e più «italiane», ma anche nel famoso «secondo sistema fonologico» erano comunque presenti. Facciamo l’esempio di caos e gas, entrambi dal greco χάος: è vero che si potrebbe usare cao e gasse (toscano); ma caos è già in Dante, perché respingerlo?
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G. M.
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Re: Accettabilità della finale consonantica nei cultismi

Intervento di G. M. »

Quel caos non era in realtà da leggersi caosso? Non conosco la vicenda e non ho letto il testo di Migliorini al riguardo, ma certe edizioni scrivono anche direttamente caosso.

Visto che sono stato lo spunto per questo filone, riporto il mio parere in proposito da un recente articolo:
È vero che in Dante ci sono diversi esemplari di termini P1 [= in consonante «non autorizzata», che si potrebbero usare per giustificare tale uso in italiano in base a un principio d'autorità]; però, in realtà, sono praticamente sempre casi “estremi”, nomi propri marcatamente caratterizzati come esotici, o esplicite citazioni di lingue straniere («lo Vas d’elezïone», lat. vas electionis; Minòs, Cleopatràs, Semiramìs, Empedoclès, Nembròt, Iosafàt, ecc.), non termini “normali” della lingua. Anche se per la maggior parte di questi nomi di personaggi storici famosi usiamo normalmente ormai da secoli forme pienamente italianizzate (Minosse, Semiramide, Empedocle…), tuttavia in un registro normale oggi non italianizziamo i nomi propri dei personaggi famosi contemporanei, nemmeno nell’ortografia (come invece si fa a volte in altre lingue; per esempio in azero Klint İstvud per Clint Eastwood, in lettone Džo Baidens per Joe Biden, ecc.): anche se sono «parole dell’uso italiano», Washington, Michelle Hunziker, Özpetek eccetera restano elementi estranei, che non prendiamo in considerazione per determinare le strutture fonotattiche o ortografiche della lingua (se non, chiaramente, per quanto riguarda il modo di trattare —appunto— i forestierismi non adattati), e così analogamente sarebbe perlomeno “stiracchiato” farlo invece senza riserve per casi di termini similmente “estremi” usati dal padre della nostra lingua.
A parer mio quindi non bisognerebbe trattare tutti i termini insieme ma distinguere i vari casi. Tenuti da parte i «nomi propri marcatamente caratterizzati come esotici», mi pare che i termini danteschi in consonante «non autorizzata» siano pochissimi. Non conosco però il numero esatto: qualcuno li ha contati? Segnalo intanto un cenìt in Paradiso, XXIX, 4.
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Infarinato
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Re: Accettabilità della finale consonantica nei cultismi

Intervento di Infarinato »

In Dante si tratta di consci latinismi (Cleopatras è pure sbagliato: Dante non sapeva il greco), usati per ragioni metriche o stilistiche, quindi non fanno testo nel modo piú assoluto. La forma normale di caos ai tempi di Dante era caòsso: «pensai che l’universo / sentisse amor, per lo qual è chi creda / piú volte il mondo in caòsso converso» (Inf. XII 43). ;)
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G.B.
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Re: Accettabilità della finale consonantica nei cultismi

Intervento di G.B. »

Se i cultismi «rappresentano un elemento stabile della tradizione linguistica italiana, sfruttato prevalentemente in alcuni suoi settori orientati alla ricerca di forme elitarie distanti dalla lingua usuale (per es., il linguaggio poetico)» (Tesi 2010), probabilmente si spiega perché Boccaccio, Ottimo, Villani e forse anche Dante abbiano usato senza problemi caos nelle loro opere; pur valendo nel loro tempo la restrizione delle finali consonantiche.

Se anche padre Césari (p. 41, seconda colonna in basso), che proprio filoneista non era (né classicista), registra caos, non caocaosso, nel suo Vocabolario, bisogna trarne che alcune parole hanno una storia ricca in certi contesti e povera in altri. Caos è termine colto, richiama miti d'altri tempi; basta la forma, con quella strana combinazione vocalica, a renderlo «poco italiano»: porci una vocale d'appoggio non aiuta proprio in questo caso. Lasciamolo a un registro sostenuto, là dove usarlo non è meramente casuale, ma richiama qualcosa della tradizione che esso porta con sé. Non imbellettiamo il nulla: scegliamo le parole per il valore che hanno.

Se si vuole toscaneggiare, toscaneggiare davvero, ci sono tante altre locuzioni e tanti altri termini, anche piú espressivi, che comunicano lo stesso concetto. Purtroppo (?) in questo caso la tradizione letteraria non ci ha consegnato un grecismo adattato (come invece è accaduto per Minosse ecc.): pazienza. Si può ridurne la circolazione usandolo responsabilmente.
G.B.
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Carnby
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Re: Accettabilità della finale consonantica nei cultismi

Intervento di Carnby »

G.B. ha scritto: lun, 04 lug 2022 19:10 Caos è termine colto, richiama miti d'altri tempi; basta la forma, con quella strana combinazione vocalica, a renderlo «poco italiano»
Quindi anche Paolo (dai più antichi Pagolo e Pavolo), nome tra i più comuni in Italia, avrebbe una «strana combinazione vocalica» e apparirebbe «poco italiano»?
valerio_vanni
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Re: Accettabilità della finale consonantica nei cultismi

Intervento di valerio_vanni »

Diciamo che è una sillaba sovrappeso, come quella in mais: /CVVC/
Più rara di quella in Paolo, Mauro etc.
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