«Wadi», «wādī», «uadi»

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G. M.
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Iscritto in data: mar, 22 nov 2016 15:54

«Wadi», «wādī», «uadi»

Intervento di G. M. »

Treccani (1, 2):
wādīu̯àadii〉 s. m., arabo (pl. àudiya o widyā′n). – Termine, spesso italianizzato in uadi (v.), che indica il letto asciutto di un corso d’acqua.
uadi s. m. [dall’arabo wādī, plur. audiya o widyān] (pl. uidiàn). – In geografia fisica, letto normalmente asciutto dei corsi d’acqua che, in forma di solchi ampî e poco profondi (perché riempiti da detriti), dal tracciato spesso assai complicato, solcano il Sahara e altre regioni desertiche; in seguito alle rare e violente piogge, vengono rapidamente inondati e, altrettanto rapidamente, tornano a prosciugarsi.
C'è l'italianizzazione uadi, che per molti andrà bene, ma a me non piace del tutto, con quella /w/ in posizione tradizionalmente estranea alla nostra fonotassi (non è /u.-/: in quel caso il Treccani avrebbe scritto üadi; cfr. manüale /-u.a̍-/).

Proporrei una minima sistemazione in vadi. In arabo, se non vado errato, non c'è /v/, per cui si può adattare /w/ in /v/ senza "perdita d'informazioni", ed è cosa che ritroviamo in altri adattamenti: avaria < ῾awār, favara < fawwāra, verzino < wars(ī), savari < sawārī, zavia < zāwiya, e similmente in voci mediate da altre lingue (valì, cavasso, visire, varano...).
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