la lingua all'Università

Spazio di discussione su questioni che non rientrano nelle altre categorie, o che ne coinvolgono piú d’una

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atticus
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la lingua all'Università

Intervento di atticus »

La nostra lingua è posta alla mercé di ciascun malparlante, che per essa non nutre riguardo alcuno.
L'ignaro di lingua, il piú delle volte presuntuoso, giustifica gli orrori che fuoriescono dalla sua bocca e dalla sua penna (usata di radissimo, invero) col fatto che la lingua non dev'essere statica, deve evolversi.
Già. Ma a chi affidiamo questa "evoluzione"?
Al popolo degli SMS? Ai tanti gigolò televisivi? A chi si vanta di non leggere mai?
Altro alibi che gli ignari di lingua sbandierano è l'uso.
A tal proposito, la domanda che tempo fa si poneva Edoardo Sanguineti era giusta:
«L'uso di chi? Dei giornali? Del cinema? Della televisione?»
L'uso, aggiungo, degli sprovveduti? Di coloro che, senza curiosità, senza rispetto per chi ne sa di piú, saccenti oltre ogni dire, credono di cavarsela con: "la pratica val piú della grammatica"? E che fine fa la pratica senza la grammatica?
Soltanto l'acculturazione dei parlanti può evitare l'inquinamento della lingua; e può frenare quel libertinaggio nato con la scuola di massa (e radicato ormai nella società di massa).
E pertanto, bene ha fatto l'Università La Sapienza di Roma a istituire corsi di italiano scritto per tentare di colmare le lacune (enormi) della maggior parte degli studenti.
«Oltre all'ortografia, la maggior difficoltà per questi ragazzi è la sintesi: non sanno fare un riassunto», dice Luca Serianni, che in quell'ateneo insegna storia della lingua italiana.
Orbene, dal momento che «in Italia quasi quindici milioni di persone sono semianalfabeti» (Tullio De Mauro), perché tutte le Università non introducono, a imitazione dell'ateneo romano, corsi di lingua per gli studenti? E per gli studenti di tutte, ma proprio tutte, le facoltà? Troverebbero, credo, nel professor Serianni un ottimo punto di riferimento.
La mia proposta è la seguente: da questo Forum, e da quello dell'Accademia della Crusca, si lanci con determinazione la proposta. E si insista. Sarà un utopismo, non diverso da quello di Marco71 circa il morbo anglico; ma «è un utopismo che conviene perseguire», a dirla con Ortega y Gasset.
Scriveva Otto Jespersen:
«Sono fermamente convinto che i dotti non debbano contentarsi di stare passivamente a guardare, ma che debbano prendere parte attiva, ciascuno nel proprio Paese, a quelle azioni che stanno modificando le condizioni linguistiche, e a migliorarle, ove sia possibile. Troppa parte è lasciata in queste azioni a dilettanti ignari».
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Grazie, caro Atticus, del suo profondo ed entusiastico messaggio. Condivido pienamente ogni cosa. Se vogliamo salvare l’italiano da un prossima e rapida decadenza dobbiamo provvedere a istruire al meglio i parlanti di domani. L’iniziativa dell’Università di Roma è ottima e bisognerebbe istituire tali corsi di lingua in tutte le università italiane. Ma come fare, concretamente? Intanto mi permetto di segnalare codesto suo messaggio «dall’altra parte» (la parte solare, visto che noi siamo la parte lunare ;)), in modo da raggiungere un piú vasto pubblico.
CarloB
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Corsi di lingua

Intervento di CarloB »

Mi associo di cuore alla proposta di Atticus. Ho letto l'articolo al quale egli credo faccia implicitamente riferimento. L'impreparazione in italiano degli studenti universitari (che dovrebbero costituire l'eletta schiera della gioventù studente) è preoccupante. Ci si consola constatando che anche altrove in Europa e negli Stati Uniti è così, se non peggio. Non è una gran consolazione.
In concreto, penso si dovrebbe redigere un appello, che potrebbe partire dall'Accademia della Crusca e dovrebbe raccogliere le adesioni di esponenti accademici, culturali e politici di ogni orientamento, con questa proposta: che attraverso il MIUR si raccomandi agli atenei, eventualmente promettendo un finanziamento straordinario a quelli più virtuosi, secondo criteri da stabilire, di istituire corsi interfacoltà di alta alfabetizzazione nella lingua italiana, introducendoli nei piani di studio come insegnamenti che diano diritto a crediti. Non c'è da illudersi troppo, e bisogna dare per scontato che ci sarebbero molte obiezioni (come assicurare l'obbligo della frequenza; perché assumere docenti di lingua italiana a scapito di altre discipline; quanti crediti, e perché sottrarne al monte previsto per le facoltà scientifiche, e via obiettando); ma sarebbe un punto di partenza.
Credo però che un fronte forse ancora più importante sia quello del servizio pubblico televisivo. Anche in questo caso l'Accademia potrebbe farsi promotrice di una petizione rivolta ai responsabili del servizio pubblico e ai politici che si occupano di questioni radiotelevisive, per raccomandare l'uso preferenziale di vocaboli italiani. I politici e i giornalisti più noti dovrebbero dare l'esempio: se in prima serata nel telegiornale più visto si dice budget invece di bilancio, e si parla di devolution e di welfare, di gap e di bond (ho fatto esempi a caso), siamo perduti.
Non sarebbe male se la presidenza del consiglio sostenesse una campagna pubblicitaria televisiva, con personaggi noti come protagonisti, che segnalasse attraverso qualche scambio di battute divertenti gli equivalenti italiani di vocaboli stranieri entrati abusivamente nell'uso.
Insisto sulla televisione, perché in definitiva essa raggiunge proprio tutti, mentre gli studenti universitari rappresentano tuttora una minoranza della loro classe di età.
Avatara utente
Incarcato
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Intervento di Incarcato »

Altro vocabolo che sempre piú spesso fa capolino è governance, facilmente sostituibile con ‘amministrazione’ o ‘gestione’, per esempio. Ma sembra che nessuno se lo ricordi piú.
Avatara utente
Marco1971
Moderatore
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Intervento di Marco1971 »

Riporto un articolo apparso sul Corriere della Sera del 19 agosto 2006. Si commenta da sé.
«Ma le abbreviazioni sono uno stimolo»

«Fanno bene le università a organizzare corsi di scrittura, ma non prendiamocela con i messaggini». [Il punto andava prima della virgoletta di chiusura, ma sorvoliamo.] Non ha dubbi Francesco Sabatini, presidente dell’Accademia della Crusca e autore, insieme con Vittorio Coletti, di un dizionario della lingua italiana aggiornato al 2006.
Professor Sabatini, l’italiano delle matricole è peggiorato a causa degli sms?
«Assolutamente no. Certo, l’uso della lingua da parte dei ragazzi che arrivano all’università è troppo approssimativo, ma non è colpa degli sms. Che, anzi, hanno prodotto effetti positivi».
Quali?
«Innanzitutto il messaggino ha rappresentato una spinta a scrivere e ha stimolato capacità nuove come quella di esprimersi in maniera veloce e sintetica, cercando, ad esempio, il sinonimo più breve e meno ambiguo».
Eppure secondo i «puristi» proprio le abbreviazioni hanno corrotto la scrittura...
«Le abbreviazioni esistono da secoli. Basta pensare ai manoscritti medievali che, proprio con questo sistema, hanno conservato testi densissimi di sapere. Usare sigle e faccine non è un problema, ma lo diventa se è l’unica forma di scrittura che i ragazzi conoscono. È fondamentale, infatti, che si sappiano esprimere anche con strutture lessicalmente e sintatticamente più complesse, per dare spazio all’argomentazione e alla riflessione».
Come evitare l’impoverimento linguistico?
«Di sicuro non dobbiamo prendercela con il cellulare o con internet, strumenti indispensabili per la comunicazione. Piuttosto, bisogna ripartire dalla scuola e dall’università: gli atenei non hanno formato docenti con le competenze tecniche necessarie a insegnare la lingua, così i ragazzi che escono dalle superiori la usano in modo approssimativo».
D’accordo con l’università dell’Insubria, allora?
«Certo, già quindici anni fa, a Roma Tre, ho promosso corsi come quello lombardo. Anche se un po’ in ritardo, è bene che le università corrano ai ripari tentando di recuperare le abilità linguistiche degli studenti».
Alessia Rastelli
Avatara utente
Federico
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Intervento di Federico »

Marco1971 ha scritto:Si commenta da sé.
E in che modo?

Indubbiamente Sabatini ha ragione: il vero pericolo non sono i messaggini (qualche uso fastidioso contagia altri campi, come 6 per sei e simili, ma restano limitati), bensí la televisione, non solo per la diseducazione linguistica, ma pure per le ore sottratte oltre che al gioco (sociale o socievole) anche alla lettura.

Sui problemi di sintesi accennati da Serianni, rimando all'interessante parere dell'Ottimo Umberto Galimberti, che ho citato qui.
Avatara utente
Incarcato
Interventi: 900
Iscritto in data: lun, 08 nov 2004 12:29

Intervento di Incarcato »

A proposito di televisione, come può essere che un semianalfabèta come Pupo possa condurre trasmissioni in fasce orarie seguitissime (séguito potrebbe tradurre audience), quando spara uno strafalcione a serata?
Martedí, mi pare, ha brillato con un *bene placido. E il giorno prima un orrore di verbo, che non ricordo nemmeno piú.
Ormai lo seguo per il gusto dell'orrido.
Avatara utente
Federico
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Intervento di Federico »

Incarcato, sono tutti sorpresi quanto lei: infatti la RAI l'aveva pensato come sostituto temporaneo di Bonolis, ma poi il successo di pubblico (leggi: il denaro) li ha convinti a tenerlo comunque.
Avatara utente
Federico
Interventi: 3008
Iscritto in data: mer, 19 ott 2005 16:04
Località: Milano

Intervento di Federico »

Pare che i corsi di italiano universitari si estendano anche ad altre università: guardate questo articolo dal Corriere Milano di oggi (lo allego in formato immagine perché l'impaginazione è piuttosto complicata e altrimenti dovrei fare otto scansioni; scusatemi anche per l'orientamento, ma sono in un pc d'emergenza).

Immagine
methao_donor
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Intervento di methao_donor »

In primo luogo salve a tutti, dacché questo è il mio primo intervento.

L'idea è, in un certo senso, positiva. Cionondimeno le difficoltà di ordine pratico sono ingenti, in ispecie nelle facoltà scientifiche.
Io, ad esempio, ero iscritto a fisica, dove già i professori si lamentavano per lo scarso tempo a loro disposizione (i corsi son ristretti per svolgere programmi più vasti e vari). Figuriamoci cosa accadrebbe con l'inserimento di un corso del genere (con obbligo di frequenza).
D'altronde, a mio avviso, l'utilità di sì fatta innovazione è tutta da dimostrare.
La mia esperienza personale è sconfortante.
Il problema non sta nella preparazione. Istà nella voglia d'apprendere, di migliorarsi.
La nostra lingua è posta alla mercé di ciascun malparlante, che per essa non nutre riguardo alcuno.
L'ignaro di lingua, il piú delle volte presuntuoso, giustifica gli orrori che fuoriescono dalla sua bocca e dalla sua penna (usata di radissimo, invero) col fatto che la lingua non dev'essere statica, deve evolversi.
Per l'appunto.
Tra i miei coetanei ne ho incontrati ben pochi interessati ad ottenere una migliore padronanza della lingua. Il punto è che la maggior parte di essi la ritiene una conoscenza acquisita. Non si degnerebbe mai di mettersi a studiare italiano (così come non starebbe a studiare la tabelline).

In somma, secondo me è una soluzione piuttosto tardiva. Gli studenti universitari (che, appunto, dovrebbero costituire l'eletta schiera della gioventù studente) devono arrivare in sede universitaria padroneggiando la lingua in certo modo, conoscenza che deve essere acquisita già alle scuole inferiori. Io stesso ho vergogna per le mie lacune. Quando mi rendo conto che tale vergogna manca del tutto in chi mi sta attorno (e che, mediamente, è messo assai peggio di me)... be', lasciatemi dire che la situazione è tragica.
Giunti a quel punto, l'università può fare ben poco.
Avatara utente
Federico
Interventi: 3008
Iscritto in data: mer, 19 ott 2005 16:04
Località: Milano

Intervento di Federico »

methao_donor ha scritto:In primo luogo salve a tutti, dacché questo è il mio primo intervento.
Benvenuto.
methao_donor ha scritto:D'altronde, a mio avviso, l'utilità di sì fatta innovazione è tutta da dimostrare.
La mia esperienza personale è sconfortante.
Il problema non sta nella preparazione. Istà nella voglia d'apprendere, di migliorarsi.
Per me invece vale il detto «val piú la pratica della grammatica», nel senso che solo praticando la lingua (cioè leggendo) si può conoscerla.
methao_donor ha scritto:In somma, secondo me è una soluzione piuttosto tardiva. Gli studenti universitari (che, appunto, dovrebbero costituire l'eletta schiera della gioventù studente) devono arrivare in sede universitaria padroneggiando la lingua in certo modo
Diciamo pure che se non conoscono la lingua non saranno buoni a niente (per quanto pensino il contrario). Non è questione di eletta schiera (anche perché è solo in Italia che l'istruzione universitaria è tanto ristretta), ma di decadenza culturale generalizzata (e indiscriminata).
Avatara utente
Marco1971
Moderatore
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Iscritto in data: gio, 04 nov 2004 12:37

Intervento di Marco1971 »

Benvenuto anche da parte mia, methao_donor. :)
methao_donor ha scritto:Il problema non sta nella preparazione. Istà nella voglia d'apprendere, di migliorarsi.
Mi permetto una noterella a piè di pagina. Istà l’ha scritto benissimo con l’accento; tuttavia, tale forma, come istrada, iscritto, Isvizzera, ecc., ha senso solo se fa parte d’un gruppo ritmico e prima c’è una consonante (per istrada, per iscritto, in Isvizzera, ecc.). Non è invece possibile cominciare una frase con un’i prostetica (proprio perché vien meno la sua funzione). Quindi, avremmo:

Il problema non istà nella preparazione. Sta nella voglia d’apprendere, di migliorare.

Scusate la pignoleria.
methao_donor
Interventi: 341
Iscritto in data: gio, 14 set 2006 23:04
Località: Finlandia

Intervento di methao_donor »

La ringrazio per la puntuale correzione. :)
Avatara utente
cuci
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Iscritto in data: lun, 19 set 2005 3:29
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Intervento di cuci »

È che i maestri delle elementari non se la sentono di bocciare uno scolaretto così da traumatizzarlo e doversi poi subire le sfuriate dei genitori; allo stesso modo i professori delle medie si aspettano alunni che già siano in grado di conoscere alcune regole fondamentali o che perlomeno non sbaglino tutte le doppie, invece ci sono e sono costretti a riprenderli, a ricominciare, a far quel che possono. Una volta arrivati al liceo iniziano le vere e proprie bocciature, ma oramai pare che queste possan avvenire solo in casi estremi: neanche si rimanda più a settembre, c'è un debito formativo ed è praticamente impossibile non recuperarlo (anche se ancora non s'è capito bene il metodo); allo stesso tempo i professori sono tutti impegnati a spiegare la propria materie e mentre i docenti di italiano vorrebbero concentrarsi sulla letteratura e la composizione son ancora costretti a far fronte a gravi carenze linguistiche che nessuno ha colmato precedentemente. Allegramente s'è tutti promossi e s'arriva all'università... e l'italiano? «Ah, be', io l'taliano lo so già, mica mi devo mettere a studiarlo!»
Un'ottima soluzione quale sarebbe? Be', abolire l'esame di fine livello ed introdurre quelli di ammissione che obbligherebbero le scuole a preparare VERAMENTE i propri alunni affinché questi possano tentare di entrare in una scuola di prestigio: difatti gli esami d'ammissione sarebbero utili anche per distinguere scuole di qualità e scuole di quantità e così sino alle università. S'appiattirebbero anche le differenze coi cosiddetti "diplomifici" i quali sarebbero costretti a fornire una preparazione adeguata all'esame d'ammissione in un'università prestigiosa piuttosto che a dare un 100/100 senza un alcun valore. È un'idea, certo. È realizzabile? Be', continuo a sperarci, prima o poi qualcuno lo capirà, forse.

Ricordo un esame in cui una ragazza si mise a litigare col professore perché questo le aveva abbassato il voto della prova scritta per colpa di alcuni non trascurabili errori grammaticali; lei sbottava i suoi: «Lei dovrebbe giudicarmi solo sulla materia dell'esame per la quale mi sono preparata!», io cercavo (invano) un estintore.
«Duva vidi moju zzappa fundu»

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