Lori Repetti sugli adattamenti

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G.B.
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Lori Repetti sugli adattamenti

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Repetti, Lori (2003). «Come i sostantivi inglesi diventano italiani: la morfologia e la fonologia dei prestiti». In: Anna-Vera Sullam Calimani (cur.), Italiano e inglese a confronto. Firenze, Franco Cesati: pp. 31-42.
Repetti, Lori (2006). «The Emergence of Marked Structures in the Integration of Loans in Italian». In: Gess, Randall S.; Arteaga, Deborah (eds.). Historical Romance Linguistics: Retrospective and Perspectives. Amsterdam/Philadelphia, John Benjamins: pp. 209-239.
Repetti, Lori (2012). «Consonant-Final Loanwords and Epenthetic Vowels in Italian», Catalan Journal of Linguistics 11: pp. 167-188.

È conosciuta l'opera di questa studiosa da chi si occupa di adattamenti oggi in Italia?
G.B.
brg
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Re: Lori Repetti sugli adattamenti

Intervento di brg »

Ho letto il terzo articolo e mi ha lasciato più dubbi e domande da fare, che risposte.

Non voglio sembrare irrispettoso, ma mi pare la classica studiosa innamorata delle proprie tesi, che fa fatica a considerare questioni che vanno a complicare o addirittura a refutare quelle tesi. Partendo da questa considerazione, non capisco come mai abbia deciso di mettere insieme in un unico articolo, quindi di complicarsi la vita in maniera esagerata, la "I" prostetica, le varie vocali epentetiche, la "E" eufonica finale per i prestiti da lingue straniere, le altre vocali finali che si trovano nei più disparati casi, inclusa la "O" delle terminazioni verbali, in una sorta di teoria del tutto, che, per usare un'antonimia scontata, diventa una teoria del nulla, o quasi.

L'articolo non manca di spunti e considerazioni interessanti, ma mi pare che non vada mai a fondo di nessuna questione affrontata, lasciando buchi logici incolmati e forse, è questo il sospetto, incolmabili partendo da quelle premesse e quelle tesi.

Volendo fare qualche esempio di quanto dico, prendo la lista delle parole di italiano d'America, adattate dall'inglese con ampio uso di epentesi. Il fatto che "popcorn" diventi "pappacorno", più che un caso di ripetizione vocalica, è per me un caso di assimilazione di idee: l'idea di "pappare" o "pappa" ha certamente influenzato l'adattamento, più che la ripetizione di una vocale /a/, che già di per sé è tutt'altro che scontata in quell'adattamento.
Così come non mi convince molto il fatto che classifichi insieme, come "vocali epentetiche di inizio parola", la "I" di "istamane" e la "A" di "arricordare", che si può benissimo interpretare anche come un rafforzativo o, comunque, di una natura ed origine diverse dall'altra.
Per non dilungarmi eccessivamente, tralascio le altre domande e questioni che mi sono posto leggendo l'articolo, tranne una che cito perché mi interessa particolarmente. Nel trattare la /e/ o, dice la studiosa, /ə/ epitetica l'articolo non tocca alcune questioni che mi paiono rilevanti: la prima è il costo energetico, lo sforzo cioè, fatto dal parlante per pronunciare le varie vocali, mentre la seconda è il fatto che in italiano l'intercalare più tipico sia probabilmente proprio "e" ("eeeeh quindi eeeh la questione eeeeh è questa").
Avatara utente
G.B.
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Re: Lori Repetti sugli adattamenti

Intervento di G.B. »

brg ha scritto: mer, 03 lug 2024 14:10 Volendo fare qualche esempio di quanto dico, prendo la lista delle parole di italiano d'America, adattate dall'inglese con ampio uso di epentesi. Il fatto che "popcorn" diventi "pappacorno", più che un caso di ripetizione vocalica, è per me un caso di assimilazione di idee: l'idea di "pappare" o "pappa" ha certamente influenzato l'adattamento, più che la ripetizione di una vocale /a/, che già di per sé è tutt'altro che scontata in quell'adattamento.
Così come non mi convince molto il fatto che classifichi insieme, come "vocali epentetiche di inizio parola", la "I" di "istamane" e la "A" di "arricordare", che si può benissimo interpretare anche come un rafforzativo o, comunque, di una natura ed origine diverse dall'altra.
Per non dilungarmi eccessivamente, tralascio le altre domande e questioni che mi sono posto leggendo l'articolo, tranne una che cito perché mi interessa particolarmente. Nel trattare la /e/ o, dice la studiosa, /ə/ epitetica l'articolo non tocca alcune questioni che mi paiono rilevanti: la prima è il costo energetico, lo sforzo cioè, fatto dal parlante per pronunciare le varie vocali, mentre la seconda è il fatto che in italiano l'intercalare più tipico sia probabilmente proprio "e" ("eeeeh quindi eeeh la questione eeeeh è questa").
Mi sembra che alcune delle Sue considerazioni siano degne di nota. Io non ho letto tutto. M'incuriosivano i «principi» di Repetti (2003: 32) e soprattutto là dove si dice (p. 39) che in italiano premoderno (col che l'autrice intende il periodo dal quattordicesimo al diciannovesimo secolo) la classe dei sostantivi invariabili non era usata perché «il principio di analisi morfologica dei sostantivi stranieri» non era attivo.
G.B.
brg
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Re: Lori Repetti sugli adattamenti

Intervento di brg »

Ho, or ora, letto anche il primo articolo e mi pare che valgano per quello più o meno le stesse considerazioni che ho fatto per l'altro.

Nell'introduzione vengono presentati quattro principi, che all'autrice devono parere evidenti, ma che per me non lo sono. Così come non sono evidenti, in taluni casi per me addirittura dubbie, a volte persino palesemente false, altre affermazioni, fatte senza traccia di argomentazione nel corso dell'articolo.

Ad esempio, a pagina 38 si trova scritto:
in passato tutti i prestiti erano integrati nelle varie classi di sostantivi flessi.
Ciò è palesemente falso visto che "diapason", "diatessaron", "climax" ecc. non lo erano, così come non lo erano molti nomi biblici.

Così pure, quando, nella stessa pagina, tratta degli "spostamenti" d'accento negli adattamenti, l'autrice commette degli errori di leggerezza. La superficialità, con la quale tenta di trarre una conclusione (huiuscemodi: "lo spostamento d'accento è un modo per soddisfare il principio 2"), è paragonabile a quella della discussione sullo scambio, o presunto tale, di "m" e "n" in alcune parole italiane. Anche qua lo spostamento d'accento è più spesso presunto, che reale: come esempi propone due parole giapponesi, nelle quali l'accentazione finale è giustificata dalla fonetica originale, il termine biblico "Belzebù", che in greco era già "Βεελζεβοὺλ", la parola "yo-yo", che per come è scritta non dà altre possibilità di pronuncia in italiano, ecc.
Insomma un guazzabuglio di parole diversissime per le quali l'accentazione tronca può essere molto variamente giustificata.

In generale mi pare che l'autrice trascuri alcuni elementi fondamentali, che, se trattati, avrebbero il vantaggio di rendere più credibile l'analisi proposta e lo svantaggio di allungare considerevolmente la trattazione. In particolare sono del tutto ignorati i contesti sociali e linguistici degli adattamenti: le influenze dialettali, gli ambiti di utilizzo orale o scritto, formale od informale, elitario o borghese o popolare. Come testimoniano certi grecismi e latinismi non adattati del passato, certe classi sociali in certi contesti sono più restie ad adattare di altre in altri. Una trattazione di queste evoluzioni dell'uso della lingua è certamente complessissima, ma non per questo deve essere trascurata o bellamente ignorata.
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