Circa l’uso obbligatorio della “forma di cortesia” o “del Lei”

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Anaxicrates
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Circa l’uso obbligatorio della “forma di cortesia” o “del Lei”

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Scrivo perché vorrei porre la questione dell’uso obbligatorio della “forma di cortesia” o “del Lei”.
Citerò l’opera Come parlare e scrivere meglio: Guida pratica all’uso della lingua italiana (2ª edizione del 1984), diretta e coordinata da Aldo Gabrielli (e, per quanto riguarda la 2ª edizione, da Cesare Salmaggi), poiché difficilmente potrei addurre argomenti piú chiari e limpidi di quelli ivi contenuti:
La faccenda del “lei”
Cioè del “dare del lei”. Stando alla logica grammaticale, si dovrebbe parlare a un’altra persona sempre dandole del tu. Io parlo, tu sei il mio interlocutore, lui o lei non c’entra. Gli antichi, Greci, Romani e tutti gli altri, non conoscevano, con tale funzione di discorso diretto, né il lei né il voi. Un servo si rivolgeva all’imperatore con il tu, e non per questo gli mancava di rispetto. Sembra però che già in tempi relativamente remoti si cominciasse a dare del voi ai superiori. Poco logica anche questa soluzione, ma almeno ci si accontentava di cambiare il “numero” (come se una persona importante valesse due o tre o magari mille volte di piú che un sempliciotto). Poi, a furia di ossequi e di riverenze, si prese a dire e a scrivere: la signoria vostra, l’eccellenza vostra, eccetera, e la terza persona venne a sostituirsi alla seconda, e per di piú femminile, perché i nomi signoria, eccellenza sono femminili. Si contorse l’espressione, come se si dicesse:

La signoria vostra è invitata: ella (o essa o lei, cioè la signoria, l’eccellenza) potrà essere accompagnata dalla sua (sua della signoria, dell’eccellenza) gentile consorte.

Poco popolari l’ella e l’essa, rimase il breve lei. Molto rispettoso, forse, ma per niente logico: terza persona quando ci vorrebbe la seconda; femminile anche quando si tratta di maschi.

Già nei secoli scorsi ci fu chi notò l’assurdità di tale maniera, ma ormai l’uso si era affermato. Il voi sopravvisse nelle campagne; fu da alcuni ripreso per affettazione, alla moda di Francia; è talvolta usato – altra contraddizione – o per interlocutori molto solenni, altissimi addirittura, come nelle preghiere, per esempio:

Maria Santissima, aiutatemi Voi;

o per rivolgersi a dipendenti, con tono di superiorità, quasi di degnazione:

Presto, Battista, preparate le valigie e strigliate i cavalli.

Fate una spesa abbondante, Rosa, ché domani tutti i negozi rimarranno chiusi.

Non molti anni or sono, per ordine governativo, si tentò di proibire il lei di sostituirlo col voi. Nonostante l’onnipotenza di quel governo, il lei non fu sradicato e, quando il governo cadde, molti lodarono, per spirito polemico, quel perseguitato pronome, quasi fosse un benemerito della democrazia. Ma in realtà quell’assurdo parlare in terza persona femminile non era piaciuto nemmeno a fior di filologi e letterati del tempo passato. Già Annibal Caro, nel Cinquecento, aveva definito “cosa stranissima e stomacosa” questo modo di “parlare con uno come se fosse un altro”. Giacomo Leopardi, quasi tre secoli dopo, ne disse corna. Giuseppe Baretti, il letterato “fustigatore” del Settecento (egli era infatti il redattore di una rivista ai suoi tempi famosa, che s’intitolava La Frusta letteraria), ne fece una diagnosi cosí esauriente, che vogliamo qui riportare quasi per intero, perché le argomentazioni del letterato settecentesco non peccano né di sciovinismo né di demagogia, ma sono fondate solo sul buonsenso.

Sentiamo dunque il Baretti: “Gl’Italiani hanno tre maniere di scrivere nei loro reciproci carteggi: l’una chiamata signorile, amichevole l’altra e compagnesca la terza. La maniera prima, cioè la signorile, sarebbe forse meglio non si fosse trovata mai, poi che il solo inveterato costume può toglierle quell’apparenza, anzi pure quella sostanza d’assurdo che trae con sé. In quella maniera, l’uomo non scrive all’altro uomo come la semplicità del vero chiederebbe, ma scrive alla signoria dell’altro uomo, vale a dire indirizza il suo parlare ad una cosa non formata dalla natura ma dall’immaginativa; cosicché, volendo domandare ad uno come sta di salute, non gli dice: « Come stai tu di salute? », che sarebbe il modo naturale di fare una simile domanda; ma gli dice: «  Come sta ella di salute, come sta di salute la signoria vostra, o vostra eccellenza, eccetera? »; e tutto il discorso corre a quella foggia, quasi che la signoria o l’eccellenza fosse un ente femminile e non un’idea fantastica e vana. La maniera seconda del nostro scrivere, cioè l’amichevole, corre nella seconda persona del plurale, come se l’uomo a cui si scrive non fosse uno, ma due o piú, e questa si chiama dar del voi. Resta la maniera terza, cioè la compagnesca, che chiamano dar del tu; la quale si adopera dai buoni compagni, vale a dire da quelli che sono legati fra di sé da un affetto cordiale... Fatto sta che delle tre maniere nostre quella del tu è la sola che s’ha diritto legale di domicilio nel nostro Paese. Le altre due non s’hanno quel diritto che per un mero privilegio accordato loro senza un buon perché. Il tu è stato trasmesso a noi dai nostri antichi, e noi dovremmo averlo conservato puro e intatto; ma l’ella sen venne tra noi dagli Spagnoli e il voi dai Francesi, allora che quei due popoli bazzicavano piú in Italia che non oggi”.

Lei è buono (non “buona”), signor colonnello...
Conseguenza del lei rispettosamente elargito al nostro interlocutore: il verbo (nei tempi composti, per i quali si ricorre al participio) finisce anch’esso al femminile; se poi al lei è accordato un aggettivo, anche questo “dovrebbe” essere femminile. Intatti, facendo degli esempi con il verbo, come si dice:

La signoria vostra è invitata,

si deve di conseguenza dire:

Lei è invitata;

Lei ieri è arrivata tardi.

E sin qui, dunque, le cose vanno cosí: il participio della voce verbale, sia passiva come nel primo esempio, sia attiva come nel secondo, è di genere femminile. Quando c’è un aggettivo con funzione di predicato si dovrebbe, per coerenza, dire:

Lei è buona e generosa;

Oggi lei sembra un po’ stanca.

Con l’aggettivo in funzione di attributo:

Lei, di solito cosí buona e generosa, non ci deluderà.

Nella pratica, per fortuna, le cose non vanno cosí. Per qualche tempo, finché era ancor vivo il senso di quei sottintesi soggetti femminili “signoria” o “eccellenza”, non parve strano attribuire aggettivi femminili a interlocutori maschili, ma già negli scrittori dell’ottocento, Manzoni compreso, la costruzione a senso” – che in questo caso è del “buonsenso” – prevalse su quella rigidamente grammaticale. Oggi parrebbe quasi buffo e magari anche piuttosto irrispettoso se noi ci rivolgessimo a un marziale, baffuto colonnello dicendogli:

Lei è buona, signor colonnello...

A meno che quel colonnello sia una donna (non baffuta, si spera, e comunque la frase sarebbe altrettanto stonata).
Invece rimangono femminili, anche se attribuite a un uomo, le particelle pronominali:

Signor colonnello, la aspettiamo a casa nostra;

Egregio colonnello, la abbiamo ammirata per la sua energia.

In quest’ultimo esempio il participio che costituisce la seconda parte della forma verbale composta (cioè: ammirata) è femminile, perché attratto dalla particella pronominale femminile (la).
[segue una spiegazione dell'uso corrente, che espungo poiché non attinente al nostro discorso]

Per queste ragioni, io cerco sempre di dare del Tu, specialmente quando mi rivolgo a coloro che stimo. A volte, uso pure il Lei: o per téma d’esser frainteso, o quando un mio interlocutore esprima tale sua preferenza (come nel caso presente) o, infine, per disprezzo: cioè, penso che, per prendere le distanze da un individuo ignobile, sia saggio uso non citarlo mai di persona, quasi che con ciò si finisse per insozzarsi la lingua, ma riferirsi a lui sempre e solo in maniera mediata, ossia per “interposta terza persona”. :P

Inoltre, rifuggo l’ossequio meramente formale, ossia l’uso isterilito della “forma di cortesia”: che senso ha impiegare il Lei, se poi si è scortesi col proprio interlocutore? Ossia che senso ha la forma se la si tradisce in sostanza? Davvero non voglio scendere sul piano personale, ma menziono soltanto che l’unico mio intervento passato in questo fòro si concluse quando un interlocutore – che peraltro stimo molto – biasimò la mia frase “nelle pagine da Te gentilmente indicate”, rivolta ad un altro fruitore del sito. Ei pose un gran cartello rosso, con categorico punto esclamativo, indicando il Decalogo del sito, ch’io ignoravo e contro cui avevo peccato, quasi che quella Legge fosse stata calata dalle mani stesse del Signore. Rimasi tanto sconcertato ed infastidito da quel comportamento che decisi di non scrivere piú su questo sito, finché non fossi giunto ad una spiegazione. Come al solito, la vita ha dettato che ciò non avvenisse in tempi brevi. Nondimeno, credo e spero che vi sia stato un fraintendimento di fondo: che quello sgarbo sia stato compiuto per leggerezza, e che la mia percezione abbia sentito l'offesa piú del dovuto. Mi piacerebbe associarmi di nuovo alle vostre conversazioni, perché credo che questo vostro lavoro – e mi riferisco qui specialmente all'Infarinato e ai suoi principali coadiutori – sia veramente pregevole, anzi meritorio, encomiabile, insostituibile.
Avatara utente
G. M.
Interventi: 2984
Iscritto in data: mar, 22 nov 2016 15:54

Re: Circa l’uso obbligatorio della “forma di cortesia” o “del Lei”

Intervento di G. M. »

Anaxicrates ha scritto: lun, 31 mar 2025 19:11 Davvero non voglio scendere sul piano personale, ma menziono soltanto che l’unico mio intervento passato in questo fòro si concluse quando un interlocutore – che peraltro stimo molto – biasimò la mia frase “nelle pagine da Te gentilmente indicate”, rivolta ad un altro fruitore del sito. Ei pose un gran cartello rosso, con categorico punto esclamativo, indicando il Decalogo del sito, ch’io ignoravo e contro cui avevo peccato, quasi che quella Legge fosse stata calata dalle mani stesse del Signore. Rimasi tanto sconcertato ed infastidito da quel comportamento che decisi di non scrivere piú su questo sito, finché non fossi giunto ad una spiegazione. […] Nondimeno, credo e spero che vi sia stato un fraintendimento di fondo: che quello sgarbo sia stato compiuto per leggerezza, e che la mia percezione abbia sentito l'offesa piú del dovuto.
Gentile Anaxicrates, visto che nessuno le ha risposto provo a farlo io, che non gestisco il sito ma sono un frequentatore ormai da non pochi anni. :) Rispondo solo su questo punto e non sul discorso in generale. Il messaggio a cui fa riferimento è questo, lo riporto perché i lettori possano trovarlo più facilmente.

In questo fòro, spazio prezioso che ci è offerto gratuitamente, siamo tutti ospiti; e quando si è ospitati da qualcuno, è banale e giusto rispettare le indicazioni del padrone di casa. Dare del lei è poco comune nell'uso dei fòri in Rete, ma non è nulla di inaccettabile, incomprensibile o inattuabile: tutti noi lo facciamo quando parliamo a voce. Se sono ospite di qualcuno e non faccio come ha chiesto che si faccia a casa sua, è normale che quel qualcuno mi richiami: non è sgarbato, semmai è stato poco cortese da parte mia non prestare attenzione. Di fronte a un banale richiamo, il suo risentimento e i suoi toni polemici («avevo peccato», «Legge […] calata dalle mani stesse del Signore») mi paiono sproporzionati.

La faccenda del lei, poi, è particolare perché i nuovi arrivati che sbagliano sono numerosi. La cosa è bizzarra, perché nel fòro quasi tutti in quasi tutti i messaggi usiamo il lei; è "comprensibile" che chi interviene in un fòro non abbia letto le regole, magari aspettandosi che siano "le solite cose" (siate gentili, niente insulti, niente politica, niente fuoritema, ecc.), e gli sfugga un'indicazione; ma è incomprensibile che uno non se accorga quando il lei qui è usato praticamente ovunque, in vistoso contrasto con le altre piazze virtuali simili. L'impressione è che i nuovi venuti intervengano in uno spazio in cui non hanno letto nemmeno un paio di filoni prima, delle migliaia che si possono leggere. Mi pare quindi normale che l'amministratore sia scocciato dalla ripetitività dell'infrazione, e richiami in modo semplice e secco, senza dilungarsi. :wink:
Avatara utente
Ferdinand Bardamu
Moderatore
Interventi: 5195
Iscritto in data: mer, 21 ott 2009 14:25
Località: Legnago (Verona)

Re: Circa l’uso obbligatorio della “forma di cortesia” o “del Lei”

Intervento di Ferdinand Bardamu »

Ringrazio Giulio dell’intervento chiaro ed equilibrato, che faccio mio. :) Non credo che ci sia altro da aggiungere sull’argomento.
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