A proposito di «stresse»

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Marco1971
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A proposito di «stresse»

Intervento di Marco1971 »

Sebbene la parola stress abbia la stessa etimologia di strizzare (cfr DELI, dal latino districtia), non se ne può fare strizza, che troppo familiarmente e regionalmente è connotato. Ma se ne può benissimo fare stresse, aiutando i sonogrammi a restituirci un italiano discevaiato. E stresse s’inserisce in una serie di parole comuni: calèsse, èsse (nome della lettera S), interèsse e mèsse.

Similmente, che senso ha afrikaans? Si potrebbe dire e scrivere africanso. Se solo rinsavissimo... :D
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Freelancer
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Re: A proposito di «stresse»

Intervento di Freelancer »

Marco1971 ha scritto:Sebbene la parola stress abbia la stessa etimologia di strizzare (cfr DELI, dal latino districtia), non se ne può fare strizza, che troppo familiarmente e regionalmente è connotato. Ma se ne può benissimo fare stresse, aiutando i sonogrammi a restituirci un italiano discevaiato. E stresse s’inserisce in una serie di parole comuni: calèsse, èsse (nome della lettera S), interèsse e mèsse.

Similmente, che senso ha afrikaans? Si potrebbe dire e scrivere africanso. Se solo rinsavissimo... :D
Marco, lei è incontentabile. Già il fatto che la derivazione da sostantivi stranieri sia un processo vivo nell'italiano e quindi si creino, ad esempio, filmare, flirtare, bluffare, stressare e così via, è, come già osservava Migliorini, segno che la lingua reagisce bene e assimila i forestierismi conformandoli ai propri tipi più frequenti mediante suffissi. Che poi lasci inalterati i sostantivi originali è un altro discorso; e per ripetere ad nauseam (per dirla con Infarinato) quanto scritto da Migliorini già nel 1938,
la lingua... non sa decidersi ad adattare le forme toscane, che le sembrano limitate da un punto di vista territoriale, e popolari o addirittura plebee da un punto di vista sociale.
Ultima modifica di Freelancer in data mer, 13 dic 2006 0:16, modificato 1 volta in totale.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Ma allora si dica proprio /flir'tare/ e /bluf'fare/! Ma nella realtà, quante pronunce incerte si sentono di questi due verbi?

È vero, lo diceva il Migliorini, che non contesto mai. ;) Tuttavia, mi sembra che se la gente fosse sensibilizzata su vasta scala, la percezione di queste forme naturalissime e normalissime potrebbe cambiare.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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u merlu rucà
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Intervento di u merlu rucà »

L'adeguamento è un problema complesso. Non tutti gli italiani hanno la stessa sensibilità linguistica, perché differenti sono i sostrati di partenza. I parlanti delle regioni del Nord, per esempio, non hanno grossi problemi ad accettare forme come stress, perché nei loro dialetti le vocali finali sono cadute da tempo immemorabile (con l'eccezione del veneto e del ligure). L'uso di stresse potrebbe essere inteso, quindi, in un certo senso, come romanesco (più che toscano direi, dato che in televisione il romanesco impazza).
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Basta farci l’abitudine. Non credo che a orecchi nordici suonino romanesche parole come interesse, calesse e messe. E questo proprio perché tutti usano queste voci da sempre.

La sensibilità linguistica è una scusa fino a un certo punto, oltrepassato il quale i parlanti devono capire che l’italiano ha le sue leggi, diverse da quelle dei loro dialetti.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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bubu7
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Intervento di bubu7 »

Marco1971 ha scritto: La sensibilità linguistica è una scusa fino a un certo punto, oltrepassato il quale i parlanti devono capire che l’italiano ha le sue leggi, diverse da quelle dei loro dialetti.
Guardi che “l’italiano e le sue leggi” è oggi fatto in Italia, come lo è stato da secoli in altre nazioni, soprattutto dai parlanti. Sarà bene che se ne prenda atto.
E questi parlanti, che cercano di seguire le leggi attuali dell’italiano, sono necessariamente condizionati dai rispettivi substrati dialettali. Anche di questo dovremmo prenderne atto.
In quanto alla sensibilità linguistica personale non si tratta di una “scusa” bensì di una variabile dalla quale non si può prescindere e che condiziona fortemente l’evoluzione linguistica.
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Prendo atto di tutto quello che vuole. Ma non m’arrendo di fronte alle tendenze attuali, e questo non me lo può impedire, per quanto vano lo possa considerare.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Intervento di bubu7 »

Marco1971 ha scritto:Prendo atto di tutto quello che vuole. Ma non m’arrendo di fronte alle tendenze attuali, e questo non me lo può impedire, per quanto vano lo possa considerare.
Non si arrenda la prego!
Lungi da me l'idea d'impedirle alcunché. Anzi, spero di tutto cuore che lei continui a sostenere le sue tesi. Io sarò in prima fila a difendere questa sua possibilità (mi sembra che quest'ultimo pensiero non sia molto originale :roll: ).
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Intervento di Marco1971 »

La ringrazio. Ma questa mia possibilità non credo abbia bisogno di difesa, specialmente in questa sede.

In definitiva, non penso di essere troppo lungi dal vero dicendo che io combatto per la preservazione d’un patrimonio culturale, e che lei si adegua invece allo stato in cui versa la lingua oggi, perché vede in ciò un’evoluzione proficua. Sono, mi sembra, due posizioni legittime, ma inconciliabili perché l’una è mossa da una tensione e l’altra da un’accettazione.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Intervento di bubu7 »

Marco1971 ha scritto: In definitiva, non penso di essere troppo lungi dal vero dicendo che io combatto per la preservazione d’un patrimonio culturale, e che lei si adegua invece allo stato in cui versa la lingua oggi, perché vede in ciò un’evoluzione proficua. Sono, mi sembra, due posizioni legittime, ma inconciliabili perché l’una è mossa da una tensione e l’altra da un’accettazione.
E invece continua, nonostante le mie ripetute precisazioni (l’ultima risale a due giorni fa), a essere lontano dal vero e a tratteggiare di me lo stesso ritratto sbagliato. :)
bubu7 due giorni fa ha scritto:
Marco1971 ha scritto:…mi sembrava, ma spero di sbagliarmi, che lei fosse a favore dei cambiamenti, qualunque essi siano…
No, non sono favorevole a tutti i cambiamenti. Come dicevo, una cosa è l’osservazione e la descrizione dei cambiamenti in atto, oppure le proposte per possibili correzioni di rotta alla luce dello stato attuale della ricerca linguistica; un’altra la mia posizione personale che si può intuire anche dalle mie scelte linguistiche.
P.s.
Ne aggiungo solo un'altra...
bubu7, non molto tempo fa, ha scritto:Di sfuggita segnalo che la comprensione dei fenomeni linguistici in atto non implica, per quanto mi riguarda, la soddisfazione per la situazione attuale e non esime, sempre per quanto mi riguarda, dall’indicare delle proposte ragionevoli per migliorare la situazione stessa.
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