Forse, prima di porre un tale quesito, Lei dovrebbe leggersi le centinaia d’interventi sull’argomento pubblicati in questo fòro, o perlomeno un buon manuale di fonetica storica della lingua italiana.
L’italiano è sostanzialmente il fiorentino aureo del Trecento con apporti quattro-cinquecenteschi del fiorentino argenteo e poi del fiorentino ottocentesco, cui si aggiungono infine quelli della letteratura e della radiotelevisione italiane del secolo scorso.
La pronuncia della lingua italiana,
per essere coerente, deve pertanto seguire la pronuncia fiorentina/toscana (e, in certa misura, romana, visto che il romanesco moderno è un dialetto toscan[izzat]o), depurata di alcuni tratti fonetici che non sono mai passati [perlomeno, non ufficialmente, anche se alcuni di essi avrebbero forse dovuto] alla lingua nazionale.
Alcuni esempi della fiorentinità dell’italiano? La prima plurale del presente indicativo in ‑
iamo: se l’italiano non fosse [sostanzialmente] il fiorentino, diremmo tutti
amamo,
tememo,
sentimo invece di
amiamo,
temiamo,
sentiamo.
Scriviamo inoltre
dabbene,
daccapo,
dappertutto etc. perché in fiorentino/toscano la preposizione
da produce raddoppiamento fonosintattico.
Cosí lo
sci di
ascia, lo
gn di
ragno e lo
gli di
aglio sono pronunciati rafforzati in quanto coerenti esiti fiorentini dei corrispondenti nessi consonantici latini.
E non mi soffermerò sulle ragioni di fonetica storica della pronuncia chiusa o aperta della
e e della
o, di quella sorda o sonora di
s e
z, per le quali può leggersi le relative pagine del
DOP, a partire da
questa.
P.S. Benvenuto!
