Ferdinand Bardamu ha scritto:Noto una palese contraddizione «di metodo» nei due passaggi che riporto sopra. Non si fidi del magro sunto che ho fatto io del pensiero di MacDonald.
Sí, sono stato troppo sentenzioso nella conclusione, ritenendo valida l’inferenza: dopotutto già le mie premesse —come ben ha mostrato— erano caute. Ho però un solo dubbio, che spero di risolvere nella lettura diretta del testo: prima dell’alfabetizzazione di massa, il pubblico «adeguato» è stato
comunque composto di «pochi felici». È una costante storica. Sono poi pienamente d’accordo coll’analisi di MacDonald sull’ingombrante presenza della cultura di massa (questo «felice» incontro di alfabetizzazione e mercato, che è sicuramente una novità), ma ribadisco ch’è trascurabile per la cultura alta. Per l’appunto, pare proprio che l’autore —con la sua esortazione— dica: «Si continui cosí come sempre è stato: non lasciamoci attrarre dalla vertigine del vuoto». E cosí è andata e —insciallà— andrà sempre. Insomma, caro Ferdinand, siamo fondamentalmente d’accordo sullo stesso punto.
Marco1971 ha scritto:Io non ho scritto Si dice o non si dice, ho scritto Si dice, e non si dice, che non è affatto la stessa cosa.
Ho citato (malamente) a memoria, ma ciò che intendevo criticare era l’approccio dualistico, polare, di reciproca esclusione, che può andar bene solo nell’ottica della grammatica sincronica (che —per definizione, essendo un’«istantanea»— è inevitabilmente transeunte). Dal momento che non mi sembra che «si dice, e non si dice» significhi qualcosa d’altro, la prego d’illustrarcene la differenza, per evitare l’equivoco.
Marco1971 ha scritto:…un metodo che si può anche non condividere, ma che poggia su quello che di meno ricusabile e impressionistico si possa concepire: le manifestazioni reali della lingua analizzate attraverso il filtro storico dell’evoluzione linguistica; il vaglio analitico e ragionato dei diversi usi; il confronto, infine, tra passato e presente, nelle sue continuità e discontinuità, nel pulsare – puerile e puro – delle umane voci.
Codesta elegante e seducente enumerazione dei metodi di studio della lingua non conduce però alla sua asserzione, cioè che la lingua «divent[erebbe] nota e familiare, e codice condiviso in cui la gente si riconosce» nel processo storico: una lingua è tale, in realtà, in ogni sua fase generazionale. La questione è semmai quella della canonizzazione, che —come ho spiegato prima— è il momento di stabilità [artificiale] che s’introduce nel mutamento naturale, e che è funzionale all’apprendimento del codice linguistico da parlanti non nativi che in esso però vogliono riconoscersi (
e.g., gl’intellettuali italiani non fiorentini). La lingua cólta, tuttavia, che interrompe il rapporto di mutua influenza col «volgare» (qui nella sua accezione piú ampia di «parlare del volgo da cui è emerso l’idioma canonico») rischia la cristallizzazione grammaticale (lessico, morfologia, sintassi) e l’estinzione. Bembo si considerava già un traguardo —come tra l’altro si pretendeva la Crusca—, eppure è stato tale solo parzialmente, in quanto non è stato possibile trascurare gli sviluppi linguistici naturali. La canonizzazione piú duratura, a cui cioè piú difficilmente si oppongono cambiamenti «carsici», è forse l’ufficializzazione. Nell’italiano contemporaneo, per esempio, l’oscillazione morfologica è stata azzerata. Anche qui, Ferdinand ha scritto che la lingua italiana «ha subíto mutamenti tanto rapidi negli ultimi quattro decenni quanto mai lo sono stati nella sua secolare storia». Ho qualche perplessità su quest’affermazione. Dipenderà dalla prospettiva: lessicale? morfologica? sintattica?
Concludo con una nota sulla piccola disputa sull’
i prostetica. È oggettivamente antiquata anche nella percezione cólta attuale, non solo in quella «comune». Anzi, dirò, oggi non è un costrutto
normale in nessun registro (salvo —come ogni arcaismo— in un uso «espressivo» o in prosa letteraria), sebbene abbia resistito [assai] sporadicamente anche nel Novecento. Fanno eccezione, naturalmente, le locuzioni cristallizzate
per iscritto e
in ispecie (che si tende ormai a sostituire col solo
specie).