Vorrei chiarire che sto cercando di dare un contributo a questa discussione dal punto di vista della
terminologia, che in ambito linguistico può significare:
1 – insieme di termini specifici di un settore specializzato
2 – disciplina teorica
3 – attività di ricerca, documentazione e riutilizzo coerente dei concetti e dei termini ad essi associati
In questo contesto, vorrei aggiungere alcune note.
Marco1971 ha scritto: il GRADIT dà tre diverse accezioni di default: la prima pertiene al campo dell’informatica, la seconda a quello dell’economia, e la terza a quello del diritto privato. Non è dunque termine monosemico in italiano.
Credo possa essere utile ribadire la distinzione tra
parole (lessico comune), il vocabolario condiviso dalla maggior parte dei parlanti, e
termini (lessico specifico), la terminologia di un settore specializzato. In questo senso, all’interno di ciascuno dei linguaggi specialistici citati
default ha valore monosemico.
Marco1971 ha scritto:esistono numerosissime parole del lessico comune che possiedono una o piú accezioni tecniche;
Ringrazio Marco per avere fatto questo esempio, perché anche in questo caso credo sia importante distinguere tra parole e termini. La
terminologizzazione (il processo per cui una parola o un’espressione di uso generale o comune viene trasformata in un termine che designa un concetto particolare in un linguaggio speciale) è un meccanismo di creazione di nuovi termini molto comune, però all’interno di ciascun linguaggio specialistico di norma la parola che ha subito terminologizzazione ha valore monosemico. Ad esempio, in informatica il termine
finestra designa uno specifico elemento di interfaccia grafica ma non gli vengono attribuiti gli altri significati che la parola
finestra ha nel lessico comune.
Ferdinand Bardamu ha scritto:Non è necessario che una parola sia monosemica perché possa avere una specializzazione terminologica.
.Silvia. ha scritto:Non è la parola straniera a essere intrisa di significato specifico, siamo noi che la adottiamo ad attribuirle quel significato "specialistico", che altrimenti non avrebbe. Errato pensare che l'abbia nella lingua di partenza.
Quando si discute di parole, viene naturale usare un approccio semasiologico. In terminologia si preferisce invece un orientamento onomasiologico: si evita di partire da una parola attribuendole un significato ma si analizza invece un concetto e si sceglie il segno (il termine) che meglio lo rappresenta (il processo viene spiegato facendo riferimento al
triangolo semiotico). Il termine è una convenzione, una specie di “etichetta”, e da un punto di vista terminologico, perlomeno in teoria, dovrebbe essere abbastanza irrilevante quale etichetta sia stata usata nella lingua di partenza.
Presumo che nel linguaggio specialistico della finanza ci siano stati dei motivi validi per decidere che in italiano, all’interno di quello specifico sistema concettuale, il concetto “condizione di insolvenza di una banca o di un paese nei confronti di obbligazioni o debiti” fosse rappresentato al meglio da
default (che, come abbiamo visto, non coincide con
default in inglese) piuttosto che da una locuzione italiana.
Sia chiaro, non voglio difendere a tutti i costi la scelta di
default, la sto usando come esempio per ribadire che i parametri applicabili al lessico comune sono diversi da quelli applicabili alla terminologia di un linguaggio specialistico, all’interno del quale possono esserci esigenze specifiche non note al di fuori di quell’ambito. Lascerei quindi agli esperti del settore i giudizi sulle scelte terminologiche, senza accusarli a priori di nefandezze linguistiche

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Passando invece al lessico comune e alla necessità di descrivere un nuovo concetto, già noto in un ambito specifico ma estraneo all’italiano standard, ovviamente si può discutere se adottare un termine tecnico già esistente come
default, che ha il vantaggio di poter essere facilmente distinguibile ed è ampiamente documentato ma lo svantaggio di essere un forestierismo, oppure creare una nuova parola conforme alle regole del proprio sistema linguistico ma potenzialmente poco utile per chi volesse approfondire l’argomento perché non è usata da chi se ne occupa. Entrambe le strategie possono essere valide, come dimostra la storia della lingua italiana.
Infine, .Silvia. mi chiede cosa intendo con "tenersi minimamente informati", elencando una serie di fonti e percentuali. Non so se ho capito bene la domanda ma, per fare un esempio tra quelli citati, penso sia improbabile che chi legge regolarmente i quotidiani nazionali non abbia mai sentito parlare di
default. Credo che i criteri giornalistici da seguire in caso di termini importati da un linguaggio specialistico esulino da questa discussione, sarebbe comunque auspicabile che venisse sempre aggiunta una spiegazione se il concetto non è ancora sufficientemente noto e frequente e/o non sono facilmente reperibili informazioni in proposito.
Ancora una volta, ringrazio tutti per l’attenzione e i commenti (anche se uno in particolare mi è sembrato un attacco personale abbastanza gratuito e fuori luogo, o perlomeno poco cortese). Non avrò più modo di seguire eventuali sviluppi di questa discussione e quindi concludo qui il mio contributo “terminologico”, augurandomi di avere dato qualche spunto utile a chi è aperto a punti di vista diversi dal proprio.
Licia Corbolante