«San Stino di Livenza»
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In area italica i paesi col nome San .. piuttosto che Santo/Sant' ... sono la maggioranza; pertanto la forma San non è soltanto veneta ma è diffusa in quasi tutto lo stivale: San Lupo, San Luca, San Lorenzo, San Mauro, San Pietro di Caridà, San Ponso, San Rufo, e mille altri.
Stino invece è la italianizzazione di Stin.
E' vero quanto scritto da Bardamu che davanti davanti a nomi come Stefano la toponomastica italiana ha sempre la forma Santo;
pertanto il San di San Stino/Stin è più una forma veneta che in volgare italiano.
Abbiamo nell'atlante stradale del TCI dell'area nord italiana:
Santo Stefano, Santo Spirito e Santo Stino di Livenza;
San Salvatore, San Silvestro, San Sebastiano, San Secondo, San Savino, San Siro, San Sisto, San Sisino, San Salvaro, San Servolo, San Silvestro.
Stino invece è la italianizzazione di Stin.
E' vero quanto scritto da Bardamu che davanti davanti a nomi come Stefano la toponomastica italiana ha sempre la forma Santo;
pertanto il San di San Stino/Stin è più una forma veneta che in volgare italiano.
Abbiamo nell'atlante stradale del TCI dell'area nord italiana:
Santo Stefano, Santo Spirito e Santo Stino di Livenza;
San Salvatore, San Silvestro, San Sebastiano, San Secondo, San Savino, San Siro, San Sisto, San Sisino, San Salvaro, San Servolo, San Silvestro.
Ultima modifica di caixine in data lun, 22 ott 2012 6:29, modificato 1 volta in totale.
Ke bela ke la xe la me lengoa veneta, na lengoa parlà co' piaser anca dal bon Dio!
Alberto Pento
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Anche in Toscana, dove il vernacolo non è neppure considerato «dialetto» ma semplice «variante rustica» dell'italiano, ci sono dei toponimi che non riflettono la forma locale: una frazione del comune di San Miniato si chiama ufficialmente Isola ma tutti dicono l'Isera; Prato è intepretato come se quel -to fosse un participio e pronunciato ['pʰraːho] o ['pʰraˑo] e si potrebbe continuare.
In quanto a San Stino, io mi fido di quanto dice il Pellegrini (che conferma quanto hanno sostenuto Abate e Olivieri).
In quanto a San Stino, io mi fido di quanto dice il Pellegrini (che conferma quanto hanno sostenuto Abate e Olivieri).
Da notare che nel caso di Santo Stino (a differenza di San Stae) il Pellegrini non cita neppure la forma apocopata, in ossequio alla regola italiana per cui san non si apocopa mai davanti a «s impura» (ovvero una s grafica seguita da una o due consonanti); il DOP, di solito abbastanza inflessibile, in questo caso è «possibilista».Giovan Battista Pellegrini ha scritto:Santo Stin(o) = S. Stefano (attraverso Stevanìn > Steonìn), San Stae (con le varianti ant. Stacio, Stacio) = S. Eustachio (ma della variante greca Εὐστάθιος) [...]
Toponomastica italiana, p. 399.
- SinoItaliano
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Caixine, gli esempi da Lei citati confermano la regola che vuole Santo davanti a «s impura» e San davanti alle altre consonanti, compresa la s seguita da vocale.
Però il DOP marca San Stino come «pronuncia locale».
Tuttavia non mi stupirei se in Veneto mettessero i toponimi in veneto, visto che a Venezia gran parte della topomastica è in veneziano (es. calle, sottopòrtego, interrà, ca', ecc.).
Però il DOP marca San Stino come «pronuncia locale».
Tuttavia non mi stupirei se in Veneto mettessero i toponimi in veneto, visto che a Venezia gran parte della topomastica è in veneziano (es. calle, sottopòrtego, interrà, ca', ecc.).
Questo di sette è il piú gradito giorno, pien di speme e di gioia: diman tristezza e noia recheran l'ore, ed al travaglio usato ciascuno in suo pensier farà ritorno.
- SinoItaliano
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Va benissimo chiamarla «lingua veneta» visto che è riconosciuta come lingua da molti linguisti e dall'ISO.caixine ha scritto:La lingua veneta si chiama lingua e non dialetto.
Tuttavia non è sbagliato neanche chiamarlo dialetto.
Dialetto non ha lo stesso significato ovunque.
Ferdinand ha già dato il suo significato italiano.
Se Lei decidesse di usare dialetto nel senso anglo-francese, allora il veneto diventerebbe «lingua regionale», mentre ciò che chiamiamo «italiano regionale veneto» diventerebbe «dialetto veneto dell'italiano».
Ma non mi sembra che questa terminologia sia diffusa in Italia.
Questo di sette è il piú gradito giorno, pien di speme e di gioia: diman tristezza e noia recheran l'ore, ed al travaglio usato ciascuno in suo pensier farà ritorno.
- caixine
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Grazie, io preferisco chiamarla lingua e indipendentemente da quello che dicono alcuni linguisti e l'ISO.SinoItaliano ha scritto:Va benissimo chiamarla «lingua veneta» visto che è riconosciuta come lingua da molti linguisti e dall'ISO.caixine ha scritto:La lingua veneta si chiama lingua e non dialetto.
Tuttavia non è sbagliato neanche chiamarlo dialetto.
Noi siamo uomini non certo perché lo dicono taluni antropologi o naturalisti o chissà chi.
La lingua esiste prima dei linguisti e gli uomini prima di certi studiosi e di tutti i professori.
Le lingue e gli uomini non hanno bisogno di riconoscimenti di alcuna autorità per essere tali, lo sono di per sè e a prescindere.
Per me la mia lingua veneta ha la stessa dignità di quella italiana e non tollero che la si tratti come inferiore come non tollero che si discriminino gli uomini con i prarametri del razzismo.
La sociolinguistica che pratica il razzismo o la discriminazione sociale non è una scienza ma una pratica deleteria ideologicamente turpata, turbata, tarpata e storpiata.
Ultima modifica di caixine in data lun, 22 ott 2012 6:52, modificato 2 volte in totale.
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Alberto Pento
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- caixine
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Queste sono forme veneziane italianizzate; la lingua veneta in genere non ha le doppie.SinoItaliano ha scritto:...Tuttavia non mi stupirei se in Veneto mettessero i toponimi in veneto, visto che a Venezia gran parte della topomastica è in veneziano (es. calle, sottopòrtego, interrà, ca', ecc.).
Il nostro modello linguistico veneto non è quello veneziano.
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Alberto Pento
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- Ferdinand Bardamu
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Oltre al contenuto delirante del suo discorso, vorrei sottolineare la banale constatazione che la sociolinguistica, in quanto scienza, si astiene da giudizi di valore, limitandosi a descrivere l’esistente. È un dato di fatto che il veneto si trovi in una posizione d’inferiorità rispetto all’italiano. Se lei vuole rovesciare questo stato di cose, può farlo senza dire sciocchezze offensive verso chi si dedica a questa disciplina.caixine ha scritto:La sociolinguistica che pratica il razzismo o la discriminazione sociale non è una scienza ma una pratica deleteria ideologicamente turpata, turbata, tarpata e storpiata.
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...ma infatti nella toponomastica veneziana non ci sono le doppie: i varii rii interrati in varie epoche sono "rio terà" anche sui cartelli e sullo stradario, così come il sotopotego.
A parte che ci ho messo un po', da ragazzina, a decifrare quel "terà" (ma perché non conoscevo la storia dei lavori pubblici in venezia), però pensare ora di trasformarlo in "rio interrato" ("vado a fare la spesa in Interrato" anziché "vado a fare la spesa in Terà") mantenendo sempre la frase italiana (perché purtroppo il veneziano la nonna non voleva che lo imparassi), mi fa un po' senso...
Altro esempio, citato peraltro più sopra: San Stae, un toponimo con st e "san" davanti. E' la forma veneziana; a quel punto sarebbe Santo Eustachio, Santo Stae è un ibrido che o non viene riconosciuto o verrebbe preso per uno strafalcione da foresto.
quello che mi disturba nella decisione del Comune in questione, è la via di mezzo, perché "san Stino" è un altro ibrido che non esiste. Si abbia allora in coraggio di ripristinare il nome completo originario. Non sarebbe nemmeno così scandaloso, perché il toponimo indica il luogo abitato, non il santo, voglio dire, non significa più "santo Stefano" per cui devo riportarlo in italiano perché sia comprensibile. Il suono San Stin indica quel luogo fra tutti i simili, è il suo nome proprio, che i locali danno e in cui si riconoscono.
Comunque, è una storia diffusissima, ci sono stati periodi in cui l'IGM ha italianizzato tutti i toponimi, con risultati spesso devastanti. Mi domando se questa operazione abbia avuto veramente senso.
Es: il "monte Guglielmo" sulla sponda bresciana dell'Iseo, che spesso si trova indicato come "monte Guglielmo o Golem", in cui il secondo è il nome originale... l'italianizzazione in questo caso mi sembra abbastanza gratuita...
però questo diventa un altro filone...
A parte che ci ho messo un po', da ragazzina, a decifrare quel "terà" (ma perché non conoscevo la storia dei lavori pubblici in venezia), però pensare ora di trasformarlo in "rio interrato" ("vado a fare la spesa in Interrato" anziché "vado a fare la spesa in Terà") mantenendo sempre la frase italiana (perché purtroppo il veneziano la nonna non voleva che lo imparassi), mi fa un po' senso...
Altro esempio, citato peraltro più sopra: San Stae, un toponimo con st e "san" davanti. E' la forma veneziana; a quel punto sarebbe Santo Eustachio, Santo Stae è un ibrido che o non viene riconosciuto o verrebbe preso per uno strafalcione da foresto.
quello che mi disturba nella decisione del Comune in questione, è la via di mezzo, perché "san Stino" è un altro ibrido che non esiste. Si abbia allora in coraggio di ripristinare il nome completo originario. Non sarebbe nemmeno così scandaloso, perché il toponimo indica il luogo abitato, non il santo, voglio dire, non significa più "santo Stefano" per cui devo riportarlo in italiano perché sia comprensibile. Il suono San Stin indica quel luogo fra tutti i simili, è il suo nome proprio, che i locali danno e in cui si riconoscono.
Comunque, è una storia diffusissima, ci sono stati periodi in cui l'IGM ha italianizzato tutti i toponimi, con risultati spesso devastanti. Mi domando se questa operazione abbia avuto veramente senso.
Es: il "monte Guglielmo" sulla sponda bresciana dell'Iseo, che spesso si trova indicato come "monte Guglielmo o Golem", in cui il secondo è il nome originale... l'italianizzazione in questo caso mi sembra abbastanza gratuita...
però questo diventa un altro filone...
Mi sembra che i più prestigiosi scienziati e filosofi veneti si esprimano in italiano quando devono scrivere di cose importanti. Poi al barreFerdinand Bardamu ha scritto:È un dato di fatto che il veneto si trovi in una posizione d’inferiorità rispetto all’italiano.

Infatti, sarebbe stato meglio scegliere di scrivere «Santo Stino di Livenza» (nome ufficiale) e sotto, di colore marrone (cartello ammesso dal Codice della Strada come «informazione turistica»), «San Stin». Questo perché il veneto non è riconosciuto come «lingua minoritaria» e in Veneto non esiste obbligo di doppia toponomastica (per me potrebbero anche farla, non ci sono problemi). Però mi piacerebbero anche cartelli turistici con scritto Prao, l'Isera (v. supra) e magari, (esagerando un po'), Łivołno, che riprende la vecchia pronuncia con le l velarizzate del vernacolo livornese, oggi in regresso.domna charola ha scritto:la via di mezzo, perché "san Stino" è un altro ibrido che non esiste
- Ferdinand Bardamu
- Moderatore
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- Iscritto in data: mer, 21 ott 2009 14:25
- Località: Legnago (Verona)
Ma io proprio questo volevo dire: anch’io lo parlo in situazioni comunicative come quelle che lei ha descritto (al bar, par tore in xiro i foresti, ecc.), ma in un registro piú alto, appunto, uso l’italiano. Non solo non c’è nulla di male a usare il proprio dialetto, ma in alcuni casi sarebbe strano parlare in italiano: per esempio, io parlo in dialetto ogni volta che mi arrabbio, perché è per me l’unica lingua con cui posso esprimere genuinamente l’ira. A scanso della solita lagna di qualcuno (caixine), non ritengo il dialetto qualitativamente inferiore all’italiano, né lo disprezzo, anzi, come lei col suo vernacolo mi piace approfondirne la conoscenza.Carnby ha scritto:Mi sembra che i più prestigiosi scienziati e filosofi veneti si esprimano in italiano quando devono scrivere di cose importanti. Poi al barrepotranno anche ordinare l'espresso in veneto, non ci trovo nulla di male, anch'io uso il vernacolo (che continuo a studiare e apprezzare) con i miei corregionali o quando voglio far due risate con i «forestieri».
Ultima modifica di Ferdinand Bardamu in data lun, 22 ott 2012 12:34, modificato 1 volta in totale.
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- Iscritto in data: ven, 13 apr 2012 9:09
... i "presitgiosi scienziati veneti" quando scrivono di scienza, probabilmente lo fanno in inglese... (ohimé...)
Sulla questione dei topnimi, non riesco a convincermi del tutto. Non è questione di bilinguismo, ma di concetto - molto primitivo, diciamo che siamo a livello di antropologia - di "nome proprio", cioè quell'insieme di suoni che, indipendentemente dal loro significato originario, sono passati ad indicare una - e una sola - entità geografica. Il "nome proprio" lo percepisco come intraducibile, perché rappresentativo del singolo ente e ad esso legato. Esso nasce nel luogo (nel nostro caso) o nell0'intorno della persona (se è un nome di persona), e poi si diffonde; ma la decisione di "come chiamarlo" è di chi è lì, in quel momento; i tentativi di treaduzione sono ingerenze dall'esterno di quella che è in fondo la libertà di "chiamarsi come i diretti interessati hanno deciso" e non come qualcun'altro pensa sia più corretto in una qualsiasi lingua (se non fosse per ragioni di comoità e di uso, sarei anche per London, Paris, e sicuramente Mockba suona meglio di Mosca, per chi lo legge correttamente).
Però, appunto, col toponimo completo e originario; non con una via di mezzo. Altrimenti, meglio Santo Stefano di Livenza, perché "santo Stino" non esiste proprio in nessun calendario o libro dei santi.
Se cerchiamo la traduzione, cioè guardiamo al senso originale del nome, percepito come un'informazione e non una denominazione, allore traduzoine deve essere, e non ci vedrei nulla di male in "santo Stefano di Livenza", che mi informa che quel paese è stato dedicato ad un certo santo. E' un dato sulla storia, sulle origini, e un senso e un valore ce l'ha.
Ma santo Stino, con questa apparenza di traduzione che tradzione non è, genera solo la convinzione che i veneti si inventino santi stranissimi tutti loro (facciamo allora anche "campo san Giovanni Degolà", nome e cognome, allora... o si traduce tutto o non si traduce niente)
Sulla questione dei topnimi, non riesco a convincermi del tutto. Non è questione di bilinguismo, ma di concetto - molto primitivo, diciamo che siamo a livello di antropologia - di "nome proprio", cioè quell'insieme di suoni che, indipendentemente dal loro significato originario, sono passati ad indicare una - e una sola - entità geografica. Il "nome proprio" lo percepisco come intraducibile, perché rappresentativo del singolo ente e ad esso legato. Esso nasce nel luogo (nel nostro caso) o nell0'intorno della persona (se è un nome di persona), e poi si diffonde; ma la decisione di "come chiamarlo" è di chi è lì, in quel momento; i tentativi di treaduzione sono ingerenze dall'esterno di quella che è in fondo la libertà di "chiamarsi come i diretti interessati hanno deciso" e non come qualcun'altro pensa sia più corretto in una qualsiasi lingua (se non fosse per ragioni di comoità e di uso, sarei anche per London, Paris, e sicuramente Mockba suona meglio di Mosca, per chi lo legge correttamente).
Però, appunto, col toponimo completo e originario; non con una via di mezzo. Altrimenti, meglio Santo Stefano di Livenza, perché "santo Stino" non esiste proprio in nessun calendario o libro dei santi.
Se cerchiamo la traduzione, cioè guardiamo al senso originale del nome, percepito come un'informazione e non una denominazione, allore traduzoine deve essere, e non ci vedrei nulla di male in "santo Stefano di Livenza", che mi informa che quel paese è stato dedicato ad un certo santo. E' un dato sulla storia, sulle origini, e un senso e un valore ce l'ha.
Ma santo Stino, con questa apparenza di traduzione che tradzione non è, genera solo la convinzione che i veneti si inventino santi stranissimi tutti loro (facciamo allora anche "campo san Giovanni Degolà", nome e cognome, allora... o si traduce tutto o non si traduce niente)
- u merlu rucà
- Moderatore «Dialetti»
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- Iscritto in data: mar, 26 apr 2005 8:41
Il problema dell'italianizzazione dei toponimi è annoso. In alcuni casi non è molto dannosa (Sanremu/Sanremo), in altri devastante, specialmente quando il toponimo indigeno è in un dialetto o lingua abbastanza diverso dall'italiano. Nel settentrione il veneto dovrebbe, in teoria, essere più fortunato del piemontese, del lombardo, del ligure ecc. Ma la fantasia stupida di chi ha provveduto a trasporre nella lingua nazionale è senza limiti.
- Ferdinand Bardamu
- Moderatore
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- Iscritto in data: mer, 21 ott 2009 14:25
- Località: Legnago (Verona)
Da un alto le do sicuramente ragione, basti pensare ai guasti di certi toponimi tolomeiani in Alto Adige; dall’altro, però credo che l’italianizzazione serva un imprescindibile scopo pratico, in ispecie per quanto riguarda la pubblica amministrazione.u merlu rucà ha scritto:Il problema dell'italianizzazione dei toponimi è annoso. In alcuni casi non è molto dannosa (Sanremu/Sanremo), in altri devastante, specialmente quando il toponimo indigeno è in un dialetto o lingua abbastanza diverso dall'italiano.
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- Interventi: 1782
- Iscritto in data: ven, 13 apr 2012 9:09
Problema anche sfaccettato, mi pare. Nel caso di Sanremo, se è vero quello che mi insegnavano in prima elementare, dovrebbe derivare dal santo Romolo, rifugiato in quei luoghi (in esffetti sopra sulla collina c'è anche la frazione di San Romolo), quindi in originale sarebbe stato San Remu, però pronunciato con un suono del dialetto ligure non compreso nel nostro alfabeto... però poi è stato attaccato assieme, a differenza di San Stino /santo Stino di cui sopra... insomma, non c'è una regola precisa, e il risultato quindi è molto variabile a seconda dei casi
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