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Re: ROSPI et C.

Inviato: dom, 03 nov 2013 22:48
di Cembalaro
ippogrifo ha scritto:Perché non prende in considerazione anche il verbo col significato di scoppiare che avevo suggerito?
Sarebbe incompatibile col napoletano dell'epoca?
Mi scusi, me n'ero dimenticato.
Non posso controllare in questo momento per quanto riguarda il dialetto d'oggi abbottà significa riempire, gonfiare, ma non scoppiare. Per la verità non ho capito bene il suggerimento: forse intende che vuotta potrebbe in realtà essere abbotta? Ma poi avremmo due verbi, no? oppure bisogna trovare un'altra funzione per shiaffa.

Re: ROSPI et C.

Inviato: dom, 03 nov 2013 23:56
di ippogrifo
Pensavo, molto semplicemente, a un'assonanza con "prometto" tramite due verbi: schiatto e "abbotto", anche se - ammetto - gonfio e schiatto - con inversione - sarebbe più logico. Ma è pur sempre una cantata e non un trattato di logica. Anche se il napoletano dell'epoca non prevedeva il significato di scoppiare - presente in altre aree meridionali - , i verbi schiattare e gonfiare si rafforzerebbero - comunque - l'uno coll'altro. E schiattare e abbottare erano certamente verbi noti in tutti i registri linguistici del napoletano settecentesco.

BOTTE?

Inviato: lun, 04 nov 2013 0:30
di ippogrifo
O anche - ancora più semplicemente - in senso scherzoso: prima mi scoppi la botte . . .

Re: DUBBI

Inviato: lun, 04 nov 2013 7:53
di marco1624
ippogrifo ha scritto:...utilizzare il verbo "abbotta'" - vado a memoria, a orecchio e non so scrivere il napoletano - col significato di "gonfiare, scoppiare".
Mi intrometto anche io, perdonatemi.
Assolutamente non competente, ma non posso non ricordare Totò che in una memorabile scena di Totòtruffa '62, recita:

...non sono mica fiaschi, che si abboffano.

Re: BOTTE?

Inviato: lun, 04 nov 2013 9:35
di ippogrifo
ippogrifo ha scritto:O anche - ancora più semplicemente - in senso scherzoso: prima mi scoppi la botte . . .
Rileggendo una delle due versioni stampate riferite dal Merlo sembra che quest'interpretazione possa reggere o abbia - anche solo implicitamente -influenzato chi ha prediposto il testo. "Schiatta" potrebbe essere il congiuntivo + l'articolo femminile della botte = schiatt' 'a. E il senso - più o meno - : che io possa non bere e non riuscire a mangiare più . . .
Lo scoppio della botte è una "tragedia" scherzosa che si accorda col clima evocato dal testo.
Senza vino - ovviamente - non si può bere! Acqua? E i denti servono per mangiare. A che cosa, altrimenti?
In questa tipologia di testi la disgrazia che - talvolta - i protagonisti si augurano - anche in modo buffo - non è solo o tanto l'ammutolire quanto il non poter più bere, mangiare! E' un topos in codesto tipo di testi.

Re: BOTTE?

Inviato: lun, 04 nov 2013 10:05
di Cembalaro
Grazie Ippogrifo, l'ipotesi mi pare buona. Mi piace anche, dal punto di vista paleografico, l'interpretazione di schiatt[']a vuotta invece che schiatta(e) ['a] vuotta; e dunque anche di scenna lengua ncanna come scenn[']a lengua piuttosto che scenna ['a] lengua.
Devo però rassegnarmi a intendere schiatta laddove leggo shiaffa; e ammettere vuotta per votta (potrebbe essere vvotta, a causa dell'indistinzione grafica tra u e v, ma un raddoppiamento nel femminile singolare?)

Il suo suggerimento ricorre a una locuzione: schiattare la botte per «non mangiare più». Ecco: mi piacerebbe ritrovare in letteratura questa locuzione o una simile, mi renderebbe più certo del risultato raggiunto.

Grazie anche a Marco. Il bello è che sia abboffare che abbottare (che sono sinonimi) derivano, secondo il Dizionario Etimologico Napoletano di Francesco D'Ascoli, dal rospo, nelle due forme botto (e appunto, vuotto) e boffo.

Inviato: lun, 04 nov 2013 13:24
di Cembalaro
Devo nuovamente correggermi. Non è necessaria l'integrazione dell'articolo determinativo 'a in me scenna ['a] lengua ncanna. In letteratura si trova sempre nella forma senza articolo.
Ad es. in due drammi per musica: il Patrò Calienno de la costa (1709) di Antonio Orefice (musica) e Nicola Corvo (versi); e in Amore ed Amistade (1742) di Nicola Logroscino (musica) e Gennaro Ferraro (versi); e in un poemetto del non eccelso Biagio Valentino (Il mal consigliato, 1750).
Chissà se questo è rilevante anche per il verso precedente che ci occupa.

Re: BOTTE?

Inviato: lun, 04 nov 2013 17:13
di u merlu rucà
Cembalaro ha scritto:Devo però rassegnarmi a intendere schiatta laddove leggo shiaffa; e ammettere vuotta per votta (potrebbe essere vvotta, a causa dell'indistinzione grafica tra u e v, ma un raddoppiamento nel femminile singolare?)
Un raddoppiamento di votta non dovrebbe essere impossibile, dato che
in napoletano si leggono e scrivono altresí doppie le consonanti iniziali di parole precedute o da vocali non evanescenti (cfr. scenne ‘o cchiummo ma scenne chiummo , damme tuorto ma damme ‘o ttuorto famme sèntere, ma stamme a ssèntere etc.)
Certo sarebbe da verificare con parlanti napoletani. Se così fosse l'interpretazione me schiatta (a) vvotta sembrerebbe in effetti l'unica con un senso. Tra parentesi esiste un altro termine con -ff-, suffruto. Lì le -ff- sono scritte separate, senza legamenti, quindi è probabile che si tratti di -tt- in shiaffa.

Re: BOTTE?

Inviato: lun, 04 nov 2013 17:35
di Infarinato
u merlu rucà ha scritto:Un raddoppiamento di votta non dovrebbe essere impossibile, dato che
in napoletano si leggono e scrivono altresí doppie le consonanti iniziali di parole precedute o da vocali non evanescenti (cfr. scenne ‘o cchiummo ma scenne chiummo , damme tuorto ma damme ‘o ttuorto famme sèntere, ma stamme a ssèntere etc.)
Sí, ma si tratta di esiti risalenti in ultima istanza a voci latine terminanti in consonante (articolo determinativo neutro singolare [e femminile plurale], preposizione a, etc.): il femminile singolare dell’articolo determinativo non raddoppia.

Inviato: lun, 04 nov 2013 18:10
di u merlu rucà
Allora è un bel rebus. la forma vuotta non sembra esistere in napoletano moderno e neppure in quello antico.

Re: BOTTE?

Inviato: lun, 04 nov 2013 18:49
di Cembalaro
u merlu rucà ha scritto:
Cembalaro ha scritto:Devo però rassegnarmi a intendere schiatta laddove leggo shiaffa; e ammettere vuotta per votta (potrebbe essere vvotta, a causa dell'indistinzione grafica tra u e v, ma un raddoppiamento nel femminile singolare?)
Un raddoppiamento di votta non dovrebbe essere impossibile, dato che
in napoletano si leggono e scrivono altresí doppie le consonanti iniziali di parole precedute o da vocali non evanescenti (cfr. scenne ‘o cchiummo ma scenne chiummo , damme tuorto ma damme ‘o ttuorto famme sèntere, ma stamme a ssèntere etc.)
Certo sarebbe da verificare con parlanti napoletani. Se così fosse l'interpretazione me schiatta (a) vvotta sembrerebbe in effetti l'unica con un senso. Tra parentesi esiste un altro termine con -ff-, suffruto. Lì le -ff- sono scritte separate, senza legamenti, quindi è probabile che si tratti di -tt- in shiaffa.
Sul manoscritto: al foglio 5 recto troviamo affatata e affiso, sempre con legatura e soprattutto con la prima -f- che ha un discendente con occhiello. Il discendente con occhiello è presente anche in suffruto, che effettivamente non ha legatura.
Le -tt- invece non presentano né discendente (ovviamente) né occhielli di sorta: si vedano tratto, tratta, aspettava, ttene, fatto, prommetto, vuotta, attraie, ditto, s[c]hiattiglie. Insomma resto convinto che si tratti di -ff- anche se trovo possibilissimo che si tratti di un errore del copista come è stato suggerito.


Credo di conoscere la fonte della sua seconda citazione, e credo che tale fonte vada presa con un grano di sale (nel caso specifico, soprattutto con riguardo all'ortografia che non riguarda il nostro argomento). Innanzi tutto va detto che nel nostro caso la seconda vocale di schiatta (o schiaffa) è indistinta, quindi secondo quanto riportato nella citazione il raddoppiamento non dovrebbe aver luogo.

Ma gli esempi riportati sono fuorvianti: le preposizioni sono sempre geminanti, ed è quella la ragione di stamme a ssèntere. Negli altri due esempi il raddoppiamento è legato non al fatto che la vocale precedente non è indistinta, ma all'uso del genere neutro, come esemplificato da 'o fierro («il ferro», inteso come l'attrezzo - è maschile) / 'o ffierro («il ferro», inteso come materiale, quindi neutro e quindi raddoppiato). D'altronde diciamo no chiummo (o, se proprio volete 'no chiummo, ma io preferisco tenere ridotti i diacritici il più possibile) e non no cchiummo, in tengo no chiummo ncapa («ho un gran peso sulla testa»).
Ma, si dirà, chiummo è neutro anche se non ha l'articolo: perché in scenne chiummo non si raddoppia? perché un'altra regola concernente il raddoppiamento investe la genericità: non il piombo, non un solo piombo o venticinque piombi, ma «scende del piombo», quindi scempia.

La 'regola' della vocale non indistinta che precede la consonante da raddoppiare è contraddetta non solo dagli esempi di maschile contro neutro che ho riportato, ma da innumerevoli altri: ad esempio le seguenti (tra due punti le consonanti che secondo la regola sopra riportata dovrebbe essere doppie e invece non lo sono). Vuò .s.séntere «vuoi sentire»; ccà se fa .n.notte «qua si fa notte»; squagliarrà .c.comme argiento vivo; «squaglierà come argento vivo»; te lassarrà .f.foire «ti lascerà fuggire», venarrà .v.vegilia «verrà vigilia»; servarrà .s.sempe; perzò .p.pigliaie speranza; eccetera. Sono, come si vede, tutte parole con inizio in consonante precedute da vocale non evanescente, che quindi dovrebbero ricevere raddoppiamento (per chi non abbia dimestichezza col napoletano, sono 'evanescenti' tutte le vocali postoniche). Ma basta aprire una qualsiasi opera per trovare decine di esempi (io ho aperto qualche pagina del Cunto).

Questo discorso (del quale mi scuso se ha tradito soverchio entusiasmo) non inficia la Sua conclusione: il copista può non aver inteso il testo che aveva davanti e aver tentato una correzione corrompendo così un precedente schiatta votta.

Inviato: lun, 04 nov 2013 20:27
di u merlu rucà
Nu poche sturdute chille copista... :D

Inviato: mar, 05 nov 2013 11:16
di Cembalaro
:D

Eh, ma si vede anche di peggio...

Inviato: mer, 04 dic 2013 1:07
di Cembalaro
Questa è probabilmente risolta: Basile e Cortese in vari luoghi scrivono "nnante me schiaffa gotta", cioè "piuttosto mi colga la gotta".
Gotta e uuotta si somigliano abbastanza da rendere spiegabile l'errore paleografico, e c'è perfino la citazione quasi letterale degli esimi modelli.

Inviato: mer, 04 dic 2013 10:27
di Infarinato
Molto interessante. Grazie dell’aggiornamento, Cembalaro. :D