Ringrazio
Marco1971 della citazione della GGIC e della “sobrietà” delle sue sottolineature.
Vedo che il brano riportato ha suscitato in qualcuno notevole entusiasmo.
Io cerco di fornire elementi per comprendere quali siano le caratteristiche più vitali della nostra lingua.
Quali siano i meccanismi (ancora) attivi e quali quelli ormai morti.
Se si rileggono con la dovuta attenzione i miei interventi, si vedranno i limiti nei quali, fin dal primo di essi, ho cercato d’inquadrare il fenomeno (e l’esempio proposto).
Ma torniamo al nostro caso e forniamo, a chi ci segue, ulteriori elementi di valutazione e riflessione.
L’esempio della GCIC è importante per la particolare impostazione di questa grammatica.
Infatti, a differenza di quella del Serianni, essa indaga le caratteristiche della lingua spingendola fino alle sue estreme possibilità (e anche oltre). Questo è il significato dei simboli, asterisco e punto interrogativo, molto opportunamente spiegati da
Marco1971. È importantissimo notare che, proprio perché essa si spinge fino al limite dell’accettabilità grammaticale, la GCIC non può che essere una grammatica sincronica, legata cioè allo stretto presente, e non può che dare indicazioni passibili di rapida evoluzione come conseguenza di ulteriori ricerche. Invece la grammatica del Serianni fornisce risultati più consolidati e si spinge spesso in considerazioni diacroniche, di grammatica storica e (più raramente) in proiezioni per il futuro.
Detto questo, vediamo che le osservazioni della citazione riportate da
Marco1971 si riferiscono alla situazione di almeno una ventina d’anni fa (precedenti il 1988) e che riguardano un fenomeno “emergente” cioè con tendenza all’espansione.
Mi potrei fermare qui.
La cosa più importante (e più difficile) non è avere a disposizione dei buoni strumenti di consultazione (cosa comunque da non sottovalutare) ma disporre della chiave di lettura per poterli interpretare.
Dicevo che potrei fermarmi qui. Ma, non tanto per raffreddare un poco facili entusiasmi, quanto per fornire ulteriori prove che i testi vanno interpretati, riporto alcune riflessioni di Monica Berretta, prese stavolta da un libro datato 1993,
Introduzione all’italiano contemporaneo. Le strutture, dal capitolo relativo alla Morfologia (pag. 236).
Dopo aver premesso che l’accusativo preposizionale ha una diffusione maggiore di quanto normalmente si giudichi, la Berretta, riporta una serie di esempi.
Tra questi, uno preso dallo
scritto (questo, per chi vuol capire, è un indice di diffusione notevolmente superiore alla lingua parlata colloquiale) tratto da un articolo di Giorgio Bocca su La Repubblica (15.5.1992): “A lui […] questa conclusione lo spiazzò…”.
Come si vede, si tratta di un costrutto giudicato “molto anomalo” dalla GCIC e riportato non più come tale dalla Berretta (anche se a diffusione più limitata rispetto ad altri). Per inciso, Bocca non è certo un meridionale.
Sull’accusativo preposizionale la Berretta conclude:
Si tratta di una forma incipiente di marcatura differenziale dell’oggetto, cioè di una marca che segnala, come accusativi, elementi che più spesso emergono in un caso per essi inusuale […] L’accusativo preposizionale costituisce un potenziale arricchimento della morfologia dell’italiano che risponde […] ad una rinnovata tendenza a segnalare morfologicamente l’oggetto.
Cosa ne pensate? Non vi sembra di uscire dai mausolei, impregnati dall’odore del liquido di conservazione dei cadaveri, ed entrare in un mondo vitale? In cui quelle che domani saranno le regole codificate dalle grammatiche più conservatrici sono oggi “forme incipienti” dell’italiano parlato colloquiale, quell’italiano a cui molti studiosi attribuiscono l’aggettivo “tendenziale”, proprio per questo suo manifestare “in anteprima” le tendenze evolutive della lingua.