Riporto due citazioni prese dal Battaglia (s. v.
d) che ci sarà utile commentare brevemente.
Bembo 296* Sono ancor di quelli che dicono che eziandio alla particella E, che congiugne le voci, si dà alle volte la D, in vece della T, che latinamente parlando sta seco,… con ciò sia cosa che più alquanto empie la sillaba e falla più graziosa la D, che la T.
Buommattei, 77 Per fuggir quella cadenza e languidezza che nasce dall’incontro di due vocali, quelle [parole di una sola lettera] si crescon d’una consonante, che per l’ordinario è il D, e dicesi ad usare, ed amare, od io… Talora in luogo di D si mette un T… Abbiamo benched ella, ched è novello, sed egli è troppo;... ma oggi non s’usan molto.
* Per i possessori del Battaglia: questa notazione è errata (incompleta). Non è infatti indicata l’opera da cui è tratta la citazione.
Entrambe le citazioni mi fanno riconsiderare, e in parte attenuare, le mie precedenti affermazioni sul fatto che la
d, nei casi da noi considerati, si possa considerare solo etimologica e non abbia valore eufonico.
In queste citazioni viene infatti segnalato il valore eufonico della
d.
La citazione del Bembo è tratta dall’opera
Prose della volgar lingua (1525), una delle prime e sicuramente delle più importanti grammatiche italiane, che ha avuto un’influenza notevolissima nella creazione della norma. In essa si dice che la ‘d’ viene preferita alla ‘t’ per motivi eufonici. In effetti la sonorizzazione dell’occlusiva dentale “addolcisce” la pronuncia. Quindi qui l’eufonia è nel passaggio dalla ‘t’ alla ‘d’.
La citazione del Buommattei è tratta dall’opera
Della lingua toscana (1643), in assoluto la più importante grammatica italiana del Seicento. In essa viene data un’altra spiegazione dell’uso della
d per motivi eufonici: era avvertito come disfonico l’incontro di due vocali (anche diverse).
L’ultima frase ci ricorda che comunque già allora (un secolo dopo l’opera del Bembo) il fenomeno era in regresso.
L’interpretazione della disfonia data dal Buommattei è particolarmente significativa, prima di tutto, perché di tratta di un fiorentino e poi perché la sua grammatica, a differenza di quella del Bembo, s’inserisce in quella che va sotto il nome di “linea grammaticale fiorentina” (che comprende la
Grammatichetta dell’Alberti [1437 circa] e le
Regole della lingua fiorentina del Giambullàri [1552]). Tra gli elementi qualificanti di queste grammatiche vi erano il
riferimento all’uso coevo e l’
apertura verso forme del parlato.
Possiamo concludere dicendo che, in passato, l’attribuzione di caratteristiche eufoniche alla
d aveva delle sicure motivazioni.
Oggi, la nostra sensibilità è cambiata e, per la maggior parte delle persone, questa
d è diventata addirittura disfonica, anche se una parte di esse continua a usarla per motivi “etimologici” (o, come dice
Freelancer, perché pensano che, inserirla, sia una regola).